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8 marzo, giornata internazionale della donna lavoratrice
Per noi… niente mimose, grazie!

(8 Marzo 2018)

berta caceres

“Svegliamoci, svegliamoci umanità, non c’è più tempo! Le nostre coscienze saranno scosse dal fatto di stare soltanto contemplando l’autodistruzione basata sulla depredazione capitalista, razzista e patriarcale!”.
Sono le parole di Berta Càceres, leader del popolo indigeno Lenca e co-fondatrice del Consiglio delle organizzazioni popolari ed indigene dell'Honduras (COPINH). Con una dura lotta riuscì, insieme al suo popolo, ad evitare la costruzione di una diga sul Rio Gualcarque, sacro ai Lenca, ad opera di una joint venture tra la compagnia honduregna DESA e la cinese Sinohydro, il più grande costruttore di dighe al mondo. Dopo anni di minacce, è stata assassinata nella sua casa il 2 marzo 2016. Pochi giorni fa è stato arrestato il mandante del suo assassinio: il presidente della DESA. Berta è una dei 130 ambientalisti uccisi in Honduras.

L’8 marzo è una giornata di lotta “internazionale”: così vogliamo ricordare alcuni nomi delle donne proletarie, rivoluzionarie, comuniste che nel corso dei decenni hanno lottato in prima fila per un mondo senza sfruttatori, senza oppressori, contro il colonialismo, il capitalismo, l’imperialismo.
Solo alcuni nomi, ma dietro a questi ci sono migliaia e migliaia di donne invisibili che continuano la loro lotta, nelle condizioni più difficili, in tutti i continenti, per un mondo diverso e contro le menzogne imperiali sulle guerre, fatte per “ragioni umanitarie” e per difendere ”i diritti delle donne”, nascondendo il fatto che in Afganistan, in Iraq, in Libia le donne godevano di diritti e condizioni di vita incomparabilmente migliori prima che l’aggressione imperialisti precipitasse i loro paesi in un caos di violenza e di oscurantismo.

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Prima di partire nel nostro giro intorno al mondo, un pensiero va a Rosa Luxemburg, ad Alexandra Kollontaj, a Nadezda Krupskaja e alle operaie russe che il 23 febbraio 1917 (l’8 marzo per il nostro calendario) scesero in sciopero trasformando la giornata in una vera e propria insurrezione.
E, tra le 35.000 donne partigiane, a Onorina Brambilla Pesce, Carla Capponi, Gisella Floreanini e Gina Galeotti Bianchi, la partigiana “Lia”.
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Fu Nwanyeruwa, una donna Ibo della Nigeria, a scatenare la prima, anche se breve, sfida alle autorità britanniche nell’Africa Occidentale. Nel novembre 1929, organizzata da lei, scoppiò la Guerra delle Donne: circa 25.000 donne di tutta la regione protestarono, manifestarono e lottarono contro l’imposizione delle tasse applicata anche alle donne che, tradizionalmente, ne erano esenti. Dopo qualche mese piegarono l’Impero Britannico.
E Lakshmi Sehgal, rivoluzionaria del Movimento per l’Indipendenza dell’India, capitano in un reggimento composto interamente da donne che lottavano - nel decennio del 1940 - contro l’Impero Britannico per la liberazione dell’India.
Cuba, marzo 1952: colpo di Stato di Fulgencio Batista. Una ragazza di nome Celia Sànchez, nata a a Media Luna, figlia di un medico, entra a far parte della guerriglia. Grazie alle sue doti di organizzatrice, i superstiti del Granma riescono a raggiungere la Sierra Maestra da dove partirà l’offensiva che si concluderà il 1° gennaio 1959 con l’entrata dell’Esercito Ribelle di Fidel Castro e Ernesto Che Guevara all’Avana. Prima donna combattente, fino alla morte lavorerà per la Rivoluzione.
Il 1° dicembre 1955 a Montgomery (Alabama), una giovane sartina, Rosa Louise McCailey, più conosciuta come Rosa Parks, rifiutò di cedere il posto a sedere su un autobus ad un bianco. Per quel “NO” fu arrestata e incarcerata. Per 381 giorni la comunità afroamericana di Montgomey boicottò i mezzi pubblici e la lotta si estese a tutto il paese fino a che, nel novembre 1956, la Corte Suprema dichiarò incostituzionale la segregazione razziale sui mezzi pubblici.
Ricordiamo anche Djamila Boupacha, giovane partigiana ventenne del Fronte di Liberazione Nazionale Algerino che combattè contro l’occupazione francese. Arrestata nel 1959, orribilmente torturata, fu condannata alla ghigliottina mentre sui giornali venivano pubblicate le foto dei militari francesi che esibivano trionfanti le teste tagliate dei suoi compagni di lotta (ecco, forse, da chi hanno preso ispirazioni le formazioni terroristiche come lo Stato Islamico, che tagliano gole e teste ai giorni nostri….). Fu salvata dall’esecuzione grazie ad una campagna internazionale di protesta e venne liberata nel 1962 con l’indipendenza dell’Algeria.

Le madri. Tante madri, in tanti paesi, contro le dittature pianificate e organizzate dagli Stati Uniti in America Latina. Il 30 aprile 1977 le prime 14 “Madres” si radunano nella piazza centrale di Buenos Aires, la Plaza de Mayo, sfidando la giunta militare di Videla (durata dal 1976 al 1981) per i loro figli desaparecidos. Solo un nome: Azucena Villaflor De Vincenti, figlia di due operai, che il 10 dicembre 1977 fu arrestata, portata alla famigerata ESMA, torturata e “desaparecida”. Da quel 30 aprile, ogni giovedì, le Madres sfilarono nella Plaza de Mayo fino all’abbattimento della dittatura. Ancor oggi hanno un ruolo importante nella vita politica argentina.
1977, El Salvador: la dittatura di Arturo Molina e Carlos Humberto Romero ha già fatto sparire centinaia di persone, desaparecidas o assassinate. Un gruppo di madri operaie, venditrici e casalinghe fonda il gruppo COMADRES, “Comitato di Madri Arnulfo Romero”. I mercati della capitale San Salvador diventano il loro terreno di lotta: si scambiano notizie, nelle cassette delle uova nascondono i volantini che distribuiscono, si organizzano per aiutare gli orfani, raccogliere medicine per il Fronte Farabundo Martì per la Liberazione Nazionale (FMLN) che lotta militarmente contro la dittatura, fanno lo sciopero della fame in piazza per protesta. Grazie a loro si arriverà agli accordi di pace del 1992.
1970-1980: in Nicaragua un gruppo di madri si organizzano per lottare contro la dittatura della famiglia Somoza, che ha ucciso i loro figli. Si danno un nome: “Madres de Hèroes y Martires de Nicaragua”. Vestono, sostengono, riforniscono di cibo, medicine e armi i giovani sandinisti durante la lotta alla dittatura e in seguito nella battaglia contro la “Contra”, la milizia finanziata dal governo nordamericano, pagando la loro azione con torture, arresti e sequestri.

E oggi? Grazie ad Ahed Tamimi, 17 palestinese arrestata per aver schiaffeggiato un soldato che era entrato di forza nella sua casa e che è in carcere da due mesi con 18 capi d’accusa: non ha porto l’altra guancia. E a Lavinia Cassaro, la maestra che ha insultato i poliziotti che difendevano i nazisti di CasaPound a Torino pochi giorni fa, per cui si invoca il licenziamento e che sta subendo un enorme linciaggio mediatico perchè è un’antifascista. E non dimentichiamo le migliaia di donne migranti, annegate nel Mare Nostrum mentre fuggono dalle guerre, dalla miseria e dalla fame causate dall’imperialismo, quello italiano compreso.

Ecco, vi abbiamo dato qualche nome di donna, che difficilmente troverete sui libri di scuola. Come non vi troverete quelli di altre migliaia di proletarie che non conosceremo mai, ma senza la cui lotta non raggiungeremo la vittoria contro questa barbara società capitalista.

Diceva Assata Shakur, la rivoluzionaria afroamericana ex membro delle Pantere Nere: “Difendo l’autodeterminazione del mio popolo e di tutti i popoli oppressi...Mi batto per la fine dello sfruttamento capitalista, per l’abolizione delle politiche razziste, lo sradicamento del sessismo e l’eliminazione della repressione politica. Se questo è un crimine, sono assolutamente colpevole”.

Quindi -oggi - niente mimose per noi... ma lotta e organizzazione.

Daniela Trollio - Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli, Sesto San Giovanni

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