">
il pane e le rose

Font:

Posizione: Home > Archivio notizie > Imperialismo e guerra    (Visualizza la Mappa del sito )

Boicotta

Boicotta

(6 Giugno 2010) Enzo Apicella
Sostieni la campagna di Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni verso Israele

Tutte le vignette di Enzo Apicella

PRIMA PAGINA

costruiamo un arete redazionale per il pane e le rose Libera TV

APPUNTAMENTI
(Imperialismo e guerra)

SITI WEB
(Imperialismo e guerra)

CON I LAVORATORI EGIZIANI
PER L'UNITA' PROLETARIA

(26 Agosto 2017)

Dal n. 56 di "Alternativa di Classe"

egiziane forze

Piazza Tahrir controllata dalle forze di sicurezza egiziane

A sei anni dalla rivolta popolare che, ad inizio 2011, spodestò Hosni Mubarak dopo trent'anni di potere, i proletari egiziani si trovano a vivere condizioni sempre più difficili. Il governo del presidente Abedel Fattah al Sisi continua ad introdurre misure di austerità dure, in ossequio alle condizioni imposte dal FMI (Fondo Monetario Internazionale) per l'erogazione di un prestito da 12 miliardi di dollari in tre anni. Il Primo Ministro Sherif Ismail, per assecondare le pressioni del FMI, si è impegnato a CERCARE DI RIDURRE IL DEFICIT DI BILANCIO.
Ancora prima il governo egiziano aveva attuato alcune precondizioni richieste dall'istituto monetario, come l'introduzione dell'IVA al 13%, la svalutazione della moneta locale, il taglio dei sussidi, licenziamenti di lavoratori negli Enti pubblici. L'inflazione annua è salita bruscamente, i prezzi dei beni di prima necessità (medicinali compresi ), sono schizzati fino a raddoppiare. I prezzi salgono, i salari no. Resta alta la disoccupazione, c'è molta frustrazione tra le masse proletarie in quotidiana lotta per la sopravvivenza. I lavoratori devono fare i conti con vertiginosi rincari ed una carenza cronica di prodotti disponibili sul mercato. Molti beni di consumo alimentare sono introvabili, ad esempio non si riesce a trovare lo zucchero e, se lo si trova, è molto caro; anche il prezzo del latte è aumentato. I prezzi dei medicinali sono aumentati del 15% per i farmaci locali e del 20% per i farmaci importati.
Le lotte dei lavoratori egiziani non si sono mai fermate. La loro realtà è fatta da salari di miseria, non sapere più come alloggiare, nutrirsi, curare se stessi e le loro famiglie. La classe operaia egiziana deve prendere coscienza del fatto che la sua forza risiede nella solidarietà di classe, al di là dei settori e delle corporazioni, oltre che nell'unità al suo interno.
Intanto il Governo sta costruendo una nuova capitale nel deserto vicino al Cairo. La città metropolitana del Cairo è una megalopoli, dove venti milioni di persone subiscono un traffico insostenibile, livelli tragici di inquinamento ed una grave carenza idrica. L'Egitto non sarà il primo Paese a trasferire il governo e il parlamento, la presidenza, i ministeri e le ambasciate, in una capitale costruita dal nulla, ma è il primo disposto ad investire 45 miliardi di dollari per farlo, mentre nelle piazze i lavoratori protestano perché manca il pane.
E questo sarebbe solo il costo della prima fase. Il progetto definitivo prevede un complesso di lussuosi grattacieli e laghi artificiali che volta le spalle al Cairo e al delta del Nilo. Nell'autunno del 2016 il progetto ha cominciato ad ingranare, quando due aziende pubbliche cinesi hanno preso il posto di costruttori degli Emirati arabi, che si erano ritirati l'anno prima. I progetti per la nuova capitale vanno avanti. Le TV egiziane mostrano immagini di tubature posate, terra smossa, appartamenti che sorgono in mezzo al deserto. Secondo il ministero dell'edilizia abitativa, sono stati già completati più di 17mila alloggi, pronti per essere venduti. Che conseguenze avrà l'estrazione della scarsissima acqua presente nel deserto? Saranno i lavoratori egiziani a pagarne i costi.
Perché tanta fretta di costruire una nuova capitale in piena crisi economica? La borghesia egiziana e il suo governo sono determinati ad allontanarsi da una città come il Cairo, potenziamente pericolosa per i loro interessi di classe. Sei anni fa, da questa città le grandi manifestazioni per chiedere un cambio di regime risuonarono in tutto il Medio Oriente. E' per questo che oggi i borghesi ed i generali egiziani sognano di governarla da lontano. La spiegazione ufficiale è che trasferire la capitale servirà ad alleviare la congestione del centro storico. La verità non ufficiale è che per il governo è più facile finanziare nuovi progetti immobiliari e promuovere la speculazione nel deserto piuttosto che investire nelle infrastrutture già esistenti.
Per decenni gli urbanisti, invece di affrontare i problemi del centro storico, hanno preferito costruire città satellite destinate a specifici settori, per esempio l'industria manifatturiera o le residenze di lusso. La nuova capitale è un elemento importante della propaganda del presidente e del regime.
Al Sisi controlla il Paese dal 2014, quando ha guidato il colpo di stato che ha portato alla caduta del presidente Mohamed Morsi, uno dei leader dei Fratelli musulmani, eletto con ridottissimo margine dopo la rivolta popolare che segnò la fine di Mubarak. Da allora il governo di Al Sisi ha dispiegato la peggior ondata di repressione nella storia moderna dell'Egitto, con manifestanti uccisi, giornalisti perseguitati e migliaia di oppositori e militanti politici incarcerati, fatti sparire o torturati. Nonostante tutto questo, Al Sisi si presenta come un “salvatore della patria”, l'uomo che ha riscattato il Paese dal caos, dall'estremismo islamico e dalle ingerenze esterne.
La nuova capitale è un simbolo nazionalista, un progetto di conquista del deserto. Separa il governo dalla città e dai suoi abitanti, per impedire che scoppino nuove rivolte popolari, come quella del 25 Gennaio 2011, culminata nei diciotto giorni di occupazione di piazza Tahrir. Negli anni precedenti alla caduta di Mubarak, nel centro della città si era formato un vuoto, conseguenza dell'espansione dei quartieri informali e delle comunità residenziali private della periferia. Il Cairo, come altre grandi capitali nel mondo in via di sviluppo, era colpito dal fenomeno della secessione della classe media: chi si poteva permettere di allontanarsi dall'inquinamento e dal caos si trasferiva nelle città satellite. Milioni di persone vivevano in quartieri informali, che si costruivano da soli per rispondere alle loro esigenze, sfidando apertamente le leggi, in collusione con funzionari locali. Nella capitale si era creato un divario profondo tra la minoranza benestante, che sognava di andarsene, e la maggioranza proletaria, cui veniva detto che quello non era il suo posto.
Sotto Mubarak gli spazi pubblici erano stati privatizzati e controllati dalla polizia: i giardini chiusi con lucchetti, le piazze recintate, i terreni demaniali venduti di nascosto. Le riunioni pubbliche erano strettamente controllate e le manifestazioni illegali. Eppure migliaia di cairoti hanno sfidato il pugno di ferro dello Stato tutte le volte che hanno potuto. In città nascevano spontaneamente piccoli spazi piacevoli.
Il 28 Gennaio del 2011 una folla di persone si riversò verso piazza Tahrir da diversi punti della città e, dopo una giornata di scontri con la polizia, fece irruzione nella piazza. Quella che era cominciata come una protesta contro la violenza della polizia, si trasformò in qualcosa di più ampio. Molto è stato scritto sulla "libera repubblica di Tahrir": sugli slogan spiritosi, la solidarietà gioiosa, la mescolanza di uomini e donne, cristiani, musulmani e atei, giovani e anziani. In alcuni casi gli eventi sono stati idealizzati. Nella piazza ci furono anche sospetto, confusione e disaccordo. Tuttavia ogni disputa che emergeva doveva essere risolta in quella sede, in modo collettivo, con una disordinata forma di dibattito e di partecipazione, dopo anni di cinismo e di rassegnazione era qualcosa di importante. Si moltiplicarono LE INIZIATIVE DAL BASSO: TUTTO AVEVA UN SIGNIFICATO POLITICO.
Una delle prime vittorie fu l'archiviazione del progetto Cairo 2015, concepito per riqualificare il lungofiume, che avrebbe costretto 12 milioni di persone a lasciare le proprie case. Gli egiziani scoprirono che la lotta per la democrazia era legata indissolubilmente alla loro capacità di riunirsi nello spazio urbano. Ma se lo sapeva la gente, lo sapevano anche le autorità. Mentre le manifestazioni continuavano, anche dopo la caduta di Mubarak, i militari circondarono Tahrir di barriere, ed enormi pareti di blocchi di cemento che isolavano intere strade. La stazione della metropolitana è rimasta chiusa per anni.
Con l'ascesa al potere di Al Sisi ogni forma di espressione pubblica è stata repressa. Le autorità hanno vietato le manifestazioni, vietato gli spettacoli di strada, chiuso i luoghi dove si tenevano concerti all'aperto, cancellato graffiti, fatto irruzione nei bar e perquisito gallerie d'arte e case editrici, ogni posto dove ci si potesse radunare. Davanti agli scintillanti progetti per la nuova capitale dell'Egitto, non si riesce ad immaginare manifestanti che si spingono in mezzo al deserto per occupare la "piazza del popolo" davanti al nuovo palazzo presidenziale.
La nuova capitale sarà così lontana dal centro e le distanze al suo interno saranno così ampie che difficilmente i lavoratori potranno riunirsi per dare voce a rivendicazioni politiche. La nuova capitale deve incarnare gli interessi borghesi e la volontà del presidente di valorizzare il ruolo dell'esercito, l'istituzione che l'ha condotto al potere nella guida del Paese. Il progetto è gestito da una da una società formata dal Ministero dell'edilizia abitativa e dall'esercito. Il governo ha prodotto un progetto spettacolare nel deserto, disinteressandosi completamente non solo della geografia, della storia e del clima, ma anche della realtà in cui vive la maggior parte degli egiziani.
Recentemente lavoratori e giovani studenti hanno improvvisato un lungo corteo, bloccando uno dei principali ponti del Cairo, con striscioni e slogan contro il carovita. Una decina di manifestanti sono stati arrestati. Gli apparati repressivi sono pronti a soffocare sul nascere ogni iniziativa sindacale e politica, ma le proteste contro il regime continueranno. I proletari egiziani ed i loro fratelli di classe arabi devono appropriarsi di strumenti critici consapevoli e spendibili, in una prospettiva di cambiamento concreto dell'esistente. Solo acquisendo consapevolezza del ruolo storico di trasformazione che riveste la classe proletaria possono pensare di costituire un'identità di classe ed una coscienza collettiva necessaria all'organizzazione della classe antagonista alla società del capitale, nell'obiettivo storico della rivoluzione comunista.

Alternativa di Classe

Fonte

Condividi questo articolo su Facebook

Condividi

 

Ultime notizie del dossier «Paese arabo»

Ultime notizie dell'autore «Circolo Alternativa di classe (SP)»

6344