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(5 Settembre 2017)
Presso l'Orto Ins-orto, in via degli Angeli 140
Le convulsioni del capitalismo hanno posto al centro della fase storica attuale uno scenario del tutto particolare. Senza addentrarci in faticose e avventate analisi dei cicli di economici, è evidente che la diffusione del capitalismo a livello planetario, oltre a sconvolgere gli assetti statuali classici, ha modificato la concezione stessa del fatto militare e dell’imperialismo.
Il fatto bellico è divenuto parte integrante del “normale” ciclo di riproduzione del capitale, portando con sé la mercificazione e la privatizzazione di “beni” considerati dallo Stato novecentesco esclusivo appannaggio dell’amministrazione militare e di polizia: la sicurezza, il controllo delle frontiere, l’intervento bellico. Gli stessi eserciti nazionali sono costretti a modificare le proprie funzioni professionali, riducendosi a sbirri di strada (Operazione Strade Sicure) o a vigilantes incaricati di proteggere la circolazione delle merci private ad alta velocità (TAV, TAP, ecc.) o a lunga distanza (Marò e affini).
Dietro la retorica del terrorismo, si va dispiegando il più grande, integrato, “intelligente” sistema di controllo individuale e di massa, capace di alternare misure preventive e repressive, di potenziare a dismisura il mercato di armi, attraverso sistemi di puntamento, sorveglianza elettronica e strumenti a pilotaggio remoto.
A fronte della demolizione del confine tra guerra e pace, le sfide in termini di lotta internazionalista e pacifista contro l'imperialismo e i suoi prodotti sanguinari si potrebbero dunque moltiplicare, esaltando le qualità e le esperienze dei rivoluzionari di diverse scuole. Eppure, mai come in questi anni, il movimento, finanche nella sua accezione più ampia e disorganica, ha mostrato debolezza e incapacità di intervenire contro la guerra imperialista.
Una prima tendenza fatica ad allontanarsi da uno schema figlio della guerra fredda e individua ancora nella responsabilità pressoché esclusiva dell’imperialismo yankee lo stato di destabilizzazione internazionale, con un pregiudizio politico che porta compagni e compagne a sostenere gli Stati (e le economie) più deboli, assegnando loro sempre il rango di vittima e offrendo sostegno, spesso solo a parole, ai burocrati che ne sono a capo.
Una seconda invece propone una visione del presente composto da masse altrettanto indistinte, portate quasi di inerzia a ribellarsi e a generare conflitti sparsi in diverse parti del globo, unite dall’odio contro il potere tecnocratico, militare e burocratico. In tale visione, praticamente ogni forma di ribellione verso l’ordine costituito è positiva, a prescindere dagli obiettivi che si pone, dalla composizione di classe che la compone e dalle forze “esterne” con cui collabora o da cui è indirizzata. A distanza di oltre un lustro dovrebbe far sorridere il facile entusiasmo con cui molti compagni e compagne hanno accolto le varie rivoluzioni colorate o le primavere dei popoli, quasi fossero autonome e scisse dagli interessi imperialistici.
Tali versioni di “importazione di rivoluzione”, tipica di chi è sedotto da esperienze di socialismo di stato, o di “esportazione di rivoluzione”, di chi abbraccia le rivolte di popolo, hanno generato a cascata un drammatico morbo che infesta il movimento antagonista, evidentemente stordito dall’assenza di un dibattito collettivo sui caratteri attuali dell’imperialismo: la logica dello schieramento applicato alla geopolitica.
Il sostegno acritico ed entusiasta per esperienze di resistenze antimperialistiche o di offensive partigiane (Venezuela, Siria, Kurdistan, Palestina, Donbass, ecc.), sebbene comprensibili sentimentalmente e giudicabili solo nei contesti dove nascono, nascondono troppo spesso l’impotenza sociale e militante, la cessione della possibilità rivoluzionaria a esperienze aliene dalla propria vita concreta, poco attente alle contraddizioni interne a ogni fazione in lotta e, infine, subalterne a un’agenda dettata dai grandi media internazionali e dalle emittenti del capitalismo diffuso.
Non sembra infatti casuale che gli stessi tradizionali canali di informazione militante (radio, blog, giornali) si dimostrino impreparati a promuovere a livello generale una riflessione e un dibattito quando viene a mancare la “notizia”. Inutile girarsi intorno: il conflitto in Siria e le posizioni espresse in seno al movimento hanno contenuto in sé tutte le contraddizioni e le debolezze sopraindicate, hanno alimentato uno scontro tra compagni e compagne e hanno rappresentato il punto più basso della capacità del movimento antagonista europeo di comprendere e conseguentemente rispondere alle nuove sfide dell’imperialismo.
Urge riflettere sui limiti della logica del tifo, del sostegno indiretto a uno o all’altro fronte imperialista, del geopoliticismo, recuperando la centralità della questione internazionale e individuando con maggiore attenzione le responsabilità omicide del blocco europeo. Per quanto ci riguarda, riteniamo imprescindibile ribaltare la tendenza all’appiattimento antagonistico all’agenda del capitale e la conseguente scissione dalla democrazia o dal mito della rivoluzione nazionale e locale, a partire dal rilancio di una prospettiva genuinamente internazionalista e di una pratica quotidiana di solidarietà di classe.
Occorre ribadire che il nemico (e l’amico) è prima di tutto in casa propria, perché il capitalismo diffuso permea ogni angolo del sistema mondo e anche sul proprio territorio rivela il carattere mortifero e disumano del suo ciclo produttivo e delle sue guerre. Riflettere sull’antimperialismo significa ragionare su come rafforzare e sostenere, a partire dai propri territori tutti gli sforzi dei compagni e delle compagne in termini di valorizzazione dell’unione fra lavoratori immigrati e italiani nelle lotte sociali (casa, servizi, territorio, sfruttamento del lavoro agricolo, logistico, terziario, industriale).
E, a tale proposito, occorre riconoscere il fallimento delle manifestazioni romane delle celebrazioni per i Trattati di Roma e il successo solo parziale del Welcome Hell di Amburgo. In queste giornate, visivamente isolati e sotto pressione della sbirraglia le uniche vere possibili alternative alle barbarie, ovvero il proletariato italiano e immigrato, femminile e maschile, contadino e urbano, occupante e lavoratore, e le componenti giovanili, hanno rischiato ancora di essere rinchiuse in una logica di autorappresentanza e di simulazione di conflitto, che non riesce a tradurre lo spontaneo desiderio di distruggere questo mondo di merda in una pratica quotidiana di sovversione e in progetto collettivo di trasformazione umana.
A FRONTE DEI VENTI DI GUERRA CHE SIBILANO SOPRA LE TESTE DI MILIARDI DI UOMINI E DONNE.
RIPRENDERE L’INIZIATIVA INTERNAZIONALISTA. PROMUOVERE AZIONI DIRETTE E MANIFESTAZIONI CONTRO LA GUERRA E CONTRO TUTTI I CARNEFICI.
PROMUOVERE INCONTRI CON LE REALTA’ INTERNAZIONALI CHE RESISTONO ALLE AGGRESSIONI IMPERIALISTICHE E COMBATTONO CON TUTTI I LIMITI OGGETTIVI E SOGGETTIVI LA VIOLENZA DELLA GUERRA PERMANENTE.
PER UNA DURA OPPOSIZIONE ALL’IMPERIALISMO, SOPRATTUTTO OCCIDENTALE, SOPRATTUTTO EUROPEO.
RICOSTRUIRE, RAFFORZARE, ORGANIZZARE LA LOTTA QUOTIDIANA NEI NOSTRI TERRITORI.
DIBATTITO APERTO SULL’INTERNAZIONALISMO E SULLE PRATICHE DI RESISTENZA E ATTACCO AL CAPITALE
SABATO 9 SETTEMBRE ORE 16 PRESSO L’ORTO INSORTO
COMITATO DI LOTTA QUADRARO
COMITATO DI LOTTA VITERBO
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