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Gli ex alunni della scuola Diaz

Gli ex alunni della scuola Diaz

(15 Novembre 2012) Enzo Apicella
La polizia carica i cortei studenteschi, a Roma e in altre città

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IL G7 DELL'IPOCRISIA, TRA NON DECISIONE E FOGLIO DI VIA

Mentre i grandi della Terra sono entrati in una fase di stallo, le libertà politiche venivano lese

(28 Maggio 2017)

Dal punto di vista dei contenuti il G7 ha offerto molti e vaghi proclami, mai così incerti e divisi, privi di asserzioni concrete e ombra perfetta di un potere globale che ha scelto di eternarsi sordo alle trasformazioni. Nel dubbio (e nel mentre) forte la scure sugli attivisti che sceglievano di contestare l'assise planetaria

g7 taormina

Poco o molto poco rischia di restare agli annali, dopo il vertice del G7 di Taormina. C'erano almeno quattro dossier sul tavolo, quattro dossier che avrebbero meritato una risposta, anche se istituzionale, palliativa e probabilmente inesatta nelle forme e nelle soluzioni politiche: la spirale della crisi economica che non è stata ripianata in alcuna misura soprattutto sul piano microeconomico; il rischio terrorismo e le strategie per disinnescare la violenza e riaffrontare criticamente la presenza degli Stati egemoni nei territori di guerra; gli accordi sul cambiamento climatico, la loro attuazione e, se del caso, il loro ripensamento; l'emergenza umanitaria di migrazioni tacitamente appaltate al traffico e alla tratta di esseri umani.
Anche i media meno conflittuali e propositivi hanno dovuto mettere a verbale che vere forme d'accordo non ci sono state, contenuti operativi zero e anche le consuete dichiarazioni di intendimenti comuni ridotte all'osso. Sul clima, i Paesi produttori che continuano a puntare su una produttività slegata dalla tutela ambientale difendono il proprio diritto a "inquinare", ritenendo capzioso e fazioso ogni scudo alla devastazione delle risorse naturali. Sul terrorismo, il vero baricentro resta sempre quello dei rapporti con gli Stati islamici e del mutevole quadro di alleanze che spinge le potenze occidentali e orientali a camminare a vista, ora con gli uni ora con gli altri, senza strategia che non sia quella di monitorare, acquisire, avvantaggiarsi. Sconfortanti poi i passaggi sull'economia e sulle migrazioni. Su quest'ultimo capitolo, non ci si è vergognati di prendere atto di una cosa in sé piuttosto grave e certo indicativa di becere e gravi inadeguatezze: nessuno vuole fare il primo passo, nessuno vuole dedicarsi ad azioni socialmente ed economicamente dispendiose (ma chi decide che lo siano?) senza essere sicuro che gli altri si mettano ancor più in gioco. Lo stallo e la stasi elevati a sistema.
Non è andata meglio sul fronte della libertà di manifestazione del dissenso. In questa fase storica, sarebbe assurdo sostenere che i pericoli per l'incolumità collettiva vengono dagli attivisti schierati contro il cappio che una visione unilaterale della politica globale ha messo intorno ai diritti fondamentali. I numeri annunciati non erano debordanti, le piattaforme rivendicative pregne di elementi, documenti e tesi larghissimamente condivise. Il "normale" servizio di sicurezza che l'Italia mette in campo per vertici internazionali sarebbe stato ben più che sufficiente - anzi, tante volte abbiamo scritto che, sotto il cappello dell'ordine pubblico, si accettano prassi limitative, punitive, vessatorie e restrittive. Le più eminenti agenzie internazionali per la tutela dei diritti umani, che sovente hanno accettato visioni filo-statuali dell'ordine pubblico e della legittimità della disobbedienza, lo hanno (persino loro) denunciato e proclamato più volte, nei confronti del nostro Paese. Per la questione penitenziaria e per la gestione delle manifestazioni pubbliche in occasione di vertici internazionali, per tempi e strutture del processo penale e di quello civile, per la debolezza delle poche depenalizzazioni compiute.
La nuova frontiera della prevenzione nelle manifestazioni di piazza è una vecchia carta dei teorici del potere pubblico di polizia: il foglio di via (ampiamente rivalutato e rinforzato dai recenti interventi normativi che ulteriormente ne hanno esteso, parcellizzato e moltiplicato l'attuabilità). In parte, segnali affini, nell'ultimo decennio, si erano visti in occasione delle manifestazioni nazionali contro l'Alta Velocità in Val di Susa. L'esecuzione del foglio di via nelle forme e nei modi dell'allontanamento coattivo non è però uno strumento di sicurezza collettiva; è semmai una penetrante limitazione afflittiva che ha la prima ricaduta sul piano individuale (il destinatario del provvedimento).
L'effetto collettivo ricercato non è quello della sicurezza, ma consiste nella delegittimazione delle lotte sociali cui quel singolo destinatario del provvedimento afferisce. Questa delegittimazione si realizza soltanto nei rapporti tra il potere e le forme del conflitto. All'interno delle istanze sociali, la loro criminalizzazione non ne impedisce la costante germinazione e, molto più concretamente, la perdurante fondatezza.

Domenico Bilotti

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