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L'angoscia dell'anguria

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(24 Luglio 2013) Enzo Apicella

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II° Congresso Regionale Veneto del PRC

Il documento presentato da Progetto comunista firmato dai delegati di Vicenza, Venezia e Treviso

(15 Luglio 2005)

Questo documento vuole essere un’articolazione ed una integrazione regionale del documento “Per un Progetto Comunista” presentato al VI Congresso nazionale del PRC.

I tre anni che ci separano dal primo congresso regionale del PRC, svoltosi il primo dicembre del 2002, confermano l’analisi svolta dal documento presentato in quella assise dalla nostra tendenza sia rispetto all’analisi della crisi capitalistica sia rispetto alle indicazioni programmatiche da noi indicate.

Questo documento ne rappresenta quindi un aggiornamento.

Il mito del “piccolo è bello” sta andando in pezzi e con esso il mito del ricco Nordest. La borghesia del Nordest con l’entrata in vigore dell’Euro non può più utilizzare la svalutazione della lira per sostenere le proprie esportazioni, una condizione che la espone pesantemente alla crisi capitalistica internazionale. Il saggio di profitto può essere mantenuto solo abbassando il costo del lavoro salariato, diretto e differito. Da qui la privatizzazione dei servizi, l’allungamento dell’orario di lavoro, l’utilizzo di tutte le norme di precarizzazione del lavoro (Legge Bossi-Fini e Legge 30), la delocalizzazione degli impianti nei paesi della periferia capitalistica alla ricerca di forza lavoro a basso costo.

Va da se che Regione Veneto e banche sostengono questi processi attraverso ingenti finanziamenti. Né consegue che i luoghi di lavoro sono investiti da un’ondata di cassa integrazione, mobilità, licenziamenti. Per chi rimane in produzione una realtà fatta di bassi salari, flessibilità, precarietà. Non c’è dubbio che i lavoratori immigrati e le donne sono quelli che maggiormente subiscono le conseguenze di queste politiche. L’altra faccia dell’attacco alle condizioni di vita e di lavoro del proletariato presente nella regione è il sostegno dato dalla borghesia veneta agli interventi imperialistici dello Stato italiano.

Il quadro economico-sociale della nostra regione

Nel mese di giugno ’05 venivano registrate in Veneto 427 crisi aziendali, a queste vanno aggiunte 2300 unità produttive artigiane in difficoltà.

Nell’ultimo anno la cassa integrazione ordinaria è cresciuta del 60%, quella straordinaria del 78%, i lavoratori in mobilità/licenziamenti sono aumentati del 52%. Complessivamente a metà 2005 oltre 22 mila posti di lavoro sono a rischio.

La crisi capitalistica colpisce tutte le provincie:

Vicenza è oggi la provincia veneta con il più alto numero di lavoratori coinvolti in crisi aziendali: 4.457, di cui 1.858 tessili, 1.406 metalmeccanici e 1.193 di altri settori. Nel corso del 2005 hanno chiuso i battenti o stanno per farlo le aziende: Lediberg, Imkt, Fisa, Lima, Filatura Isola, Sita, Valbrana, Ellecitty, Confezioni Lella, GebedAlfabeto. Ultima chiusura in ordine di tempo la Fiamm, terzo produttore europeo di batterie, 440 lavoratori in mobilità e con essi oltre 200 operai delle 15 aziende dell’indotto. Ma tagli sono annunciati in molte altre, tra le quali Asi, Hidor, TPA, Lac, Ferrarin, Sartori, Cartiera Burgo, Alcam Pack, Nuova Arte Ceramica, Fimez, De Maso Calisto, Flora, Selecta, Soso.

La provincia di Treviso ha registrato nel 2004 qualcosa come 3.727 licenziamenti e 2.380 cassintegrati. Il crollo del settore dell’elettrodomestico ha comportato in appena due anni il dimezzarsi dei posti di lavoro (erano 10.000 nel 2002). La crisi investe grandi aziende come la De Longhi (con 504 esuberi), la Zoppas (420 posti minacciati). Attraversa una grave crisi la meccanica tradizionale (Alpina, GBS, Saeco, Eurometalnova, Ala, Dhir, Zorzi). Scompaiono settori come quello delle biciclette (Atala e Carnielli). Piccole e medie aziende attraversano gravi difficoltà (Pagnosin, Diadora, Filati del Montello, Olcese). Non viene risparmiato nemmeno il colosso Elettrolux-Zanussi (mancato rinnovo di oltre 100 contratti a termine e minaccia di chiusura della fabbrica).

La provincia di Belluno, a fronte della grave crisi che attraversa il distretto dell’occhialeria, ha registrato in due anni la perdita di oltre 2500 posti di lavoro (da 14.000 a 11.500).

I lavoratori della Safilo (260 lavoratori a rischio) il 31 maggio nel giorno del primo sciopero generale della provincia gridavano “tra i monti il silenzio non è sempre d’oro, il Cadore urla lavoro”, e con la Safilo chiudono le piccole imprese dell’indotto. Il numero delle imprese è diminuito di circa 100 unità. La crisi investe anche le piccole e medie aziende del tessile (Olcese, San Marco, Orlandi) e il metalmeccanico (Kiwi, Invesys, Zanussi).

La provincia di Verona registra la grave difficoltà soprattutto nei settore tessile, nella chimica e farmaceutica, nel legno e metalmeccanico (Bertolaso, Biodan, Cardi, Mirandola, Riello Sistemi, Sime).

Nella provincia di Venezia la zona industriale di Porto Marghera vede una drastica riduzione degli investimenti nella cantieristica e nell’alluminio. Nel Petrolchimico 8.500 lavoratori sono a rischio, Eni ed Enichem hanno deciso di uscire dalla chimica a qualsiasi costo; nel distretto industriale di Santa Maria di Sala (Ve) la crisi investe medie imprese come la Speedline, OMV (gruppo Parpas), l’Aprilia (di cui non è chiaro il progetto industriale di Colaninno), le piccole imprese del tessile come Altino Confezioni (30 lavoratori in mobilità), Vestimenta (80 lavoratori in mobilità) e dei servizi S.M. Service (oltre 30 lavoratori in mobilità); nel Sandonatese la crisi investe il metalmeccanico e la piccola impresa; nella Riviera del Brenta la crisi investe i calzaturifici (Lucia, Fogarin, Sante Borella, Angelo Burlicato, Bottazzin).

Nella provincia di Padova sono aperte decine di crisi aziendali (Zaramella, Cypros, Gruppo Parpas, OMS firema, FinmeK, GBS, Liebert-Hiross, Main Group, Oz, De Nicola, De Angeli, Tecnosistemi) con una crescita esponenziale dei processi di mobilità e cassa integrazione e con la perdita di diverse centinaia di posti di lavoro.

Nella provincia di Rovigo il tessile è quasi sparito lasciando a casa circa 3.000 lavoratori, gravi difficoltà incontrano aziende come la Bassano, SICC (ex Zanussi), Agritalia, Irsap, ACC, ex Peraro, Profine. Anche il settore del commercio attraversa una grave crisi con chiusure di grandi supermercati (Pellicano, Billa, Alice).

I lavoratori rispondono come possono a questa drammatica situazione con scioperi spesso autorganizzati via sms, “chiudono tutto, i vigliacchi. Siamo a spasso” e si corre a presidiare la fabbrica come alla Fiamm di Montecchio Maggiore (Vi), si bloccano le strade come alla De Longhi, scioperi ad oltranza come nel Gruppo Parpas di Padova.

Se la crisi oggi investe maggiormente il settore manifatturiero si fa anche sentire nel vasto ed articolato mondo del terziario.

La crisi inizia ad interessare i settori del commercio e del turismo, in particolare il comparto della media distribuzione, il settore alberghiero e la ristorazione. Settori questi ad alta concentrazione di lavoratori precari.

Le aziende municipalizzate hanno subito in questi anni una pressoché completa privatizzazione divenendo terreno di investimento per i capitali in cerca di valorizzazione.

Le ex municipalizzate in Veneto come nel resto del paese hanno visto un processo di concentrazione ed aggregazione su base interregionale.

Il tentativo di costituzione della NES (Nordest Servizi) con capofila Venezia, con la sua municipalizzata Vesta, ha subito un processo di arresto momentaneo. La sua diretta concorrente, la società formata da Acegas Trieste e Aps Padova, è quotata in borsa e risulta molto impegnata in una capillare campagna di acquisti di piccole società dei servizi sul territorio.

Le farmacie comunali sono state privatizzate a favore delle multinazionali del farmaco. Il processo nel Veneto è stato iniziato dal comune di Venezia e successivamente seguito dal comune di Padova, in entrambi i casi portato a termine da giunte di centrosinistra.

Le Amministrazioni comunali hanno operato un forte processo di esternalizzazione e privatizzazione dei servizi sociali, generalmente appaltati a cooperative, spesso diretta emanazione degli assessorati.

Il “municipalismo federalista” proposto da settori della cosiddetta sinistra alternativa (Verdi, settori dei Centri sociali, aree movimentiste sia interne al Prc che esterne come Nunzio D’Erme) si inserisce in questi processi favorendoli.

La scuola e la sanità non sono stati risparmiati dai processi di privatizzazione.

La scuola pubblica in ambito regionale, oltre che statale, è stata investita dai processi di privatizzazione in ogni suo ordine e grado. Dal 2001 ingenti risorse finanziarie sono state assegnate alle scuole private sotto forma di “buoni scuola” dalla Regione Veneto. L’ingresso del capitale privato ormai si estende dai Servizi alla Prima Infanzia fino all’Università. I Servizi alla Prima Infanzia presentano una molteplicità di tipologie cosiddette innovative (Nido integrato, Nido famiglia, Centro infanzia, Nidi aziendali). Strutture questi ultimi gestiti dai privati che non danno nessuna garanzia in termini assistenziali, pedagogici e di sicurezza, basta pensare ai nidi nei centri industriali. Strutture gestite con personale precario e spesso non qualificato ma finanziate dalla Regione. Nel territorio regionale solo il 73% degli Asili nido “tradizionali” conservano una gestione diretta del comune mentre il 27% sono dati in convenzione ad aziende private. La gestione dei Servizi alla Prima Infanzia innovativi è prevalentemente privata (37% dagli enti religiosi, il 23% da associazioni ed aziende). L’ingresso del privato coinvolge sempre più le scuole materne ed elementari.

L’ Università infine a parere della Confindustria regionale dovrebbe essere a servizio delle imprese, a farne le spese sarà la libertà di ricerca scientifica ed umanistica.

Il processo di privatizzazione della sanità in questi anni si è approfondito ed esteso. L’attività privata intra ed extra moenia esercitata dal personale sanitario copre ormai larga parte delle prestazioni sanitarie. Questa attività costituisce uno dei fattori che assieme alla carenza di personale concorre all’allungamento delle liste d’attesa per esami e visite.

La privatizzazione della sanità ormai coinvolge gli stessi servizi ospedalieri e del territorio. La privatizzazione è iniziata con l’esternalizzazione e l’appalto dei servizi di pulizia e fornitura alimenti, quindi si è estesa ai servizi di radiologia, di laboratorio, il Ceod, il Servizio tossicodipendenti, fino a interessare le stesse strutture ospedaliere.

Nel Veneto come nel resto del paese la precarietà del lavoro salariato dilata come un’epidemia, il “lavoro atipico” tende a divenire sempre più ordinario.

Nel corso dell’ultimo anno il 70% circa delle nuove assunzioni sono avvenute con contratti a termine segnando un grave arretramento nel campo delle conquiste dei diritti sindacali ed una elevata frammentazione ed isolamento dei lavoratori (la Legge 30 prevede 49 tipologie contrattuali diverse).

Ricordiamo che l’introduzione dei contratti atipici è stata resa possibile in seguito al varo da parte del primo governo Prodi nel giugno 1997 del Pacchetto Treu (che ha aperto la strada alla Legge 30) con il voto favorevole del Prc.

Infatti il Prc in quella legislatura sosteneva il governo Prodi dall’esterno, secondo una linea contrattualista, facendo parte della maggioranza parlamentare.

Le sinistre critiche del partito non hanno fatto un serio bilancio di quella esperienza e ripropongono in forme apparentemente più dure rispetto alla maggioranza bertinottiana la stessa linea di collaborazione di classe con la borghesia.

La Confindustria e i Sindacati nella regione

Il 26 ottobre 2004 la Confindustria regionale e Cgil, Cisl, Uil regionali hanno firmato il “Patto per lo sviluppo e la competitività”, un patto concertativo che punta al governo della crisi capitalistica.

Al patto regionale sono seguiti intese provinciali sempre nel quadro della concertazione.

Confindustria regionale nei suoi documenti indirizzati agli esponenti politici di entrambi i poli dell’alternanza borghese, centrosinistra e centrodestra, e al sindacato avanza quelle che sono le sue priorità per contrastare la caduta del saggio di profitto a scapito della classe operaia e delle masse popolari della regione. Ecco in sintesi l’articolazione delle richieste confindustriali:

- Sostegno finanziario ai processi di delocalizzazione ed aggregazione delle imprese per superare la frammentazione aziendale, per meglio competere nei mercati internazionali;

- Impegno finanziario dello Stato e della Regione nella realizzazione di infrastrutture nel quadro di un piano regionale della logistica tale da inserire il Veneto quale snodo dei grandi traffici di merci dei corridori Nord-Sud ed Est-Ovest. In questo ambito un ruolo centrale nei progetti della borghesia veneta occupa il Porto di Venezia;

- Marketing territoriale per attrarre investimenti, qui si inserisce la proposta di un nuovo modello contrattuale, sostenuta sul piano sindacale dalla Cisl, che dovrebbe portare all’abolizione del contratto collettivo nazionale di lavoro per approdare a contratti territorializzati (gabbie salariali);

- Completa liberalizzazione /privatizzazione delle ex-municipalizzate;

- Applicazione sistematica della sussidarietà/privatizzazione nel campo dei servizi pubblici;

- La realizzazione del federalismo fiscale e pieno sviluppo della previdenza complementare in accordo con la burocrazia sindacale e le finanziarie.

A questo articolato programma di attacco alle condizioni di vita e di lavoro del proletariato le organizzazioni sindacali firmatarie del Patto sopra richiamato si limitano ad aggiungere la richiesta alla Regione di sostenere il reddito ai lavoratori espulsi dalle aziende.

Una posizione completamente subalterna alle esigenze padronali e assolutamente insufficiente ad organizzare la lotta e la resistenza dei lavoratori a un processo che li spinge in un vortice di sempre maggiore precarietà ed incertezza.

Nel settore manifatturiero solo la Fiom-Cgil, pur con diverse zone d’ombra legati a funzionari sindacali troppo spesso compiacenti ed asserviti al padronato, ha sostenuto seppur in modo contraddittorio la lotta dei lavoratori, lotta che comunque è sempre rimasta confinata sul terreno aziendale e locale. Nel commercio e nel turismo, in cui si sconta una realtà lavorativa particolarmente frammentata e precarizzata, la combattività dei lavoratori si è realizzata in alcune realtà di nicchia e solo in presenza di delegati e dirigenti sindacali della Filcams-Cgil particolarmente combattivi.

La componente socialdemocratica di sinistra della Cgil, Lavoro Società Cambiare Rotta, in questi anni si è adagiata alla maggioranza della Confederazione fino a configurarsi come parte dell’apparato burocratico della stessa. Anche nel dibattito in vista del congresso nazionale della Cgil del 2006 ha manovrato per il mantenimento delle posizioni burocratiche acquisite.

In questo quadro riteniamo di estrema importanza l’incontro, svoltosi il 13 giugno ’05 nella sede della Cgil regionale a Mestre, promosso da delegati e dirigenti sindacali convinti della necessità di un congresso vero della Confederazione e della conseguente necessità della presentazione di un documento alternativo alla maggioranza di Epifani, un passo importante verso la costruzione di una componente classista in Cgil. I delegati e i dirigenti sindacali di Progetto comunista impegnati nella Cgil sono stati parte attiva di questo processo.

Nella regione sta crescendo in modo significativo la presenza del sindacalismo di base.

La Cub è attiva prevalentemente nel comparto pubblico con una presenza, considerevole nel trasporto pubblico urbano, nel commercio (grande distribuzione soprattutto nel vicentino e nel padovano), telefonia e fra i lavoratori immigrati.

In numerose realtà la CUB rappresenta l’alternativa alle politiche delle burocrazie sindacali concertative diventando spesso per i lavoratori l’unico strumento sindacale di denuncia e di lotta.

Per la sua natura di sindacato conflittuale, per la battaglia più volte esplicitata e agita di opposizione alle politiche dei governi e delle amministrazioni locali sia di centrodestra che di centrosinistra, nonostante evidenti e numerosi limiti, la CUB rappresenta per i comunisti un interessante e sempre più esteso terreno di agibilità sindacale e militanza fra i lavoratori.

Da rilevare la presenza nella regione dei Cobas scuola, sindacato che svolge una funzione importante nella difesa della scuola pubblica.

Nel quadro della lotta contro la riforma Moratti, i cui presupposti teorici liberali si riscontrano nella precedente riforma Berlinguer, i Cobas scuola si sono fatti promotori di Comitati per la difesa della scuola pubblica che vedono la presenza di lavoratori, genitori e studenti. Comitati che i comunisti devono sostenere ampliandoli alla difesa di tutti i servizi pubblici.

I comunisti coscienti dei limiti del sindacalismo, anche il più conflittuale e combattivo, lottano per conquistare la direzione politica dell’azione sindacale e più in generale l’egemonia nella maggioranza del proletariato.

In questa prospettiva è necessario lottare per il coinvolgimento di tutti i lavoratori e delle loro organizzazioni nelle vertenze sindacali, contro ogni separatezza ed autosufficienza di organizzazione sindacale funzionale solo a legittimare settori di burocrazia sindacale.

La conquista egemonica dei comunisti della maggioranza della classe necessariamente passa per la costruzione di tendenze di classe nei sindacati dove si concentra la maggioranza dei lavoratori, nel loro coordinamento ed unità d’azione.

Il quadro politico regionale

Il centrodestra ancora una volta ha vinto le elezioni regionali del 2005, G. Galan sostenuto da una coalizione comprendente Forza Italia, Alleanza nazionale, Udc, Lega nord e nuovo Psi ha ottenuto il 50,5% dei voti. A destra il Progetto Nordest dell’industriale G. Panto ha ottenuto il 6% dei voti e Alternativa sociale 1,1% dei Voti. I dati fotografano un quadro politico regionale fortemente orientato a destra. Una destra fortemente radicata nelle provincie dell’asse centrale, in particolare nella provincia di Treviso, dove si rafforza una destra di natura fascista. Un centrodestra razzista, liberista in economia e culturalmente cattolico conservatrice, radicato nella piccola e media borghesia della regione. Una borghesia che esercita, proprio per la debolezza della sinistra comunista, una forte egemonia culturale e politica nel proletariato di nazionalità italiana della regione. Questa penetrazione razzista determina un pericoloso fattore di divisione del proletariato, di fatto sempre più internazionalizzato.

L’Unione di centrosinistra ha ottenuto il 42,4% dei voti candidando l’imprenditore M. Carraro. La coalizione che lo ha sostenuto comprendeva un ampio schieramento di forze del Centro liberale (DS, Dl-Margherita, Repubblicani Europei, Sdi), conservatrici (Udeur e Idv) e reazionarie (Liga Fronte Veneto), tutte espressione della media e grande borghesia regionale. Con queste forze si è alleata la cosiddetta “sinistra alternativa” (minoranza DS, Verdi, Pdci, Prc), un’alleanza giustificata con l’obiettivo della sconfitta della destra. In dote al Centro liberale la sinistra alternativa portava il sostegno di tutta la burocrazia sindacale della Cgil, compresa Cambiare Rotta.

Rimando politico del “Patto per lo sviluppo e la competitività” firmato con la Confindustria regionale assieme a Cisl e Uil.

Il candidato Carraro, non ha certamente mancato di chiarezza, nella sua prima uscita elettorale a Treviso ha illustrato “i principali punti programmatici del suo progetto per il Veneto” “chiamando a raccolta gli imprenditori che contano compreso Tognana, quel Tognana che sputava addosso al sindacato”. Tutta l’impostazione programmatica di Carraro era conseguente ad un governo per la borghesia di questa regione: dal ruolo delle Banche alle società autostradali, dal destino delle ex municipalizzate alla riorganizzazione delle multiutility (Aps di Padova, Vesta di Venezia, Agsm di Verona, Ascopiave di Treviso), ai servizi sociali e sanitari da affidare, “secondo il principio della sussidarietà”, al terzo settore (3600 aziende cooperative e 15% del Pil in Veneto), dalle grandi opere funzionali al nuovo piano regionale della logistica (A28, Pedemontana, Romea Commerciale, passante di Mestre) fino alla riorganizzazione dei sette distretti industriali. Il ruolo che il Centro liberale dell’Unione assegna alla sinistra politica e sindacale è di favorire il “dialogo tra le categorie imprenditoriali e i sindacati” e quindi di permettere attraverso la pace e il controllo sociale alla borghesia di scaricarne gli effetti della crisi capitalistica sui lavoratori presenti nella regione.

Il Prc

Il Prc come il resto della sinistra socialdemocratica ha sostenuto la candidatura dell’imprenditore M. Carraro e l’alleanza con il Centro liberale.

La segreteria regionale uscente del partito ha dichiarato il proprio entusiastico sostegno al candidato porgendoli “non un elenco di paletti” ma un contributo in sette punti, pubblicati sul n°58 di dicembre 2004 di ARC, giornale della maggioranza del partito, contributo che il candidato ha gentilmente accolto.

Il Prc, tra i sette punti chiede per frenare quei processi di delocalizzazione … una tassa!

Ma complessivamente quei sette punti sono insufficienti a guidare la classe operaia e le masse popolari nella resistenza contro l’offensiva borghese e padronale. La politica di collaborazione di classe seguita dalla maggioranza del partito disarma politicamente e culturalmente il proletariato di fronte all’offensiva politica ed ideologica della borghesia e prepara ulteriori sconfitte. Gli stessi dati elettorali mostrano un grave arretramento del Prc a livello regionale e nelle grandi città.

L’obiettivo dei comunisti deve essere quello di unificare la classe attorno ad un polo autonomo e indipendente dalla borghesia e dai governi.

Unificazione che presuppone una piattaforma di rivendicazioni immediate e transitorie che coinvolgano nella lotta tutta la classe: dai disoccupati agli immigrati, dai lavoratori precari agli utenti dei servizi, dai lavoratori del settore pubblico ai lavoratori del settore privato, dagli studenti ai giovani lavoratori.

Il compito assegnato alla sinistra della coalizione dell’Unione è il controllo del movimento operaio attraverso la burocrazia sindacale: ruolo storicamente svolto dalla socialdemocrazia e dallo stalinismo.

I comunisti conseguenti hanno un altro ruolo e un’altra funzione storica: salvaguardare l’indipendenza di classe del proletariato dalla borghesia e dai suoi partiti, dirigere la classe operaia nella risoluzione dell’alternativa storica: socialismo o barbarie capitalistica.

Progetto comunista si rivolge a tutte le organizzazioni della sinistra politica e sindacale per costruire in Veneto e nell’intero paese un polo autonomo di classe indipendente dalla borghesia e dai suoi partiti.

Solo una vertenza generale contro il padronato e il governo, sostenuta da una piattaforma unificante, può rilanciare la lotta e la resistenza dei lavoratori, dei giovani precari, dei disoccupati.

La vertenza unificante per essere vincente deve essere sostenuta da forme adeguate di lotta: lo sciopero generale prolungato.

Progetto comunista avanza le seguenti rivendicazioni immediate e transitorie:

- garantire l’occupazione e salvaguardare il potere d’acquisto attraverso forti aumenti salariali;
- garantire il reddito ai lavoratori licenziati e ai disoccupati;
- costituire un coordinamento delle fabbriche/aziende in lotta;
- avanzare la richiesta dell’apertura dei libri contabili delle aziende che licenziano;
- difendere il contratto collettivo nazionale di lavoro, per una reale la democrazia sindacale nei posti di lavoro;
- abolire la Legge Bossi–Fini e i CPT (lager per immigrati);
- abolire la Legge 30 e tutte le norme precarizzanti, trasformare tutti i contratti precari in contratti a tempo indeterminato;
- respingere le direttive europee sulla privatizzazione dei servizi e sulla flessibilizzazione/prolungamento degli orari di lavoro;
- estendere l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori a tutte le aziende con meno di 15 dipendenti;
- garantire la natura pubblica della scuola, della sanità, della previdenza e di tutti i servizi essenziali;
- occupare le fabbriche che delocalizzano, licenziano, chiudono;
- avanzare la richiesta della nazionalizzazione sotto controllo operaio delle aziende/fabbriche che delocalizzazano, licenziano, chiudono;

Per un governo dei lavoratori, l’unico governo in cui possono entrare i comunisti, che guidi la rottura rivoluzionaria e prepari la transizione socialista.

Venezia, 02 luglio 2005

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