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Barcellona, 17 agosto 2017: gran confusione sotto i cieli d’Europa

Mentre i costruttori di strategie cercano di tirar le fila

(22 Agosto 2017)

Il sanguinario blitz «islamista» di Barcellona del 17 agosto 2017 ha sollevato una marea montante di confuse chiacchiere, a partire dalla cronaca degli eventi (vedi : https://www. rischiocalcolato.it/2017/08/barcellona-manca-solo-un-idraulico-moldavo-cast-al-completo-segnale-arrivato.html). Certo, sparando nel mucchio, qualche obiettivo giusto si centra. Ma bisogna poi saperlo individuare e interpretare. E qui casca l’asino.

Con queste traballanti premesse, non stupisce che i costruttori di interpretazioni & strategie abbiano come filo conduttore una frusta dietrologia complottista, comunque condita, a destra e a manca.

Lo scenario di insieme che oggi si presenta è estremamente intricato, è un gomitolo ingarbugliato in cui cercare il bandolo diventa velleitario e, peggio, fuorviante, come ben evidenzia Oreste Scalzone (vedi: oreste scalzone, https://www.facebook.com/oreste-scalzone-1286550081359977/?ref=br_rs, 18 agosto 2017, Ramblas e dintorni).

Engels (l’amico di Marx), bacchettando i discepoli troppo zelanti del materialismo storico, osservò che i fattori economici spiegano sì i fenomeni politici e sociali ma, a volte, i fattori materiali sono talmente remoti per cui la ricerca può causare incidenti di percorso. Con deleterie conseguenze politiche, in primis quelle ipotesi che, con un debole e dubbio fondamento, assumono connotazioni prettamente ideologiche. Da cui derivano le contrapposizioni tipiche delle tifoserie (metafora della guerra!), cui accenna Oreste Scalzone.

In linea di massima, i criteri interpretativi adottati da ambienti sedicenti marxisti & affini attingono da situazioni tipiche del Novecento se non dell’Ottocento. Oggi, con la crisi sistemica del modo di produzione capitalistico, quelle situazioni sono un ricordo del passato e riesumarle crea solo confusione.

Ancor meno d’aiuto è il ricorso alla geopolitica.

E ancora peggio sono le cadute nella dietrologia complottista, di stampo manicheo, con gli antimperialisti a senso unico che individuano l’impero del male negli Usa e in Israele. Come se le altre cricche statal-borghesi fossero pecorelle!

È un orientamento aberrante in cui vengono affogati gli altri aspetti della realtà, con i relativi conflitti sociali. Non per nulla, questo orientamento vede la congiunzione di vecchi stalinisti e di giovani fascisti, tutti uniti nel fronte rosso-bruno, grazie alla condivisa logica nazionalista.

La disgregazione galoppante

Da parte mia, gli scorsi anni mettevo in luce come la crisi sistemica del modo di produzione capitalistico avesse avviato un irreversibile processo di disgregazione delle relazioni capitalistiche. Come indice della disgregazione, segnalavo la contrazione del commercio mondiale[1], da cui, secondo me, consegue che i rapporti economici diventino problematici, deboli e, quindi, conflittuali. Lo scambio di merci (il mercato) rappresenta il tessuto connettivo della società capitalistica. È un indicatore del suo stato di salute. Il suo indebolimento si ripercuote, dove più dove meno, in tutte le manifestazioni sociali. E, in modo contorto, nelle manifestazioni politiche.

Sul piano sociale, la prima conseguenza è il peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei proletari e dei cosiddetti ceti medi, cui fa seguito una diffusa pauperizzazione. È una tendenza che, per quanto generale, assume caratteristiche differenti da Paese a Paese. Soprattutto, tra il Nord e il Sud del mondo.

Sul piano politico, le differenze hanno conseguenze che generano orientamenti del tutto inediti, rispetto a un passato anche recente. Con i nuovi orientamenti, diventano inutilizzabili i criteri analitici usati nel Novecento, per definire la base socio-economica di una formazione politica. Soprattutto nel Sud del mondo.

L’attuale metamorfosi politica non è il frutto di una crisi delle ideologie, bensì dello stravolgimento dello scenario economico-sociale del Novecento, secolo caratterizzato da una generale tendenza allo sviluppo, nonostante le fasi alterne, come la crisi del 1929. Nel Novecento, lo sviluppo, seppure in modo disomogeneo, favoriva ricchi e poveri, borghesi e proletari, in un processo di tendenziale perequazione sociale, il cosiddetto Welfare State.

Oggi, prevale nettamente la tendenza contraria: la polarizzazione della ricchezza e la diffusione della povertà[2].

Ricchi sempre più ricchi Poveri sempre più poveri

Stando così le cose, si potrebbe dire che è in corso una guerra dei ricchi contro i poveri, e viceversa. Dove il fronte dei ricchi (il Nord del mondo), pur muovendosi in ordine sparso, senza una strategia comune, mobilita pro domo sua i «suoi» poveri. Allo stesso tempo, nel fronte dei poveri (il Sud del mondo), anch’esso senza una strategia comune, i «suoi» ricchi, dietro le quinte, tirano le fila.

Come si vede, entrambi i contrapposti fronti cercano di irreggimentare i proletari, alimentando i sentimenti più retrivi. Il Nord del mondo soffia sugli istinti di conservazione, seminando paure e isterie. Il Sud del mondo soffia sugli istinti di rivalsa, baluginando un vago riscatto sociale. In entrambi i casi, è una tattica dalle gambe corte, ma che per ora camminano.

Come dicevo, in questa guerra NON c’è una strategia unitaria. Né da una parte né dall’altra.

Nel corso delle guerre del Novecento, il connubio Regno Unito-Usa abbozzò una strategia unitaria (non così definita come sembrò a cose fatte). Oggi questo connubio, benché sopravviva, annaspa, ha il fiato corto. Ma nessun altro Paese capitalistico, anche se sembra rampante, è in grado di ereditarne il ruolo. Troppo forte è il gap che si creato. Ricordo che la superiorità militare Usa è senza confronto[3], contro di lei nessuna Potenza o coalizione di Potenze è in grado di competere. Per usare il vecchio linguaggio.

Oggi, prevale lo squilibrio che, generando un vuoto di direzione strategica, dà fiato alla guerra di tutti contro tutti, anche all’interno di un medesimo Paese. In precedenza, avevo definito la guerra in corso asimmetrica, ora devo aggiungere che è una guerra asimmetrica e caotica, in cui è quasi impossibile individuare delle linee di tendenza. I presunti protagonisti si muovono come mosche impazzite, senza una precisa direzione. Neppure come reazione alle azioni dell’av-versario. Ma quale avversario?

In questo caotico scenario, da una parte e dall’altra, si formano e si disfano aggregazioni, la cui vita è comunque effimera e mutevole.

Nel fronte dei «poveri», le cose potrebbero seguire un corso differente, una volta che si facesse strada l’ipotesi rivoluzionaria, vecchia ma sempre valida, in cui i proletari non hanno nulla da perdere fuorché le loro catene. Facile a dirsi, ma l’illusione è l’ultima a morire e, da una parte e dall’altra, i ricchi, i borghesi, l’alimentano, a proprio esclusivo vantaggio.

Ma il vento della crisi soffia contro le illusioni.

Durante le guerre del Novecento, nonostante le catastrofi umanitarie, la borghesia riuscì a far balenare una luce in fondo al tunnel. Oggi, questa luce non c’è. E se c’è, è evanescente. E spesso ravvivato ad arte.

I presupposti per un’aggregazione proletaria, politicamente autonoma, ci sarebbero (e anche i sintomi). Bisogna vederli. Il cammino in questa direzione implica però la lotta senza quartiere contro quelle magiche formule che, pescando nel passato remoto, propongono soluzioni altrettanto remote e quindi assolutamente sballate. O peggio, cadendo nella dietrologia complottista, propongono contrapposizioni ingannevoli e assai pericolose nelle loro implicazioni nazionaliste.

Che ognuno faccia la sua parte.

Dino Erba, Milano 22 agosto 2017.

[1] Dino Erba (e molti altri), Classi in lotta in un mondo in rovina. Crisi del processo di accumulazione del capitale e disgregazione sociale, All’Insegna del Gatto Rosso, Milano, 2014, p. 3.

[2] Cosa è scritto nel rapporto di Oxfam sulla ricchezza nel mondo. Sostiene che l’1 per cento della popolazione mon-diale possieda più del restante 99 per cento e che questo divario si sta allargando, 18 gennaio 2016 [http: //www.ilpost.it/2016/01/18/rapporto-oxfam-1-per-cento-piu-ricco/].

[3] Dino Erba (e molti altri), Classi in lotta in un mondo in rovina. op. cit., p. 30. Vedi anche: Dino Erba I dazi di Trump. Un passo che accelera la disgregazione del sistema, 4 aprile 2017.

Dino Erba

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