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Violenza sulle donne

Violenza sulle donne

(30 Aprile 2012) Enzo Apicella

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    #8M: sciopero generale!

    (3 Marzo 2018)

    8 marzo sciopero generale

    La “giornata internazionale della donna” non è ricorrenza da calendario come invece da tempo si cerca di far credere: negli anni questa data è stata sfigurata dalla borghesia, dalle istituzioni dell’imperialismo e dal riformismo, che l’hanno privata del suo carattere di classe, trasformandola in un giorno dedicato a celebrare la “fratellanza delle donne” (tutte le donne, ricche e povere, sfruttatrici e sfruttate). E ad ogni 8 marzo, attraverso i mezzi di comunicazione, venivano resi ipocriti omaggi alla donna in generale, nel tentativo di far passare il concetto che l’oppressione della donna è cosa del passato, perché oggi le donne sono ministre, segretarie di Stato, giudici, presidenti.

    Oppressione e capitalismo

    La “giornata internazionale della donna” non è ricorrenza da calendario come è stato possibile verificare lo scorso anno. L’adesione massiccia di donne e uomini all’appello internazionale per uno sciopero globale delle donne lanciato dal movimento #NiUnaMenos, ha dato vita in numerosi Paesi a straordinarie mobilitazioni durante le quali alle rivendicazioni contro la violenza sulle donne, il maschilismo e l’oppressione, si sono sommate altre richieste come il diritto pieno e gratuito all'aborto, a lavoro uguale salario uguale, contro i piani di austerità ed i tagli ai diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, durante le quali sono state bloccate, in parte o totalmente, la produzione e l’erogazione di servizi. L’uso dello strumento di lotta dello sciopero per dire no alla violenza ha segnato, in parte, l’inizio del superamento dell’interclassismo connaturato ad iniziative precedenti ed ha impostato da un punto di vista di classe il problema, ponendo l’accento sul concetto che la lotta contro la violenza sulle donne è anche lotta contro il sistema economico e sociale che la genera, il capitalismo. La radice della violenza contro le donne è da ricercare nel sistema capitalista putrefatto che utilizza l’ideologia maschilista per sfruttare, opprimere e discriminare le donne. Il capitalismo si nutre della innata differenza tra uomini e donne e la utilizza per dividere la classe lavoratrice e per trarne il maggior profitto. Questo sistema non può e non vuole risolvere la questione di genere perché su queste differenze si basa il controllo sociale di una classe su un’altra. L’ondata di violenza che ha investito l’universo femminile mondiale, non è frutto di un’emergenza, ma la conseguenza di scelte precise, operate da un sistema in crisi, quello capitalistico, che cerca di auto conservarsi e che per farlo scarica sulle spalle delle donne e degli uomini della classe lavoratrice il peso delle manovre di austerità.
    Da questa condizione di oppressione e sfruttamento deriva la ripresa della lotta delle donne negli ultimi anni e non, come alcuni movimenti femministi cercano di far credere, dalla capacità individuale delle donne di liberarsi dalle proprie catene: in questo modo si trasmette l’idea che ogni donna, ricca o povera, possa riscattarsi dalla condizione di oppressione, nascondendo il fatto che le ricche donne borghesi sono nemiche di classe delle donne della classe lavoratrice che, nella loro maggioranza, sono povere e sfruttate. «Qual è lo scopo delle femministe? Ottenere nella società capitalista gli stessi vantaggi, lo stesso potere, gli stessi diritti che possiedono adesso i loro mariti, padri e fratelli. Qual è l'obiettivo delle operaie socialiste? Abolire tutti i tipi di diritti che derivano dalla nascita o dalla ricchezza. Per la donna operaia è indifferente se il suo padrone è un uomo o una donna» (A. Kollontai, 1913). Questa differenza esiste innegabilmente ed è insita nel sistema capitalista che la mantiene e la perpetua. Non è più credibile il richiamo all’unione delle donne in una lotta comune di genere contro l’oppressione maschilista: chiedere o imporre alle donne proletarie – come è avvenuto all’interno del movimento, anche internazionale – di rinunciare alla propria appartenenza politica o sindacale, alle bandiere o ai simboli delle proprie organizzazioni che lottano contro il maschilismo e la violenza capitalista, è una forma di censura oggi inaccettabile e negata dalla condizione storica.

    Lo sciopero dell'8 marzo
    Anche quest’anno per la “giornata internazionale della donna (lavoratrice)” è stato lanciato un appello per uno sciopero globale delle donne, che come donne proletarie sosteniamo perché siamo convinte che occorra restituire all’8 marzo l’originario significato di lotta; perché crediamo che lo sciopero sia lo strumento più rappresentativo non dello scontro di un genere con l’altro ma di una classe con l’altra e, dunque, l’occasione per dimostrare ai capitalisti, uomini o donne che siano, che non abbiamo paura, che siamo in grado di mettere in crisi il sistema produttivo, come gli esempi di lotta e mobilitazioni in questi ultimi anni hanno dimostrato; perché crediamo che la lotta delle donne lavoratrici debba rientrare nella lotta che tutti i lavoratori devono fare contro l’imperialismo.
    Non lasciamo che il maschilismo, l’omofobia, il razzismo, le manovre di assestamento e di austerità che scaricano la crisi economica mondiale sulle spalle dei lavoratori, dei giovani senza lavoro, e soprattutto dei settori maggiormente oppressi come le donne, dividano la classe per incrementarne lo sfruttamento e per favorire l’arricchimento di pochi a danno di molti.
    Lo sciopero dell'8 marzo, a differenza di quanto sostengono molte organizzazione femministe nel mondo, a nostro avviso deve essere un vero sciopero, cioè un momento dello scontro di classe, aperto alla partecipazione di tutte e tutti coloro che della classe fanno parte.
    Occorre un’unione salda su un terreno di classe, occorre il sostegno di tutti i lavoratori nella consapevolezza che si tratta della stessa lotta: le rivendicazioni volte a migliorare le condizioni di vita e di lavoro delle donne devono essere riprese da tutta la classe lavoratrice perché ad ogni diritto che viene strappato alle donne lavoratrici, viene commesso un sopruso in più ai danni dei diritti di tutti i lavoratori.
    Come donne rivoluzionarie, chiediamo ai compagni della nostra classe di aderire e di sostenere lo sciopero indetto per l’8 marzo perché non resti un momento a tutela di metà della classe lavoratrice, ma perché si trasformi in uno sciopero generale in grado di paralizzare il sistema. È necessario coordinare la nostra lotta di donne lavoratrici con quella degli altri lavoratori, per dire no alla violenza del capitalismo, rivendicando un pieno impiego contro ogni flessibilità e precarizzazione, salari uguali per uguali mansioni, controllo delle lavoratrici sui tempi e sugli orari di lavoro, nonché sul "rischio zero" negli ambienti di lavoro, un'istruzione di massa e pubblica senza discriminazioni di classe e secondo le vere inclinazioni di ognuna; per il mantenimento e il potenziamento dei servizi pubblici a supporto delle donne, come asili nido, lavanderie e mense sociali di quartiere, centri per anziani e disabili, consultori e ambulatori pubblici diffusi nel territorio, per sottrarle al doppio lavoro forzato di cura e liberare il tempo per le attività politiche, sindacali, culturali.
    Come Pdac stiamo partecipando attivamente alla costruzione di questa giornata di lotta e mobilitazione, incalzando i sindacati a fornire la necessaria copertura allo sciopero, intervenendo in riunioni ed assemblee, sui posti di lavoro e di studio, nei movimenti di donne e di uomini, per costruire una grande giornata di lotta non solo delle donne, ma di tutti gli oppressi e sfruttati.

    Commissione Lavoro Donne - Pdac

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