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(15 Novembre 2010) Enzo Apicella
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(L'unico straniero è il capitalismo)

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(14 Giugno 2018)

Ci sono dei fatti, dei momenti che costituiscono un crinale, una pietra di paragone.
Uno di questi è costituito dall'assassinio di Soumaila Sacko, il bracciante ucciso nel Vibonese mentre aiutava altri lavoratori migranti a recuperare lamiere per costruirsi un riparo di fortuna.
Quest'uomo, questo attivista del sindacalismo di base, è stato ucciso dalla logica, intrinsecamente omicida, disumanizzante, dell'interesse borghese. Quell'interesse borghese che deve prevalere su ogni ragione umana, su ogni principio di civiltà, su ogni criterio di appartenenza che non sia cementato dalla valorizzazione e dalla vocazione al trionfo della sfera privata. Quell'interesse, quella logica che non sono certo meno violenti e brutali quando ad interpretarli sono le più misere, pezzenti, bestiali espressioni della borghesia.
Soumaila Sacko è stato ucciso perché oggi in Italia un proletario come lui - proletario e straniero, immigrato, "negro" - può essere facilmente ucciso. Il clima è favorevole. Il bersaglio è facile. I giornalacci del grande ventre piccolo borghese dell'Italietta padroncina celebrano i loro "eroi": politicanti di lungo corso, nati, cresciuti, pasciuti all'interno del pur tanto deprecato "sistema" che si scoprono uomini di ferreo polso quando c'è da respingere un carico di esseri umani, stranieri, disperati, poveri, deboli, senza santi in paradiso e peso elettorale. È stato ucciso perché il degrado della società capitalistica in Italia è tale che in questo terzo millennio si può avere successo, tanto nella disputa da bar (non di rado declinata nel formato talk show televisivo) quanto nella campagna elettorale permanente, rivendicandosi apertamente razzisti. È stato ucciso perché moltitudini di proletari italiani si illudono ancora - ed è illusione amara, cattiva, avvelenata - che dalla falsa, comoda e ampiamente incoraggiata rivalsa contro lo straniero, il migrante, possa scaturire un avanzamento reale e stabile delle loro condizioni di vita.
Avvenimenti come quello del Vibonese tracciano uno spartiacque: fino a quando un altro lavoratore vedrà in figure come Soumaila Sacko solo un "negro", un immigrato, parte di quella presunta "invasione" che lo depreda delle briciole del capitalismo italico, allora significa che la catena della classe dominante pesa ancora - terribile, lurida, soffocante - sul suo collo. Gli piega la testa e gli impedisce di alzare lo sguardo al vero nemico.
Con il bracciante ucciso è invece morto un compagno, nel senso più autentico e antico della parola. Un uomo che condivideva con milioni di altri proletari, di ogni nazionalità, di ogni origine etnica, il pane della condizione proletaria, impastato quotidianamente di sfruttamento, di incertezza, di precarietà, di mille bisogni da conquistare giorno per giorno nella compravendita della propria natura di merce umana, di mille umane speranze calpestate. La sua vita si salda con la vita collettiva, con la lotta collettiva dei nostri padri, delle nostre madri, dei nostri antenati, quando decisero che nei campi non dovevano essere più soggiogati come bestie, che essere lavoratore - di campo e di fabbrica - non doveva significare la rinuncia ad essere uomo. E uomini come Soumaila Sacko sono compagni anche perché attestano, continuano a dimostrare con la loro esistenza che questo pane condiviso è anche il pane della lotta comune contro il nemico comune, è l'alimento di quel percorso di crescita umana e politica - quel percorso di cui il giovane bracciante aveva compiuto i primi, preziosissimi, passi - che solo alla classe sfruttata può appartenere.
Oggi questo orizzonte può apparire irreale, fantastico, disperatamente utopico. Ma l'instancabile, spietata cura con cui la classe dominante, in tutte le sue articolazioni, si impegna a negarlo, a scongiurarlo, ad esorcizzarlo, anche con il ricorso alle più vergognose, belluine, ideologie tribali, è lì a dimostrare le potenzialità, la potenza storica della "scoperta" dell'appartenenza di classe come condizione fondamentale dell'esistenza collettiva.
è oggi certo più facile sproloquiare di immigrati privilegiati, di migranti stipendiati dallo Stato a decine di euro al giorno, alloggiati lussuosamente a spese dei poveri italiani, di "pacchie" destinate a finire grazie al nuovo Demiurgo asceso al Viminale. è un esercizio comunque utile per la borghesia (con una classe subordinata divisa, con l'utile nemico immigrato a fare da valvola di sfogo, il capitale può procedere con più tranquillità a torchiare il proletariato) e gli applausi, i grugniti di approvazione arrivano puntuali.
La verità del bracciante nero, straniero, come compagno, come proletario nel proletariato, va conquistata, oltre le superficiali apparenze e le meschine interpretazioni della realtà che della realtà non spiegano la dinamica profonda e accecano ulteriormente gli sfruttati. È lotta, è impegno, ma da lì si deve passare e si passerà.

Prospettiva Marxista

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