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Il Fiscal compact è legge comunitaria, la BCE pronta ad espropriare i conti correnti

(23 Gennaio 2018)

fiscal compact

Il 1° gennaio 2019 entrerà a pieno regime il Fiscal Compact, il che significherà dover tagliare circa 50 miliardi l'anno di spesa sociale per i prossimi vent'anni, per portare il debito al 60% del Pil, come sancito dal trattato di Maastricht. Cosa che in realtà non si verificherà, visto che il pagamento degli interessi fa costantemente salire il debito, oltre al fatto che le misure d'austerità e deflattive stanno portando sempre più al collasso la produzione, quindi sempre meno lavoratori potranno sostenere questa pressione fiscale. Pressione fiscale che si farà sempre più asfissiante su un sempre maggior numero di persone, ma comporterà, per forza di cose, minori entrate al Ministero del Tesoro. E col Fiscal Compact tutto ciò verrà accentuato ancora di più, visto che è stato inserito nella legislazione europea e sarà quindi in vigore dal 2019. E laddove i suoi rigidi parametri non saranno rispettati, ci saranno sanzioni pesantissime e il paese dovrà subire "l'ira dei mercati" (aumento dei tassi d'interesse, difficoltà nel rifinanziare il debito, ecc).

Finora il Fiscal Compact era stato soltanto un trattato intergovernativo, e in virtù di ciò poteva essere annualmente oggetto di deroghe e flessibilità, concesse dalla stessa Commissione Europea, per non far perdere ai governi nazionali ulteriore consenso.
Come sempre avviene per vicende così scomode, che per chi governa è bene che tutto ciò non si sappia. Il silenzio più assoluto da parte dei media avvolge il tutto, mentre non mancano le perplessità su questo meccanismo, che si basa su parametri astratti come lo scostamento tra crescita reale e “potenziale”, di fatto impossibile da determinare con certezza. Anche per questo è stata necessaria finora la suddetta flessibilità. Ma la trasformazione in "regola comunitaria” eliminerà ogni margine di elasticità, rendendo tutta la procedura di scrittura della Legge di bilancio (la legge più importante dello Stato) niente di più che una formalità contabile già determinata, con vincoli fissati a prescindere dal ciclo economico.

In pratica, grazie al Fiscal Compact assisteremo su larga scala a ciò che la Troika ha già imposto alla Grecia. Sarà direttamente la Commissione Europea a decidere delle voci del bilancio nazionale e a dettare quindi le manovre finanziarie ai vari paesi. È già stato deciso sempre in ambito comunitario che le risorse destinate alle spese militari dovranno raggiungere in tempi brevi il 2% del Pil, per procedere alla costruzione di un sistema militare continentale. Va da sé, quindi, che le voci più consistenti del bilancio statale, costituite ancora oggi da sanità, pensioni e istruzione, subiranno tagli ancor più drastici di quanto non sia già accaduto da venticinque anni a questa parte (cioè fin dai tempi del Trattato di Maastricht). Ne consegue che i prossimi governi saranno dei meri prestanome della Commissione Europea e della BCE in materia economico-sociale. Non che fino ad oggi sia stato molto diverso, ma adesso è ufficiale. E il tutto è sancito da regole immodificabili (serve l’unanimità di tutti gli Stati membri per cambiarle, come quando vengono firmati). D'altronde lo stesso Draghi pochi anni or sono ebbe a dire che si è innestato il "pilota automatico".

E dire che tutti i partiti che dal 2008 si sono alternati al governo di questo paese provano ad avere buon gioco illudendo ancora le masse che si possa “disobbedire ai trattati”, attenuare l'austerità, riformare la UE e quant'altro. Non c'è nulla da “riformare”: o si stracciano i trattati o non ci sarà alternativa ad un sistema capitalista che stritola sempre di più le masse con austerità, precariato, disoccupazione e povertà dilagante.
In tal senso va visto il monito arrivato da Bruxelles al governo italiano agli inizi dello scorso mese, di non fare "passi indietro" riguardo le pensioni, visto che a dire dei burocrati della Commissione l'Italia potrebbe essere tra i cinque paesi non in grado di "onorare" il debito pubblico. Un segnale forte lanciato al futuro inquilino di Palazzo Chigi, affinché continui sulla linea tracciata. È un messaggio che serve anche a fare nuovo terrorismo psicologico sull'ineluttabilità del continuo taglio delle risorse, affinché la maggior parte di esse siano destinate al pagamento di un debito impagabile contratto con banche e grandi investitori.

Un fulmine non certo a ciel sereno, visto il potere immenso nelle mani della banche, che non si accontentano di togliere persino i diritti più elementari alle masse lavoratrici ed espropriarle di gran parte delle loro già basse entrate attraverso una pressione fiscale opprimente, ma vogliono prosciugare anche i loro conti correnti come già avvenuto con i "salvataggi" e coi "fallimenti" bancari. Conti correnti che potrebbero essere più a rischio di quanto possiamo immaginare. A metterlo nero su bianco è stata niente di meno che la BCE, chiamata da Consiglio d’Europa ed Europarlamento ad esprimere un parere sul cosiddetto bail in, in merito alla nuova direttiva comunitaria sui "salvataggi" bancari entrata in vigore a gennaio dello scorso anno e oggetto di critiche persino da parte degli stessi governi che l’approvarono senza battere ciglio. La direttiva prevede che in caso di sofferenze bancarie debbano intervenire gli azionisti in primis, in secondo luogo gli obbligazionisti subordinati, dopo ancora gli obbligazionisti senior, infine i correntisti e depositi al di sopra di 100.000 euro. Una linea molto teorica, visto che a pagare per i guai commessi dai dirigenti delle banche e dai grandi azionisti sono sempre i piccoli risparmiatori, in un modo o nell'altro. Ma in futuro le cose potrebbero peggiorare ulteriormente, se fosse accolto il parere della BCE, secondo il quale bisognerebbe introdurre una sorta di “pre-risoluzione” della durata di cinque giorni, nel corso dei quali i conti correnti verrebbero bloccati consentendo l’accesso ai titolari solo per spese giornaliere e dietro l'autorizzazione della banca. Inoltre, l’istituto potrebbe mettere mano anche ai depositi inferiori ai 100.000 euro, in nome della “flessibilità” di intervento. La stessa BCE, però, si mostra consapevole che la misura provocherebbe una sfiducia generalizzata tra i piccoli risparmiatori, i quali si ritroverebbero senza la benché minima garanzia, anche solo sulla carta. Tuttavia, il membro esecutivo della potente banca, Sabine Lautenschlaeger, ha dichiarato di non comprendere le ragioni della paura, perché a suo dire i risparmiatori sarebbero incentivati a diversificare i loro investimenti, anziché "parcheggiare" il denaro sui conti correnti. Draghi invece da tempo fa pressione sui governanti tedeschi affinché avallino l’Unione bancaria, così da non dover più contrattare nulla in materia coi vari esecutivi nazionali. Le resistenze tedesche sono note, temendo di dover condividere rischi a carico attualmente dei contribuenti degli altri Stati membri dell’area.

Lo stesso Draghi ha però dovuto ammettere che l'euro non è più un destino ineluttabile, a differenza di quanto dichiarato fino a poco tempo in modo tronfio, sull'euro come una gabbia chiusa a tripla mandata, e sul fatto che lui e i suoi sodali avrebbero fatto di tutto per difenderlo (visto che hanno costruito le loro carriere su di esso). Il custode della moneta unica ha infatti ammesso, a seguito di un'interrogazione presentata all'Europarlamento, che i paesi che lo volessero, possono rescindere da questo disegno creato per sottomettere le masse all'alta finanza capitalista. Ma da buon tecnocrate, ha anche minacciato che bisognerà pagare il prezzo di quest'uscita, e che come sempre dovranno essere i lavoratori a farlo. Ma sarebbe più alto il prezzo da pagare restando nella zona euro, e va poi detto che sono minacce prive di fondamento, a meno che la Banca d'Italia rimanga privata e si resti quindi sotto scacco della finanza nazionale ed internazionale. Perché se non si rinazionalizza la banca centrale nazionale e l'intero settore bancario, in modo che sia posto al servizio delle masse popolari (e non viceversa), uscire dalla moneta unica privata servirà a poco (con buona pace delle destre e delle sinistre nazionaliste). Le masse dei paesi della zona euro, d'altronde, non hanno alcuna colpa, se non quella di aver subito passivamente questo disegno contro di loro, e non devono pagare più nulla. A pagare il conto devono essere tutti quelli che l'euro l'hanno voluto e difeso in tutti i modi (in primis lo stesso Draghi), anche quando tutte le evidenze suggerivano quanto fosse folle la costruzione di quest'unione monetaria.

Paghino quindi Romano Prodi, Giuliano Amato, Mario Draghi, Jose Manuel Barroso (ora finito in Goldman Sachs), Herman Van Rompuy, Martin Schulz, Jean Claude Juncker, Jean Claude Trichet, tutti gli esponenti dei governi che hanno difeso l'euro e tutti gli altri promotori. Le masse del resto non hanno mai avuto voce in capitolo sulla questione. Carlo Azeglio Ciampi non farà più in tempo.

La situazione è inoltre destinata a peggiorare man mano che tutti i BTP dovranno contenere le clausole CAC entro il 2022 (sancito da un decreto del governo Monti): da adesso in poi, restare nell’euro costerà ai lavoratori e ai pensionati italiani circa 70 miliardi l’anno, metà in perdite e metà in minori guadagni, visto che i detentori del 25% +1 di ogni emissione di titoli potranno impedire che essi vengano convertiti in una nuova valuta. È quanto mai necessario non pagare il debito in mano alle banche. Basti ricordare che dal 1981 (anno in cui la Banca d'Italia e l'intero settore bancario furono privatizzati) sono stati pagati 3.600 miliardi in spesa per interessi sul debito, a fronte di un debito attuale di 2.300 miliardi. Nazionalizzare la Banca d’Italia senza indennizzo per i suoi azionisti, convocare una commissione d'inchiesta che accerti che il debito sia frutto dell'azione fraudolenta da parte dei governi e di banchieri senza scrupoli che lucrano sulla pelle delle masse lavoratrici (e che quindi sancisca che il debito va rigettato) è necessario al fine di far ripartire gli investimenti pubblici e la spesa sociale in modo da creare occupazione con salari equi e lanciare grandi piani di edilizia pubblica, per risolvere la drammatica emergenza abitativa e costruire nuove scuole ed ospedali.

Ma ciò non può avvenire se non nascerà un fronte unico dei lavoratori e un governo dei lavoratori, che costituisca una vera alternativa al capitalismo, in grado di capovolgere gli equilibri attuali, che sorvegli questi processi e sia pronto a guidarli, al pari della macchina statale e di tutti i luoghi di lavoro.

Angelo Fontanella - pclavoratori.it

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