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Andrea Augello, "Arditi contro, I Primi anni di piombo a Roma, 1919-1923"

Milano, Mursia, 2017, pp. 318, € 18.00

(26 Luglio 2017)

arditi contro

Nel 1997 vedeva le stampe la prima edizione di Arditi non gendarmi di Marco Rossi; tre anni dopo usciva Arditi del popolo di Eros Francescangeli, la prima monografia a trattare esplicitamente, e a livello nazionale, l’esperienza ardito-popolare. Da lì un fiume in piena di studi storici che hanno, soprattutto, approfondito il tema sul piano locale: Roma, Viterbo, Sarzana, Parma etc. Un recupero della memoria e un genuino revisionismo che hanno sottratto simboli, linguaggi e atmosfere associati per decenni al fascismo e alla sua eredità, facendoli assurgere, oggi, a patrimonio comune dell’Antifascismo, dove ormai i riferimenti allo squadrismo e al paramilitarismo antifascista di matrice ardita sono la consuetudine. Un fecondo lavoro portato avanti dai cosiddetti storici del movimento operaio, in genere di estrazione politica libertaria o marxista di vario orientamento.
A coronare, in un certo senso, questo primo ventennio di studi, una pubblicazione che vede come autore uno studioso estraneo alle succitate correnti di pensiero politico. Il romano Andrea Augello è difatti, prima di tutto, un politico di lungo corso della destra, entrato nel Fronte della gioventù, l’organizzazione giovanile Msi, negli anni Settanta e, nel 1995 tra i fondatori di Alleanza nazionale. È stato Assessore nella Giunta regionale Storace e, dal 2006, è Senatore della Repubblica con vari incarichi. Nel 2013 ha aderito al Nuovo centrodestra di Alfano e, attualmente, è nel gruppo Gal.
Arditi contro è un volume corposo e sostanzioso, di piacevole lettura, con prefazione di Gianluca Di Feo e una ricca bibliografia tra saggi e materiale emerotecario dell’epoca, cui si aggiungono l’Archivio centrale dello Stato e l’Archivio di Stato di Roma, più alcuni fondi privati, da cui sono, inoltre, prese le foto pubblicate. Di citare questa uscita non potranno indubbiamente far a meno le ricerche successive sull’argomento, anche per via della mole consistente di informazioni, molte inedite, e dell’articolata trattazione di aspetti utili a comprendere quel fenomeno complesso che chiamiamo fascismo, e il suo contrario.
Si parte, ovviamente, dalle trincee della Grande guerra, con la formazione dei Battaglioni d’assalto degli Arditi, si passa per Fiume, per giungere infine alla Marcia su Roma. Tra questi due estremi cronologici, il rapido mutamento del Paese, il precipitare degli eventi nel giro delle settimane, dei giorni, con l’arditismo che si spacca alla fine di un processo, di cui Roma è principale teatro, iniziato durante la smobilitazione, dopo un periodo in cui i confini erano stati assai labili, tra ambiguità, ripensamenti e riposizionamenti. Assoluta centralità ricoprono qui i profili biografici di personalità specchio e sintesi del tempo, come quella del fondatore degli Arditi del popolo, Argo Secondari, nel 1919 protagonista del cosiddetto Complotto di Pietralata, qui affrontato in un apposito Capitolo. Ci sono, chiaramente, i fascisti. E Augello si sofferma a lungo su due personalità determinanti per il Fascismo a Roma e nel Lazio: Gino Calza Bini e Giuseppe Bottai - questo poi di livello nazionale -, in conflitto tra loro in quegli anni. Fanno seguito alcune figure minori, o comunque inedite, con un particolare accento posto sul versante femminile del movimento fascista. Notevoli anche gli aspetti inerenti l’entusiasta adesione ebraica allo stesso.
Ogni opera, per quanto documentata e intellettualmente onesta, lascia comunque trasparire quelli che sono gli intenti, diciamo, politici dell’autore. Arditi contro, come lascerebbero intuire alcune sue tracce, nonché il sottotitolo, sembra avere all’origine l’idea di un libro sulla gioventù fascista prima del Ventennio e sui suoi caduti a Roma e nel circondario: una sorta di prequel di Cuori neri, in cui l’autore ha incontrato l’arditismo di Guerra e successivo, facendolo assurgere ad argomento centrale del lavoro. Nella ricostruzione, però, non ricoprono la centralità che spetterebbe loro i fattori sociali e di classe, quelli che sono alla base del successo del fascismo, che in tempi brevi, rinunciando ampiamente alle prerogative rivoluzionarie degli esordi, seppe, con l’abilità diplomatica e l’opportunismo di Mussolini, farsi interprete e poi garante delle preoccupazioni dei ceti privilegiati dinanzi alle agitazioni sociali e politiche. Da qui la spaccatura in seno all’arditismo, e al combattentismo in generale, che porterà alla formazione degli Arditi del popolo. Se si elude questo elemento, la “Guerra civile dimenticata” del 1919-25 appare come una lotta tra opposte fazioni in cui le ragioni si equivalgono e in cui si combatte ad armi pari. Proprio le vicende della guerra di movimento degli anni presi in esame dimostrano inequivocabilmente che in quei rarissimi casi di conflitto in cui i fascisti non sono totalmente spalleggiati dalle forze dell’ordine hanno la peggio. Ad accompagnare il fascismo al potere quindi, oltre ai finanziamenti del latifondo e dell’industria, la compiacenza della quasi totalità dell’apparato repressivo e delle istituzioni dello Stato liberale, sino a giungere alla Corona. Destino opposto, invece, per l’arditismo popolare e l’autodifesa proletaria in generale, zelantemente repressi. Basti solo citare la Circolare riservatissima con cui, nell’agosto 1921, il Presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi ordinava alle prefetture di sciogliere gli Arditi del popolo che, così, venivano messi fuorilegge, mentre nessuno provvedimento toccava, e mai toccherà, i Fasci. Bonomi, probabilmente lo statista con più responsabilità nell’avvento del Regime fascista, ce lo ritroveremo nella Resistenza come primo Presidente del Consiglio espressione del Cln. E questo, forse, spiega molto circa le storture dell’Italia repubblicana a venire.
Venendo agli avvenimenti locali, su Viterbo è ampiamente citata Faremo a fassela, pubblicazione di chi scrive. Ne affrontiamo perciò alcuni passaggi con cognizione di causa, per sottolineare interpretazioni, errori e imprecisioni, tralasciando refusi o altri aspetti poco influenti ai fini storiografici. Procediamo per ordine cronologico.
In merito alle Tre giornate di Viterbo (10-12 luglio ’21) e alla loro conclusione, vale e a dire l’omicidio di Jaromir Czernin e il ferimento dei sui familiari, turisti scambiati per fascisti la cui vettura era riuscita a forzare il posto di blocco, e quindi fatti segno da colpi sparati dalle mura e dal parallelo terrapieno ferroviario, Augello sostiene che a sparare quei colpi siano stati gli Arditi del popolo appostati sulle mura, come confessato dagli stessi (p. 174). Gli indagati e il condannato, per “complicità non necessaria”, che stazionavano sul tratto di mura su cui si erano concentrate le indagini erano del tutto estranei agli Arditi del popolo che, come dimostra tutta la documentazione processuale, non sono saliti sulle mura, né si sono mescolati al 60° Fanteria di guardia alle porte: sono rimasti in strada a coadiuvare l’Esercito facendo servizio di staffetta, anche con le biciclette. L’autore scrive, inoltre, in nota: “Secondo S. Antonini l’auto fu presa tra due fuochi, tanto basta, a suo avviso, ad alimentare il dubbio che oltre ai sovversivi abbiano sparato degli imprecisati fascisti”. L’auto fu colpita ambo le parti secondo tutte le testimonianze e si fa notare, in realtà, che i fascisti, sia viterbesi che forestieri, i quali si erano abbandonati a violenze di ogni tipo nel circondario, non vengano indagati né ascoltati nel processo. Ad alimentare i dubbi è, semmai, la stessa perizia balistica, la quale dimostra chiaramente come il colpo, che ha fatto esplodere la scatola cranica di Jaromir, fosse partito da vicino, da sinistra e da un’arma di precisione e non a decine di metri di altezza, da destra e da vecchi fucili da caccia. La sentenza definitiva ribalterà questa perizia. Un soggetto, se si vuole, su cui si alimentano i dubbi, certo a distanza di quasi un secolo, è quello dei Carabinieri che si muovono in modo non molto lineare nei momenti immediatamente successivi alla fucileria, e che avevano, per loro stessa ammissione, esploso dei colpi in direzione della sparatoria da sinistra, sebbene da lontano.
Si passa poi ai conseguenti Fatti di Orte Scalo. La sera del 13 luglio ‘21, gli Arditi del popolo stavano affiggendo manifesti per annunciare la nascita della loro locale sezione, quando si imbattevano in alcuni giovani fascisti e ne nasceva un contenzioso. Qui, il fascista Mario Giovannini faceva per staccare un manifesto, quando il vetturino anarchico Andrea Del Sole gli si scagliava contro con il coltello, incurante dei colpi che l’altro fascista, Muzio Sacchetti, stava sparando a scopo intimidatorio. Augello, in due riprese, senza annotare la fonte, dà il Giovannini per morto nella circostanza ma non lo è: il Regio procuratore scriveva nella relazione che egli veniva ricoverato senza versare “in grave condizione”.
Veniamo al ferimento mortale del fascista Melito Amorosi, avvenuto a Viterbo nella notte del 28 agosto 1921. All’imputazione di omicidio si aggiunge nel procedimento penale quella di “appartenenza alla disciolta Associazione a delinquere fra gli Arditi del popolo”. Finisce quindi agli atti un documento circa un piano, stabilito nella sede del Fascio di Roma il 14 luglio ’21, per un assalto spettacolare alla città di Viterbo, tutt’altro che improbabile. Augello vi fa riferimento sostenendo che sarebbe stato estorto, si lascia intendere con la violenza, ad un fascista, Giacinto Carbonari, sequestrato dagli Arditi del popolo (p. 173). Dal processo, un vero e proprio giro di vite contro il movimento operaio locale, risulta che questo documento sia stato consegnato spontaneamente agli ardito-popolari dal Carbonari, ex fascista in trattativa per entrare nelle loro fila, sebbene secondo il Sottoprefetto non avesse credibilità.
Alla vigilia del primo anniversario delle Tre giornate di Viterbo, il 9 luglio ’22, viene assassinato a Viterbo, per accoltellamento, l’Ardito del popolo Antonio Tavani. Un delitto assai emblematico a testimoniare i mutamenti in corso. Il processo si dimostra molto articolato. Verrà condannato Paolo Bendia per omicidio volontario, il fratello Oreste, ex esponente di spicco dell’anarchismo locale, per complicità non necessaria, mentre sarà scagionato il terzo imputato, Giuseppe Mattioli, ex Ardito del popolo. Questi ultimi due anche ex amici del Tavani. Augello scrive: “La sinistra viterbese cerca di dipingere la vicenda come un agguato fascista”, mentre gli imputati sarebbero sostanzialmente estranei al Fascio (p. 224). Qui l’autore sposa la tesi fatta circolare il giorno dopo con un manifesto dal Pnf e sostenuta in futuro, per cui il delitto, particolarmente infamante, non sarebbe stato dettato da motivi politici e che gli imputati non siano militanti fascisti. Nonostante il processo non stabilisca esplicitamente una premeditazione, i tre imputati sono legati a doppio filo con il Fascio, soprattutto perché in guai finanziari, con i fascisti che avevano elargito loro sussidi e si erano occupati di sbrigare alcune loro pratiche. Un aspetto, quello del consenso attraverso l’assistenza, che Augello, tra l’altro, affronta bene.
Infine, Augello parla del giovane fascista Michele Falcone, già Legionario fiumano, originario della Provincia di Foggia, ucciso a Viterbo il 23 luglio ’22, a due settimane dall’omicidio Tavani, durante degli scontri. Chi scrive ricorda che tempo fa era stato infatti contattato dallo staff di Augello per sapere di questo nome, per il vero mai emerso in ricerche ormai più che decennali sulla conflittualità politica locale. Facendo al volo delle ricerche on line, questi è menzionato in un paio di documenti “a cura del Partito nazionale fascista”. Augello, anche qui, non annota direttamente la fonte, se non, forse, Cronache del fascismo romano di Domenico Mario Leva, messa poco dopo una menzione. L’uccisione non risulta neanche nell’apologetica Storia della Rivoluzione fascista di Giorgio Alberto Chiurco. La storiografia, come tutte le scienze, non ha un approdo definitivo: sempre possono emergere fatti nuovi di cui si ignorava totalmente l’esistenza, e ciò è anzi auspicabile, ma, com’è possibile che ad un caduto così eccellente, per cui tra l’altro si sarebbe potuto fare psicologicamente il pari e patta con l’omicidio Tavani, il fascismo locale non avesse intestato alcunché e non lo avesse ricordato in alcun martirologio, come ha abbondantemente fatto con gli altri, né sulla sua stampa né altrove?

Silvio Antonini

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