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Eric Hobsbawm

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(11 Ottobre 2012) Enzo Apicella

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100 ANNI FA LA RIVOLUZIONE DELL'OTTOBRE ROSSO

(20 Ottobre 2017)

Editoriale del n. 58 di "Alternativa di Classe"

vivalenin!

Sono appena iniziate le celebrazioni, che, prevedibilmente, saranno tante ed in diverse parti del mondo. L'evento non è certo da poco: cento anni fa, il 26 Ottobre 1917 del calendario giuliano (corrispondente al 8 Novembre del calendario “gregoriano”, oggi in uso in Occidente) si concluse l'insurrezione vittoriosa del proletariato russo, scatenata dal Partito Bolscevico di Lenin, con la presa del Palazzo d'Inverno a Pietrogrado, in Russia, avviando, così, una fase nuova per la lotta di classe nel mondo.
L'ordinata sequenza dei fatti storici, che l'hanno originata, meriterebbe ben altro spazio che quello di questo editoriale. E, peraltro, nonostante la radicale e completa, quanto ovvia, avversione dei principali media, che, dichiaratamente o meno, difendono l'ordine sociale esistente oggi, tale sequenza può essere ancora reperita con relativa facilità, data anche l'imbalsamazione con la quale vengono presentati i fatti; e non soltanto, purtroppo, da parte di chi obiettivamente sostiene lo sfruttamento e l'oppressione capitalistici... Si tratta poi, per chi si propone una opposizione sul terreno classista, di compiere numerosi ed utili approfondimenti, con l'ausilio del metodo del materialismo storico dialettico, introdotto da Marx ed Engels.
Interessa qui, invece, porre alcune riflessioni, corredate perlomeno dei riferimenti indispensabili. La rivoluzione fu possibile per il combinarsi dialettico di una situazione oggettiva favorevole sul piano internazionale con un elemento soggettivo che riuscì a porre, fin dall'inizio, i giusti obiettivi in relazione alla fase in atto. Un aspetto che, perciò, ci pare centrale da indagare, oggi che risulta predominante nei livelli di mobilitazione promossi nel movimento operaio un orizzonte al massimo nazionale, è la prospettiva in cui, invece, si ponevano già allora Lenin ed i bolscevichi.
L'atto rivoluzionario si compì in Russia prima che altrove, non perché la Russia fosse allora matura, dal punto di vista interno, per la rivoluzione comunista, ma perché la Guerra Mondiale, in corso dal 1914, le sue enormi carneficine sui campi di battaglia, le sconfitte militari, la fame e la miseria profonda delle masse, avevano, lì prima che altrove, fatto precipitare la crisi sociale e politica, determinando nel Febbraio del 1917, con il crollo dello zarismo, la nascita di un'incerta e vacillante repubblica democratico-borghese incapace di far fronte alle esigenze primordiali di vita delle masse popolari.
L'idea, che animava il Partito Bolscevico nel dare impulso in Russia alla rivoluzione socialista nonostante la secolare arretratezza del Paese, nacque perché la Guerra mondiale aveva confermato ancora una volta ciò che era già trapelato nel 1905, e cioè che, proprio per la sua arretratezza e per la somma delle contraddizioni vecchie e nuove che vi facevano nodo, la Russia era il punto più esplosivo e più debole della catena imperialistica mondiale: l'anello debole che, una volta spezzato, avrebbe trascinato con sé l'intera catena, accelerando il processo rivoluzionario nei paesi più industrializzati ed evoluti d'Europa, a cominciare soprattutto dalla Germania.
Il disegno non era, come molti vogliono far apparire, quello di compiere la rivoluzione in un determinato paese: il disegno nel '17 era la rivoluzione mondiale. Infatti, la rivoluzione che era scoppiata nel Gennaio del 1905 in Russia, durante la guerra contro il Giappone, un conflitto generato dalle mire espansionistiche di entrambe le potenze e che si era conclusa poi con una pesante sconfitta della Russia, aveva avuto una eco limitata in Europa. I moti avevano avuto carattere spontaneo ed avevano rappresentato il sintomo del profondo disagio causato nella popolazione dalle difficoltà economiche. Da Pietroburgo agitazioni, scioperi nelle fabbriche, moti contadini, manifestazioni, si erano diffuse per tutta la Russia, raggiungendo altre aree dell'impero. Già allora in molte città si erano formati i Soviet, eletti dagli operai, che avevano preso la guida della protesta. In Ottobre, promosso dal Soviet di Pietroburgo, era stato organizzato uno sciopero generale, che aveva costretto, in un primo momento, lo zar Nicola II° a promettere libertà politiche e l'istituzione di un Parlamento (Duma); a Dicembre, invece, l'insurrezione venne schiacciata, ed i suoi protagonisti arrestati o costretti all'esilio.
La rivoluzione che i bolscevichi condussero in Russia fu da loro concepita non essenzialmente come una “rivoluzione russa”, ma come la “prima tappa” di una rivoluzione europea e mondiale; come fenomeno esclusivamente russo, essa non aveva per loro alcun significato, nessuna validità e nessuna possibilità di sopravvivere. Il Paese, quindi, da cui il processo rivoluzionario incominciava, interessava i bolscevichi non per se stesso, cioè per le sue caratteristiche ed il suo destino nazionale, ma come “piattaforma” da cui doveva prendere le mosse un rivolgimento mondiale. Se partendo dalla Russia, arretrata, ma immensa, la rivoluzione avesse poi trionfato in Germania, nell'impero austro-ungarico, in Italia, ecc., le cose avrebbero potuto radicalmente cambiare nel mondo intero.
Ciò che colpisce, riandando con la mente al 1917, è l'inflessibile determinazione attraverso cui il Partito bolscevico aveva, in un breve arco di tempo, messo a punto questa sua visione strategica. Il primo dato rilevante è la rigida intransigenza verso qualsiasi cedimento nazionalistico.
Che i bolscevichi basassero la loro politica interamente sulla rivoluzione mondiale del proletariato è la testimonianza più splendida della loro lungimiranza politica, della loro saldezza di principi. L'idea che li dominava era quella che forma il cuore ed il nucleo stesso di tutto il pensiero di Marx.
La rivoluzione, per i comunisti, è la rivoluzione guidata e diretta dalla classe operaia, ma la classe operaia si sviluppa con lo sviluppo del capitalismo industriale. La rivoluzione comunista è lì:
l'emancipazione concreta dell'uomo. Ma questa emancipazione, tra le sue condizioni storiche e materiali, presuppone non solo la socializzazione del lavoro, ma anche quella rottura dei limiti localistici e corporativi che, al pari di tutte le altre condizioni, si realizza compiutamente nel quadro del mercato capitalistico mondiale.
La linea di Lenin e quella di Trotsky erano inconcepibili fuori dall'analisi di Marx. E INFATTI, PUR RACCOGLIENDO ENTRAMBE LA SFIDA CHE VENIVA DALLA STORIA, E CIOE' LA SFIDA A PENSARE I COMPITI RIVOLUZIONARI DI UN PARTITO OPERAIO MARXISTA IN UN PAESE ANCORA RELATIVAMENTE ARRETRATO, E' CARATTERISTICA DELLE DUE LINEE LA COSCIENZA CHE LO SCIOGLIMENTO, CHE MATURAVA, NON POTEVA ESSERE ALTRO CHE UNO SCIOGLIMENTO RIVOLUZIONARIO INTERNAZIONALE. Ed il luogo decisivo dove si sarebbe giocata la partita non poteva essere altro che nel centro, nelle metropoli stesse del capitalismo (all'epoca, soprattutto in Germania): protagonista principale il moderno proletariato, il soggetto storico della rivoluzione secondo Marx.
Altra prova della coscienza internazionalista dei bolscevichi, la coscienza che essi mostrarono spesso di avere anche del carattere eccezionale, ed in qualche modo contraddittorio, dei compiti che si ponevano al Partito, in quanto strumento della rivoluzione comunista in un Paese ancora immaturo per essa, la coscienza con cui maturò la vittoria del '17, fu la nascita, dopo la fine della Guerra, nel '19, della Terza Internazionale, con il tentativo di riprendere, dopo la deriva nazionalista dei partiti della Seconda Internazionale, che avevano perfino appoggiato i crediti di guerra nei propri rispettivi Paesi, una formazione rivoluzionaria per tutti i partiti comunisti del mondo. E che così fu lo dimostrano i contenuti delle risoluzioni adottate dalla Internazionale fino al 1922-'23.
Nessuno dei dirigenti bolscevichi, e Lenin meno di ogni altro, avrebbe mai accettato la prospettiva di considerarsi irrimediabilmente perduto; egli mostrò a più riprese di avere piena consapevolezza della contraddizione in cui la Storia e lo sviluppo dell'imperialismo gli imponevano di operare. Per padroneggiare quella contraddizione il partito scelse l'unica via giusta che esistesse: non quella di ignorarla o di occultarla, ma quella di assumerne apertamente i termini nella sua strategia. Solo la forza organizzata, che capisce come “guidare”, cioè come far avanzare, tutto il movimento di classe si guadagna seguaci nella tempesta.
Ad aiutarci a chiarire la drammatica situazione di allora in Russia è proprio una lungimirante pagina de ”La guerra dei contadini in Germania”, scritto da Engels nel 1850: ”...il peggio che possa accadere al capo di un partito estremo è di essere costretto a prendere il potere in un momento in cui il movimento non è ancora maturo per il dominio della classe che egli rappresenta e per l'attuazione di quelle misure che il dominio di questa classe esige”. Poi la determinazione con cui Lenin e i suoi compagni hanno pronunciato nel momento decisivo l'unica parola d'ordine che spingesse avanti - ”tutto il potere nelle mani dei proletari e dei contadini” - li ha trasformati, da minoranza perseguitata, calunniata, illegale, i cui capi dovevano nascondersi, nell'unico faro del proletariato dell'epoca.
Fa rabbia il fatto che, invece di coglierne il significato internazionalista, molta parte del movimento operaio oggi, certamente anche sviata da decenni di logiche da “socialismo in un solo Paese”, purtroppo prevalente con la vittoria dello “stalinismo” in URSS, abbia trasformato la percezione comune degli stessi eventi del '17 in una sorta di “rivoluzione nazionale” russa, cui poi sarebbero seguiti altri “modelli” nazionali, come quello cinese, cubano, albanese, e finanche “venezuelano”!... Senza capire che, fuori dai presupposti decisivi dell'Ottobre rosso, che sono, da una parte, un teatro rivoluzionario esteso a tutto il mondo, su cui realizzare “l'unificazione” del genere umano, e cioè il comunismo mondiale e, dall'altra, un soggetto rivoluzionario legato a processi lavorativi scientifici, com'è appunto, il lavoratore (e magari anche il tecnico moderno), l'intero discorso di Marx resta campato in aria...
Oggi lo sviluppo del capitalismo imperialista è giunto ad una fase più che matura, con una estensione pressoché planetaria, ed in cui restano davvero pochi i settori della vita umana da conquistare ai meccanismi di autovalorizzazione del capitale (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno V n. 57 a pag. 2). Insieme all'emergere di nuove potenze concorrenti ( con Cina ed India in primo piano), vi è stato un aumento mondiale di centinaia di milioni di nuovi lavoratori delle fabbriche, e quindi di sfruttati e proletari, anch'essi oramai a livello planetario. La contraddizione di classe, quindi, e la conseguente necessità di lotta, non sono certo sparite; anzi...
Mai come oggi la concentrazione delle ricchezze mondiali si e potenziata, tanto che una sparuta minoranza di persone ha ricchezze e reddito pari o superiore ad intere grandi nazioni, cioè a diverse centinaia di milioni di proletari, e che purtroppo pochi mettono davvero radicalmente in discussione! All'accentramento del comando capitalistico, corrisponde oggi il decentramento della gestione dei suoi meccanismi, che richiede di essere capillarizzata; è per questo che appare davvero perlomeno miope, se non coscientemente controrivoluzionaria, quella logica che vede ancora oggi nel decentramento autonomistico e nella secessione indipendentista una prospettiva in senso favorevole ai proletari.
Le crisi cicliche del sistema non sono certo sparite, ma diventano anzi sempre più pesanti negli effetti, rendendo sempre più difficile per il capitalismo recuperare quei margini di sviluppo che gli consentano di tenere in piedi le sovrastrutture politico-sociali. Il portato principale di questo sistema è sempre più rappresentato dalla distruzione di ambiente e risorse e dalla diffusione della guerra. Andando a cercare dietro le quinte di tutte le numerose guerre regionali in essere nel mondo, anche quando propagandate come derivanti da conflitti etnici e/o religiosi, fatte con armi convenzionali o più sofisticate, vi sono sempre gli interessi dei grandi gruppi economici del capitalismo ormai mondializzato. Ed a farne le spese sono sempre gli stessi soggetti sociali: i proletari e le masse povere.
NON E' VERO CHE LA FAME NEL MONDO E LA DEVASTAZIONE AMBIENTALE SONO INEVITABILI e solo da arginare e/o tamponare! La questione delle questioni è il porre fine a questo tipo di sistema sociale. Per potere fare questo, non si tratta di accodarsi ad ogni iniziativa della borghesia in questa o quella parte del mondo, pur avendo le migliori intenzioni di trarne vantaggio “per i lavoratori”, o di “raccogliere le bandiere lasciate cadere dalla borghesia”, ma di mettere al primo posto, pregiudizialmente, oggi più che mai, dato il livello raggiunto dallo sviluppo internazionale delle forze produttive, il collegamento, altrettanto internazionale, dei comunisti per l'indipendenza di classe. Solo questa è la condizione preliminare con la quale tale forza, nuova “potenza” fra le potenze, potrà andare a valutare anche le possibilità che una singola e determinata presa di posizione su aspetti prettamente locali, possa contribuire ad un reale avanzamento complessivo delle condizioni soggettive internazionali in direzione della fine di questa “civiltà” della sopraffazione.

Alternativa di Classe

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