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L'angoscia dell'anguria

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(24 Luglio 2013) Enzo Apicella

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Dove s’infrangerà l’iperbole del Capitale

(28 Dicembre 2017)

La fase terminale del capitalismo, dopo aver ingorgato il mondo con merci e capitali, si caratterizza con lo sviluppo abnorme, rispetto alle esigenze della produzione di merci, della pura speculazione finanziaria, che fa aggio sulla circolazione. Il processo storico di smaterializzazione della moneta, che è partito dalla carta come segno aureo ed è approdato alla moneta scritturale bancaria non convertibile, nell’iridescente mondo della finanza fa che le quotazioni dei segni di valore salgano o scendano in relazione ad eventi che più nulla hanno a che fare con la realtà di produzione e commerci. Ma questa moneta, che si estrinseca nelle diverse aree statali come divisa nazionale, soggetta alla dinamica dei cambi, è anche soggetta alle “regole” di un particolare mercato speculativo, e tuttavia è ancora effettiva moneta in senso proprio; è la moneta capitalistica per eccellenza.

La nostra teoria ha previsto questo processo, il mutamento della sua forma esteriore non ha per nulla rappresentato una rottura con la nostra analisi marxista.

«Con lo sviluppo del capitale produttivo di interesse e del sistema creditizio ogni capitale sembra raddoppiarsi e in alcuni casi triplicarsi a causa dei diversi modi in cui lo stesso capitale o anche soltanto lo stesso titolo di credito appare in forme diverse in mani diverse. La maggior parte di questo “capitale monetario” è puramente fittizio. Ad eccezione del fondo di riserva, tutti i depositi non sono altro che crediti sul banchiere, che non si trovano però mai in deposito. In quanto essi servono alle transazioni di compensazione, hanno la funzione di capitale per i banchieri, dopo che questi li hanno dati in prestito. I banchieri si pagano reciprocamente i rispettivi assegni su depositi che non esistono, mediante cancellazione reciproca di questi crediti (...) Nel sistema creditizio (...) tutto si raddoppia e si triplica trasformandosi in una pura chimera» (“Il Capitale”, Libro III, sez. V, cap. XXIX).

La storia dal capitalismo si caratterizza, proprio per questa natura “fittizia” dell’equivalente generale, come vicenda di crisi reali e di “bolle”, cioè crescite spropositate ed anomale dei prezzi di particolari classi di prodotti, che sono poi seguite da crolli altrettanto subitanei e drammatici. Col solo risultato di spostare da una parte ad un’altra enormi masse di denaro, senza che questo induca alcuna effettiva crescita del processo produttivo, della sua trasformazione Merce-Denaro.

Nella fase della crisi questa dinamica caratterizza il rallentamento, fino al blocco, della circolazione: «Non appena subentra un ristagno provocato dai ritardi dei riflussi, da saturazione dei mercati, da caduta dei prezzi, la sovrabbondanza di capitale industriale persiste sempre ma in forma che non gli permette di adempiere alla sua funzione. Una massa di capitale-merce, ma invendibile. Una massa di capitale fisso, ma in gran parte inattivo a causa del ristagno della produzione. Il credito si contrae: 1) perché questo capitale è inattivo, ossia ristagna in una delle fasi della sua riproduzione, perché non può compiere la sua metamorfosi; 2) perché è infranta la fiducia nella fluidità del processo di riproduzione; 3) perché diminuisce la domanda di credito commerciale» (cap. XXX).

Il percorso della bolla è diverso, anche se può indurre, e spesso induce, un processo di crisi, che però sia già latente; per questo motivo non abbiamo mai assunto la bolla speculativa a causa prima della crisi capitalistica – crisi nel nostro senso, ovviamente, di sovrapproduzione.

Di “bolle da speculazione” è piena la storia del capitalismo. Nel secolo scorso gli esempi drammatici e dirompenti abbondano; ogni volta il sistema capitalistico ha potuto ricominciare il suo demente andare, anche se sempre con maggior fatica, e conseguenze sempre più gravi. Non possiamo qui farne l’elenco, basti rammentare quella che da tempo si dichiara terminata, la lunga crisi degli otto anni, la più lunga di tutte, esempio solare di crisi scatenata da una bolla finanziaria.

È una miserabile illusione piccolo borghese quella che presume la crisi finanziaria, e di conseguenza la probabile crisi produttiva, come un effetto della cattiva gestione dei meccanismi capitalistici e finanziari da parte di governanti incapaci, o venduti ai “poteri forti”, banchieri senza scrupoli, avidi rentiers in cerca di facile e subitaneo arricchimento. Non esiste capitalismo perfetto, non esiste finanza etica e responsabile del bene pubblico. Chi se la sogna sta comunque nel campo, anti-umano, del capitalismo putrescente.

La finanza, che con facile critica si definisce “speculativa”, ha da sempre inventato nuovi strumenti opachi e ingannevoli per muovere il capitale fittizio, una massa oggi immane manovrata dagli specialisti della frode, del “subito guadagno”. Tutto questo moltiplica in un gioco di specchi la dimensione virtuale dei valori. Oggi è sostenuta ed innervata da una vertiginosa tecnologia che, usata a fini cotanto meschini, permette di tracciare e consolidare qualunque tipo di contratto, totalmente impenetrabile ad ogni criterio di controllo e disciplina “legale”. Anzi, legislazioni ad hoc e strumenti di controllo addomesticati facilitano il meccanismo truffaldino.

Non basta, è ora il tempo delle “criptovalute”, fascino lascivo di smaterializzazione di una borghesia sopravvissuta ai suoi fasti. Sarebbero al di sopra di ogni disciplina istituzionale e statale, manovrate da entità sconosciute e blindate ad ogni indagine. La cosa in sé non ci scandalizza minimamente. Il precipizio a cui si approssima la “finanza moderna” è iscritto nella storia e nel suo procedere demente, e non ci poniamo criteri etici o morali nel giudicare tanta “novità”. La registriamo freddamente per misurare il grado di dissoluzione ed impotenza cui giunge il declino del modo di produzione capitalistico. È il capitalismo trascinato tutto in una iperbole senza fine e misura, che nel “bitcoin” solo si rispecchia. Un’iperbole che può infrangersi, e ripartire, solo nella discontinuità della guerra mondiale, che venga ad azzerare tutti i debiti e i conti in rosso. Un fallimento generale del capitalismo, ma anche una sua mostruosa infernale rigenerazione.

Non stiamo a chiederci se quella del “bitcoin” e congerie sia veramente “valuta”, adatto alle specifiche funzioni di ciò che viene genericamente chiamato denaro; curioso pagare con qualcosa che nessuno “garantisce”. O solo marketing per venderti l’improponibile, strumenti per spingere oltre il movimento speculativo. Inutilmente gli economisti borghesi invitano alla ragionevolezza gli incauti investitori attirati come mosche dal miele. La speranza nei Tulipani non muore mai: sarà una nuova bolla fatta artatamente crescere per raccogliere “risparmi” che finiranno, allo stringere, nei conti di anonimi grandi speculatori.

E l’appetito vien mangiando: non ne bastava l’emissione, in questi giorni c’è stata anche l’ammissione del “bitcoin” al mercato dei “futures”, si può cioè scommettere sull’andamento dei prezzi della “criptovaluta”. Follia finanziaria al quadrato.

Naturalmente nulla ci interessa delle sorti di questa “novità”, né chi rimarrà prima o poi fregato da questo ennesimo colossale imbroglio. Ci limitiamo a notare che dopo quasi dieci anni di ininterrotta crisi capitalistica nuovi detonatori sono innescati, alla faccia del minimo di raziocinio e prudenza invocati dai cosiddetti esperti ai governi ed alle autorità monetarie.

Ma queste sono virtù tutt’affatto ignote al capitalismo, che continua imperterrito a scavare la sua fossa

PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE

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