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USA: IMPERIALISMO E LOTTA DI CLASSE
AD INIZIO NOVECENTO

(24 Febbraio 2018)

Dal n. 62 di "Alternativa di Classe"

iww1869

All'inizio del secolo scorso negli USA si era determinata una saldatura tra la rendita, propria dei proprietari terrieri, ed il profitto dell'industria in espansione. L'intera classe padronale stava affermando con forza il proprio dominio, mentre il Paese accoglieva immigrati provenienti dal resto del mondo (in tutto circa 18 milioni, dal 1880 al 1910....) per sfruttare, insieme alla loro forza-lavoro, quella stessa voglia di riscatto sociale, che li aveva spinti oltre oceano, dando loro una “nuova patria” da “servire”.
Ai primi del '900 gli USA detenevano il primato mondiale ...dei morti sul lavoro. Il numero di bambini impiegati come forza-lavoro nel 1900 era raddoppiato rispetto a trent'anni prima. Nell'industria si lavorava 10 ore al giorno per un salario inferiore, in media, del 30% al minimo vitale. Il clima interno era ben rappresentato dal “Darwinismo sociale”, espresso dalla famosa frase di John D. Rockefeller: "la crescita di una grande impresa è semplicemente la sopravvivenza del più adatto". Gli USA, con tale accanito sfruttamento della manodopera, erano divenuti un importante Paese imperialista, che aveva attuato un grosso potenziamento della marina militare, grazie alla vittoria del 1898 sulla Spagna, che, oltre tutto, aveva portato loro il dominio sulle Filippine e Portorico, subito usati come avamposti di penetrazione in Asia ed America Latina.
La “Greater America” ricomprendeva Cuba, strappata anch'essa agli spagnoli, e le stesse Filippine, il cui indipendentismo fu poi schiacciato pesantemente: era nato un nuovo impero coloniale, che presto adottava una politica estera improntata al protezionismo, pagata, ovviamente, dai lavoratori, i cui diritti non venivano riconosciuti. A dominare erano, senza dubbio, gli interessi del capitale finanziario americano, però, anche per i “progressisti”, che, proprio in quegli anni, erano nati, come movimento per i “diritti” civili e sociali. La spinta, infatti all'occupazione anche del Nicaragua, in America centrale, avviata nel 1912, veniva proprio dal ruolo geo-strategico che quel Paese avrebbe potuto rappresentare per i traffici tra gli oceani, l'Atlantico ed il Pacifico.
La I.W.W. (Industrial Workers of the World - Lavoratori dell’industria del mondo) era un sindacato nato il 27 Giugno 1905 a Chicago con il “Congresso Continentale della Classe Operaia”. Era in maggioranza di ispirazione socialista ed in parte anarchica, ed aleggiava in esso uno spirito autenticamente rivoluzionario; per questo motivo era fortemente osteggiato non solo dai capitalisti, ma anche dagli altri sindacati, più morbidi nelle istanze, se non, in molti casi, corrotti e al soldo del capitale. L’I.W.W. arrivò ad essere presente in quasi tutti i settori industriali, dalle miniere alla lavorazione del legno, dai porti all’industria della gomma e ad altri settori. Le lotte che promuoveva erano dure ed intransigenti, e, pur rifiutando il rapporto meramente contrattuale, spesso i lavoratori lo preferivano ai sindacati tradizionali.
Nel 1909 la IWW promosse, fra le altre, la grande lotta dei minatori di McKees Rock, in Pennsylvania, diretta da W. D. Haywood, detto “Big Bill”. Essa, dopo molti scioperi, si concluse vittoriosamente, e fu da esempio alle successive lotte anche in altri settori produttivi.
Tra le tante che si susseguirono in quegli anni, grazie all'instancabile attivismo della I.W.W., grossa eco ebbe anche quella, rimasta nella Storia del movimento operaio, degli operai tessili di Lawrence, nel Massachussets: il famoso “bread and roses (il pane e le rose)”, che le operaie rivendicavano come obiettivo delle loro lotte. Il conflitto era nato l'11 Gennaio 1912 per gli effetti di una legge dello Stato, che riduceva sì l'orario di lavoro settimanale da 56 a 54 ore, ma diminuendo anche il salario, peraltro già nemmeno sufficiente “per comprare il pane”. Ma, giustamente, le lavoratrici volevano anche “le rose”. La piattaforma della mobilitazione, che accettava la riduzione d'orario, indispensabile per le pessime condizioni di lavoro, soprattutto di donne e bambini, presto si allargò, dalla opposizione alla riduzione salariale, alla richiesta di un aumento di paga del 15% ed al pagamento raddoppiato per gli straordinari, fino alla richiesta di riassunzione per tutti gli scioperanti licenziati, senza discriminazioni di alcun genere.
Nel corso della lotta fu inventata, tra l'altro, la forma, nuova per allora, del “picchetto in movimento”, che impediva l'ingresso della polizia nelle fabbriche, insieme a forme di sostegno alla lotta, che coinvolgevano l'intero proletariato della zona, tra cui mense autogestite ed “affidi proletari” dei bambini delle famiglie in lotta. Al canto dell'Internazionale, la lotta si concluse vittoriosamente il 14 Marzo: 250mila tessili beneficiarono di un aumento del 25% per i lavoratori meno pagati e del 15% per quelli più retribuiti, di un aumento per le ore di straordinario, con la riassunzione degli scioperanti.
Lo sciopero fatto dai tessitori aveva fatto clamore sui giornali dell’epoca, e nel mese di Settembre si mobilitarono finanche in Svezia, Francia ed Italia per la liberazione degli ultimi tre componenti del Comitato di sciopero, arrestati pretestuosamente in USA. Avevano scioperato allora in tutto il Paese più di 29mila operai del settore, e la polizia, al servizio dei padroni, aveva attaccato gli scioperanti, provocando molti feriti ed arrestando 333 operai e sindacalisti, di cui poi ben 320 furono condannati fino ad un anno di prigione. L’indignazione per la feroce repressione, oltre all’appoggio ed alla solidarietà degli altri lavoratori del settore tessile, fu grande ed estesa in tutti gli USA, e si allargò poi ad altre fabbriche, comprese quelle di altri settori.
La lotta di classe, che coinvolgeva soprattutto gli immigrati recenti, ma anche quelli di prima e di seconda generazione, era ad un livello fortissimo, date le necessità padronali di cercare di soddisfare le esigenze del rampante imperialismo USA. Spesso il padronato riusciva a fare ritornare indietro le condizioni di vita e di lavoro, annullando alcune delle conquiste, costate sforzi pesantissimi al proletariato, che versava in condizioni pessime: era questo ciò che stava avvenendo anche a Lawrence nel 1913.
Forti, comunque, dei risultati ottenuti l'anno precedente dai tessili, oltre che in concreta solidarietà con la loro lotta, che stava proseguendo, il 1 Febbraio 1913, esattamente 105 anni fa, a Paterson, a quel tempo centro industriale dello stato del New Jersey, poco lontano da New York, i lavoratori dei setifici locali proclamarono uno sciopero, che venne iniziato anche per vari obiettivi di comparto, tra cui i più importanti furono un aumento salariale e la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.
Nei setifici di Paterson, la maggioranza dei lavoratori era di origine italiana, tedesca ed ebrea, e gli oratori, che intervenivano nelle assemblee, in fabbrica e fuori, usavano la lingua inglese, e qualcuno traduceva poi in tedesco, italiano o ebreo, per quelli immigrati più recenti che non la capivano ancora bene; anche i volantini venivano tradotti in più lingue per favorire una comprensione immediata delle rivendicazioni e delle relative comunicazioni. Lo sciopero fu duro e presto si allargò ad altre città industriali, soprattutto Summit e Philadelphia. Il posto peggiore per gli operai, però, si rivelò proprio Paterson, dove ogni minimo diritto dei lavoratori venne calpestato, si negarono anche le sale per le riunioni, ma non furono le botte della polizia, o degli scagnozzi mandati dei padroni ad assalire i picchetti agli ingressi delle fabbriche, a piegare i lavoratori!
La lotta coinvolse circa 50mila lavoratori e fu estenuante: durò fino all'estate. Molti operai furono letteralmente ridotti alla fame. Nei sei mesi, e più, di lotte dei “setaioli” vennero arrestati 2300 fra lavoratori e simpatizzanti, e tra di essi anche John Reed, che si stava avvicinando alle posizioni socialiste, fece quattro giorni di prigione. Dal punto di vista delle rivendicazioni, la lotta si concluse con una soluzione al ribasso, con la giornata lavorativa a nove ore ed un piccolo aumento salariale. Oggi la vicenda di questi operai viene annoverata come una sconfitta della IWW, ma le dure lotte affrontate avevano sedimentato pratica e coscienza di classe.
La Chiesa cattolica, preziosa alleata del padronato, operò per screditare la IWW, tanto che finanche a Lawrence, dopo l'estate, gli iscritti erano rimasti solo in 700, mentre iniziò a dilagare la recessione con numerosi licenziamenti. Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, gli USA decisero di entrarvi nel 1917 e la IWW, anche per l'esempio costituito dalla Rivoluzione sovietica, fu attivamente contraria, praticando boicottaggio e sabotaggio. Subirono per questo una forte persecuzione, con soppressione della loro stampa, distruzione di archivi, incarcerazioni e perfino deportazioni. Nonostante ciò, anzi forse anche per questo, oltre che per le pesanti condizioni di lavoro e di vita, le lotte ripresero, e nel 1920 fu nuovamente la IWW a guidare una grande lotta dei portuali di New York.
Le esperienze delle lotte degli immigrati in USA di quegli anni rappresentano, comunque, un enorme patrimonio di esperienze, al quale oggi, che l'imperialismo è in una fase storicamente ancora più dannosa per l'umanità, è indispensabile attingere, attraverso la conoscenza e la diffusione di preziosi dati, materiali e documentazioni, da analizzare e discutere.

Alternativa di Classe

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