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Un Colomban che fa primavera

(8 Ottobre 2017)

colomban e grillo

A tre mesi dal loro primo annuncio giungono in questi giorni le dimissioni di Massimo Colomban da assessore alle Partecipate del comune di Roma. “Rimango a disposizione” ha comunque dichiarato per rassicurare la sindaca. A differenza, infatti, degli altri tesi e sofferti rimpasti della giunta Raggi, l’addio Colomban esprimeva solo soddisfazione, come quella di chi sente di aver ormai compiuto il suo lavoro e può passare ad altro.

L’imprenditore veneto, già candidatosi nel 2010 alle regionali venete nella coalizione guidata dal futuro governatore leghista Zaia, esprime una delle facce del multiforme Movimento 5 Stelle. Un indirizzo che si sta delineando sempre più chiaramente ora che i pentastellati si profilano potenziale forza di Governo e che è stato dettato direttamente dalla Casaleggio Associati. E’ stato infatti il centro grillino a imporne l’insediamento a fine Settembre 2016 dopo le dimissioni di Minenna, assessore al bilancio con delega alle partecipate. La democrazia diretta dell’ “uno vale uno” vale fino a un certo punto, come si sarebbe visto nuovamente sei mesi dopo con l’imposizione da parte del centro decisionale grillino delle dimissioni di Frongia e Romeo, uomini fedelissimi alla Raggi.
Le modalità e il significato dell’insediamento di Colomban sono però passati in sordina. I principali giornali, da sempre concentrati sulle inefficienze e le difficoltà della Raggi e quasi mai sui suoi indirizzi programmatici, si sono limitati a registrarlo come segnale di sfiducia dei dirigenti nazionali pentastellati nei confronti della Giunta di Roma. Le opposizioni sociali hanno faticato invece a prendere parola, da una parte ancora ipnotizzate dalla capacità che ha avuto l’M5S di raccogliere parte della rabbia popolare, dall’altra limitate a una critica pregiudiziale che spesso finisce per ripetere le stesse parole di quei giornali che delle classi popolari se ne fregano.
Colomban però non è mai dispiaciuto ai grandi giornali e il perché è presto detto: il suo operato non si è discostato in nulla dagli indirizzi generali che governano questa città almeno dall’epoca del piano di rientro del debito di Marino, che poi sono gli stessi indirizzi e logiche che governano il Paese. Cioè tagli della spesa, privatizzazioni e liquidazione di alcuni servizi anziché rilancio dell’economia pubblica dentro e oltre i vincoli imposti, in lotta contro questi stessi vincoli. Di lotta ovviamente non se n’è vista, mentre anche del timido audit sul debito annunciato dalla Raggi in campagna elettorale non si è più saputo niente.

La linea di Colomban esprimeva il lato più duro e deciso di questa tendenza, cosa che all’inizio del suo mandato ha portato ad alcune frizioni anche all’interno dei 5 Stelle. Ci riferiamo allo scontro che si consumò con l’allora assessora all’ambiente Paola Muraro (poi dimessasi per via di un’inchiesta giudiziaria a suo danno) sul caso dell’azienda Multiservizi, per il 51% in mano al Comune di Roma mediante l’AMA (l’azienda di raccolta dei rifiuti). La Muraro aveva accolto la proposta dei dipendenti Multiservizi in quel momento in lotta per la difesa del proprio posto di lavoro. Ossia l’acquisizione delle quote private per trasformare l’azienda in una società in house interamente di proprietà comunale e senza più la mediazione di AMA.
In quel frangente il populismo dei grillini sembrava ancora quello di chi, sia pure con ambiguità e incertezze, prova ad accogliere le istanze espresse dal “popolo” che si mobilita e il Comune un’istituzione permeabile ai problemi posti dall’organizzazione e dall’azione collettiva dei lavoratori.
La cosa ha urtato Colomban che è entrato a gamba tesa con dichiarazioni piuttosto ruvide circa i tagli da operare nelle società partecipate dal Comune di Roma. I toni si sono successivamente abbassati, anche per non turbare troppo quel settore di dipendenti diretti e indiretti del Comune che hanno rappresentato parte del bacino elettorale di Virginia Raggi. Questo però non ha significato una politica diversa. Si è invece continuato a lavorare nell’ombra, al riparo dai riflettori e da quelle polemiche che avrebbero prodotto rallentamenti. Quel che presto è apparso chiaro è che si tornava indietro rispetto a Multiservizi e che il proposito di farla divenire una società in house era stato del tutto accantonato. Muovendosi nel solco del Decreto Madia (Decreto legislativo 175/2016) e giustificandosi dietro di esso si è optato per una gara “a doppio oggetto” legata alla costituzione di una nuova società a capitale misto pubblico-privato. Peccato che tanto la stessa Madia con un tweet (per un’evidente logica di schieramento) che, molto più significativamente, l’avvocatura del comune di Roma, hanno smentito categoricamente che questa fosse una scelta obbligata. In parole povere: l’internalizzazione era possibile e non farla è una scelta politica, che è quello che hanno ribadito gli stessi lavoratori con le quasi ventimila firme raccolte con la petizione sostenuta dall’USI per l’internalizzazione.
Questo mutamento di marcia è sufficiente a rendere chiara la filosofia affermatasi in Giunta con l’insediamento di Colomban. Un’ulteriore conferma proviene dall’atteggiamento verso ACEA, la multiutility al 51% di proprietà comunale che gestisce il servizio idrico comunale. Di fronte alle pressioni del Forum dei Movimenti per l’Acqua rispetto alla gestione dell’azienda la risposta dell’assessore è stata: “Acea è una società quotata in Borsa e come tale soggetta a regole che ne tutelano l’indipendenza”. Tutelare l’interesse dell’azienda sembra il modo per il comune di usare i profitti della sua unica azienda florida – che quest’anno ha continuato a elargire dividendi – per rimpinguare le casse comunali. Una scelta in clamorosa contraddizione con una delle cinque stelle dell’omonimo partito di Grillo, dedicata appunta all’acqua pubblica. Che significa zero spese per la ristrutturazione di una rete in cui si perde non meno del 40% dell’acqua e che può portare a potenziali catastrofi, come quella che si è sfiorata con la crisi idrica di quest’estate.

L’approccio di Colomban ha poi trovato il suo culmine nel suo omonimo piano, una delibera della Giunta Capitolina da poco approvata sul destino delle partecipate in linea con le indicazioni del già citato “Piano triennale di rientro” di Marino (concordato con il governo Renzi). Molti analisti hanno trovato consonanze tra questo progetto – che riduce le partecipate da 31 a 11 – e quello presentato, nel febbraio 2015 dall’assessora al Bilancio della Giunta Marino Silvia Scozzese. Colomban sostiene di non averlo neppure letto, ma la filosofia di fondo è la medesima, sebbene a suo tempo i grillini avessero votato contro il provvedimento della Giunta “nemica” ritenendolo, come ricorda Raggi, legato alla sola esigenza di “risparmiare sulla pelle dei cittadini”. Mentre oggi, secondo la sindaca, si sarebbe operato “per efficientare e rendere migliori i servizi”. A detta di Colomban, il risparmio sarà considerevole: circa cento milioni di euro annui, sul lungo termine. Quali saranno, però, i costi in termini occupazionali non è dato sapere, anche se le rassicurazioni della Giunta cozzano con l’ampiezza del taglio operato, che comunque sancisce quale sia l’obiettivo fondamentale: sanare i conti a discapito del miglioramento del servizio e con la prospettiva, nel nome della “razionalizzazione”, che vengano gradualmente ceduti a privati pezzi dell’azienda.
Sono ancora tante le incertezze sugli sviluppi di questo piano, i cui dettagli non sono ben definiti. Quello che è certo è che Colomban, col suo assessorato a scopo, durato solo un anno, ha definito una linea che sembra farsi sempre più strada nel Movimento 5 Stelle. Un segnale mandato alla borghesia nostrana adesso che esso si vuole presentare come forza di governo. Qualcosa di più, quindi, delle chiacchiere sulla “smart nation” di Di Maio che a Cernobbio non hanno incantanto nessuno. Un populismo in cui la comunicazione diretta tra il capo e il suo popolo non veda mai il secondo come protagonista, anche per non creare intralci all’affermazione di quelle volontà confindustriali di cui il Pd non può rimanere l’unico esecutore.

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