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Per un vero processo di rifondazione comunista

Intervista de lernestonline a Claudio Grassi, coordinatore dell’area Essere comunisti PRC

(29 Giugno 2005)

Nei giorni scorsi il segretario del Partito dei Comunisti italiani, Oliviero Diliberto, in un’intervista al Corriere della Sera, ha rilanciato l’ipotesi di federazione della sinistra d’alternativa. Il primo passaggio verso quella proposta, se non ho capito male, sarebbe la costituzione di una lista Arcobaleno insieme a Verdi, movimenti e sindacati, per le elezioni politiche del 2006. Qual è la tua opinione sui due tempi e sui due obiettivi?

La proposta di Diliberto a mio parere ha un limite grave: e cioè quello di essere stata costruita prevalentemente in funzione elettorale. Essa deriva dal fatto che né il Pdci né i Verdi probabilmente raggiungeranno il 4%, cioè la soglia di sbarramento prevista per eleggere deputati nella quota proporzionale. La controprova sta nella constatazione che un’identica proposta non è stata fatta né per le elezioni europee dello scorso anno né per le elezioni regionali appena svolte. Questa è la prima ragione per cui credo che sia una proposta da respingere. Aggiungo che tutte le esperienze fatte negli ultimi anni, sia a livello locale sia a livello nazionale, di unificazione di vari simboli e di vari partiti in cartelli della sinistra d’alternativa hanno dimostrato che questi esperimenti in genere non raccolgono nemmeno la somma dei voti dei partiti che concorrono a definire il cartello stesso.

Un’operazione del genere non aprirebbe la strada alla nascita di un nuovo soggetto politico, di un nuovo partito non più comunista?

Non credo francamente che ci siano le condizioni oggi, in Italia, per un’operazione di questo tipo. L’ipotesi di cui tu parli è stata sperimentata in Spagna con Izquierda Unida. Quella esperienza ha dimostrato che l’unificazione in un unico soggetto politico di partiti e movimenti che si richiamano al comunismo e all’ambientalismo, non è in grado di superare le difficoltà che hanno tutte le forze comuniste e di sinistra d’alternativa in Europa. Izquierda Unida, come è noto, si trova oggi ad avere un consenso elettorale intorno al 5%, inferiore a quello ottenuto in passato dai soli comunisti spagnoli; ed è oltretutto attraversata da profonde divisioni interne. Lo stesso partito comunista spagnolo è uscito seriamente indebolito da questa esperienza. Tutto ciò ci deve indurre ad una riflessione attenta nel caso si propongano operazioni analoghe in Italia.

Cossutta recentemente ha ribadito la sua volontà di aprire un percorso che porti alla riunificazione dei due partiti…

Guarda, Cossutta sostiene che oggi è possibile la riunificazione con Rifondazione Comunista perché Rifondazione Comunista finalmente ha accettato di entrare a pieno titolo nel centrosinistra ed è disponibile ad entrare in un governo. Ed io leggo in questa sua affermazione le vere ragioni della scissione del 1998. Si spaccò Rifondazione per salvare il governo Prodi e oggi ci si può riunificare perché ci si trova tutti concordi nell’entrare nel futuro governo Prodi: è mortificante pensare che il sostegno o meno ad un governo sia la ragione principale per la quale i comunisti debbano scindersi o possano stare nello stesso partito.

Come pensi sia possibile mantenere insieme i due obiettivi: costruire un partito comunista e aggregare quante più forze possibili su contenuti anti-liberisti?

Ecco, cominciamo a parlare di cose serie. Questo è il problema: io credo che dotarsi di aggiornati riferimenti teorici e di sempre più adeguati strumenti di analisi e “fare politica” unitariamente con le altre forze di alternativa sia necessario e si possa fare. Dandosi dei tempi che non possono essere legati a scadenze elettorali. Occorre muoversi su due piani. In primo luogo lavorando per quel progetto della Rifondazione Comunista che in realtà noi, come Partito, non abbiamo ancora affrontato: in questi anni si è optato o per una pseudo-innovazione che in realtà è stata costruita su una rimozione della nostra storia e della nostra identità o, viceversa, - e qui c’è un elemento autocritico che riguarda il nostro lavoro - per una difesa identitaria che, nel tentativo di opporsi a una sorta di tabula rasa che veniva proposta sul nostro passato, si è spesso limitata ad assumere acriticamente quella storia. Invece c’è bisogno di una vera ricerca, di un vero processo di rifondazione comunista. Lo ritengo assolutamente vitale. Altrimenti una formazione che vuole essere comunista, incidere nella società, costruire un progetto alternativo - oggi, nel nuovo millennio - non ha nessuna speranza di riuscire a crescere e, alla lunga, anche ad esistere. Per avviare questo lavoro della rifondazione comunista noi dovremmo chiamare a misurarsi, a discutere, a ragionare tutti i comunisti, ovunque collocati. Il secondo lavoro, che deve procedere parallelamente a questo, è quello della costruzione dell’unità della sinistra d’alternativa su basi programmatiche. Chiarito che non ci si propone nessuna forzatura organizzativa, ci si può concentrare sul fare e sulle lotte da condurre nella società per dare risposte diverse non solo al liberismo e alle politiche delle destre, ma anche a quelle delle forze moderate del centrosinistra. A questo proposito, sia l’idea messa in campo dal manifesto e da Asor Rosa di una Camera di Consultazione sia, ancor prima di questa, il tentativo abbozzato dalla sinistra CGIL di costruire una unità programmatica, sono state iniziative utili: è un vero peccato non siano riuscite a proseguire il loro lavoro. C’è stato purtroppo chi ha fatto prevalere interessi parziali e ha operato forzature organizzative. Ciò, per il futuro, va messo da parte. Speriamo che la Camera di Consultazione riesca ad andare avanti, anche se le difficoltà sono significative.

Come è possibile concretamente unire queste forze su basi programmatiche? Ne senti l’urgenza?

L’esigenza è fortissima ed è determinata dalla realtà nella quale viviamo, dalla condizione sociale, dalla necessità di dare risposte di lotta alle politiche liberiste che vengono avanti in campo economico e alle politiche di guerra degli Stati Uniti a livello internazionale. Bisognava farlo già da tempo: questa operazione andava costruita all’indomani della vittoria di Berlusconi. Unire tutta la sinistra d’alternativa partendo da coloro che avevano sostenuto con noi il referendum sull’articolo 18, nel tentativo di costruire un programma comune. Purtroppo oggi la mancanza di una sinistra d’alternativa unita si è trasformata in una grave debolezza: in questi mesi abbiamo assistito ad una operazione opposta all’interno del centrosinistra, e cioè ad un’offensiva della componente moderata, della Margherita, che ha fatto emergere dei contenuti programmatici che non condividiamo. La mia impressione è che la mancanza di una forte iniziativa della sinistra d’alternativa abbia lasciato spazio a questa componente moderata.

Quanto possono pesare queste forze nella costruzione del programma di governo?

Tanto. Da un punto di vista elettorale possono pesare il 13% sul piano nazionale e nell’ambito della coalizione valgono almeno il 25-30%: sono assolutamente decisive per battere Berlusconi e per costruire una politica alternativa a Berlusconi. A condizione che queste forze della sinistra d’alternativa – e qui sta il ritardo e l’urgenza di unirle almeno adesso – costruiscano tra loro un programma e con questo aprano un confronto con la componente moderata del centrosinistra. Parlo di una politica di netta contrarietà alla guerra e quindi al ritiro immediato dei militari italiani dall’Iraq e dall’Afghanistan; penso a scelte economiche redistributive, per esempio una nuova scala mobile, che rompano non solo con le scelte di Berlusconi, ma anche con la moderazione salariale attuata nel corso di tutti gli anni Novanta. Sono proposte che, nell’attuale contesto internazionale e di fallimento delle politiche neoliberiste, possono esercitare una certa egemonia nel popolo della sinistra e motivarlo nella competizione contro le destre. Non dimentichiamoci che senza entusiasmo non si vince nessuna battaglia.

Ti faccio una domanda secca: se oggi fosse l’ultimo giorno utile per siglare il programma comune di governo, ci sarebbero le condizioni per farlo?

No, non ci sarebbero le condizioni perché manca una minima discussione programmatica all’interno dell’Unione: non si sa qual è il programma di questa Unione e non si sa nemmeno quali sono le condizioni minime che pone la sinistra d’alternativa per entrare all’interno del governo.

Parliamo adesso di primarie. Il parere dei compagni dell’Ernesto, il tuo parere, è sempre lo stesso?

Assolutamente sì. Credo che l’entusiasmo che purtroppo leggiamo anche in alcuni giornali della sinistra sia assolutamente fuori luogo. Le primarie sono un ulteriore tassello dell’americanizzazione e della personalizzazione della politica, rafforzano questo sistema elettorale maggioritario, oltretutto in un momento in cui proprio questo stesso sistema maggioritario è messo da più parti in discussione ed è in crisi. È paradossale che invece di approfittare di questa crisi noi si acceda ad uno strumento che lo rafforza. Infatti assieme alle primarie per Prodi, cresce la richiesta di utilizzarle anche per individuare i candidati nei collegi, per scegliere i sindaci: stiamo entrando cioè in un meccanismo dal quale sarà difficile uscire. Inoltre registro anche che la posizione del nostro partito si è ulteriormente accentuata in negativo. Quando è iniziata la discussione sulle primarie ricordo che Rifondazione disse: noi non le chiediamo, ma se ci sono concorreremo perché non è possibile che si facciano le primarie con un solo candidato, ce ne vogliono almeno due. Era un ragionamento discutibile ma aveva una sua logica. Oggi siamo passati da una situazione proposta da altri e alla quale noi eravamo costretti più o meno ad aderire ad una vera apologia di questo sistema. Detto questo, la cosa più negativa, il limite principale è che la scelta delle primarie, a così poco tempo dalle elezioni, dilazionerà ulteriormente una discussione stringente sui programmi.

Nel caso in cui però si vincolasse la scelta del candidato alla scelta dei programmi tu saresti d’accordo? Ti convincono le “primarie programmatiche”?

Vincolare il candidato ai programmi sarebbe ancora peggio. È del tutto probabile che il candidato della sinistra d’alternativa uscirà sconfitto: a quel punto, avendo vinto un altro candidato e un altro programma, è evidente che dovresti sottostare ad un programma che non contiene se non in minima parte le tue proposte e le tue posizioni. Più che primarie su persone o su programmi, penso che sarebbe stato più utile l’8 e il 9 ottobre, data in cui si dovrebbero tenere le primarie, fare in tutta Italia iniziative di discussione aperte ai movimenti, ai lavoratori e ai sindacati per capire di cosa c’è bisogno oggi per risollevare l’economia di questo paese e come tradurre le proposte in programma di governo.

Quindi, anche in questa seconda ipotesi, intravedi il rischio che, una volta avallata con il voto delle primarie la leadership di Prodi, sia suo e suo soltanto il programma di governo a cui si “adeguerà” ogni altra forza politica (e segnatamente il PRC)?

Sarebbe alquanto difficile svincolarsi da una situazione di questo tipo: nel momento in cui si accetta di competere sulla candidatura, è chiaro che poi il vincente avrà un ruolo importante, quasi indiscutibile, nella stesura del programma e nel dire l’ultima parola. Non dimentichiamo che in più di una occasione Prodi ha detto che, una volta deciso il programma, anche quanti hanno dissentito dovranno poi adeguarsi ed obbedire. Che cosa significa infatti questa ipotesi di sottoscrivere un patto di legislatura, così come è emerso all’ultimo vertice dell’Unione, se non la volontà di garantirsi un consenso con regole prestabilite, sapendo che nel merito ci sono differenze profonde?

C’è addirittura chi sostiene che le primarie abbiano cambiato la politica.

Credo che non sia un’analisi corretta; è sbagliata la premessa da cui parte il ragionamento. Non sono le primarie che hanno cambiato la politica in Italia negli ultimi mesi, ma la crisi del governo Berlusconi, la situazione economica che è peggiorata e anche un certo sfaldamento del blocco sociale che ha sostenuto Berlusconi negli anni passati. In conseguenza di questa erosione del consenso elettorale di Berlusconi, si è determinato un riposizionamento della Margherita che ha nettamente rifiutato l’ipotesi di una lista unitaria, cercando in questo modo di ricavarsi uno spazio politico all’interno dello schieramento di centrosinistra, capace di intercettare i voti in libera uscita dalla Casa delle Libertà. Ciò ha determinato, di conseguenza, che Prodi abbia poi deciso, non avendo più una sua lista, di riprendere in considerazione quelle primarie che lui stesso aveva detto non essere più necessarie all’indomani delle regionali. Mi pare che sia questo il punto: rischieremmo di prendere un grosso granchio se pensassimo che alla base degli scontri interni al centrosinistra tra Prodi e Rutelli, che in realtà attengono alla leadership dello schieramento, ci siano divaricazioni strategiche sui programmi. Se leggiamo le loro proposte, in particolare in politica economica e in politica estera, Prodi, Rutelli, Fassino, D’Alema non dicono cose molto diverse. E per loro non sarà difficile trovare una convergenza programmatica; le divergenze serie si determineranno rispetto a noi, a Rifondazione comunista e alle posizioni della sinistra d’alternativa. Il fatto che oggi non abbiamo ancora aperto una stringente discussione programmatica è molto grave per il futuro della coalizione, della sinistra d’alternativa, del nostro Partito e, temo, anche per il Paese.

27 giugno 2005

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