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(4 Ottobre 2017)
Human Rights Watch lancia per bocca della sua responsabile dell’area mediorientale un’esplicita richiesta alla Repubblica Islamica dell’Iran affinché cessi il reclutamento di giovanissimi immigrati afghani che finiscono sul fronte siriano. E lì muoiono in combattimento, com’è di recente accaduto a otto di loro. Martiri certo, ma d’una guerra scelta per modo di dire. Un report pubblicato sul sito dell’Ong evidenzia due contraddizioni: si tratta di ragazzi-soldato spesso d’età inferiore ai diciotto anni dichiarati. Lo scopo è essere inseriti nei reparti della divisione Fatemiyoun, la milizia degli hazara sciiti, già attiva all’epoca della guerra antisovietica e dal 2014 impegnata a sostegno del governo di Damasco, sotto la supervisione delle Guardie rivoluzionarie iraniane. Attualmente la divisione conta 14.000 combattenti. Per entrarvi i giovani si aumentano l’età (le ultime vittime avevano fra i 14 e 15 anni) e i reclutatori non indagano, l’unico loro interesse è avere miliziani al fronte. L’altra contraddizione si riferisce alla presunta “vocazione” alla battaglia, scaturita dalla possibilità di guadagnarsi un’accoglienza definitiva sul territorio iraniano. Purché si resti in vita…
HRW ne fa una questione, diciamo deontologica, sostenendo che accordi internazionali impediscono il reclutamento di militi adolescenti. E rilancia sostenendo che proprio in base ai princìpi proclamati l’Iran dovrebbe tutelare i minori, di qualunque etnìa. Le ultime statistiche in circolazione calcolano 2,5 milioni gli immigrati e rifugiati afghani in Iran, la scelta di andare a combattere offre ai giovani e ai loro familiari la possibilità di essere stabilizzati nel Paese. Ovviamente si tratta dell’altra faccia della medaglia mostrata da due terribili realtà: guerra e migrazione. E quest’ultima, nel caso afghano, è direttamente correlata con la condizione di conflitto permanente che affligge la nazione da circa quarant’anni. HRW, che coi suoi addetti s’è recata nei cimiteri dei martiri, il Behesht-e-Zahra di Teheran, e in un altro in provincia di Isfahan, mostra immagini delle tombe che testimoniano come le vittime siano diciassettenni e quindicenni. Tutti sono indicati come martiri dei ‘luoghi santi’ ma sono caduti in combattimento in Siria. Anche rispetto ai dati presenti sulle lapidi e nei colloqui avuti coi familiari di due di loro, HRW sostiene ci sia discrasia: la morte li avrebbe colti quando non erano maggiorenni.
Parecchi giovani miliziani della divisione hazara temono un possibile rientro nel proprio Paese, dove verrebbero reclutati dall’esercito governativo o dai talebani. Per questo fuggono, scegliendo il male che gli sembra minore. Ciò che due anni or sono era apparso come un atto inclusivo, oltre che umanitario, da parte della Guida Suprema Khamenei che sentenziava: “Nessun giovane afghano, anche senza documenti, dovrebbe essere lasciato fuori dalle scuole” risulta di fatto superato da leggi che offrono il permesso di soggiorno a chi s’arruola nella divisione Fatemiyoun, accettandone l’agenda militare. La loro scuola, dunque, è il campo di battaglia. Citando l’Optional Protocol delle Nazioni Unite per i diritti dei bambini, Human Rights Watch rammenta che sfruttare l’impegno bellico dei minori, ma anche reclutarli rappresenta un crimine di guerra. E ne ha per tutti, anche per le sigle che lottano per libertà e autonomia come le Unità di Difesa del Popolo del Rojava, scoperta a utilizzare combattenti al di sotto dei 18 anni. L’organizzazione non governativa apre una visuale che va oltre quelle che gli eserciti ufficiali chiamano “regole d’ingaggio”, ma per certe cause taluni princìpi stentano a trovare comprensione e accettazione.
4 ottobre 2017
articolo pubblicato su enricocampofreda.blogspot.com
Enrico Campofreda
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