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Eric Hobsbawm

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(2 Ottobre 2012) Enzo Apicella
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Mutualismo: il Novecento – Duemila

(30 Giugno 2018)

Proponiamo alle lettrici e ai lettori il secondo contributo sul mutualismo prodotto dalla Federazione del Sociale Usb Viterbo e da Silvio Antonini, storico documentalista viterbese.

camera del lavoro di milano

Con il Novecento, con l’ampliarsi della classe operaia in Italia e l’influenza del socialismo scientifico, il marxismo, declinato a seconda delle interpretazioni e dei tempi, a discapito dell’utopismo, il movimento dei lavoratori non supera le strutture mutualistiche ma le affianca alle altre di cui man mano si dota. Alle urgenti esigenze di assistenza si associa infatti, sul terreno della lotta di classe e del conflitto capitale-lavoro, la necessità dell’organizzazione sindacale (la Confederazione generale del lavoro, Cgl, nasce nel 1906), con le camere del lavoro, e di quella politica (il Partito dei lavoratori italiani, poi Socialista, era nato nel 1892), con le case del popolo, luoghi di riunione non solo per i socialisti ma anche per repubblicani, anarchici etc. Accanto a ciò, l’organizzazione della produzione e del consumo dei beni di prima necessità, nella forma cooperativistica. Si tratta di luoghi anche di formazione ed irradiazione dei saperi, soprattutto attraverso conferenze, in cui ormai si consuma gran parte della vita degli aderenti, anche per il tempo libero, con, ad esempio, le feste da ballo destinate alla sottoscrizione. È il cosiddetto dopolavorismo, che una certa lettura revisionistica vuol far risalire al Regime fascista ma la cui origine è tutta nel movimento operaio.

Per questo circuito si parlerà, per la prima volta in Italia in termini politici, di “Resistenza”. Nel dibattito che intercorreva in seno al socialismo di inizi Novecento, i gradualisti, riformisti, concepivano questa come il fine; per i rivoluzionari, massimalisti, doveva invece rappresentare la preparazione per una società socialista a venire, da raggiungere con, appunto, la rivoluzione.
Un circuito sempre più grande e in grado di concorrere con il capitalismo e le secolari istituzioni ecclesiastiche, sebbene non estraneo alle burocratizzazioni che Gramsci aveva denunciato nei suoi scritti giovanili, e che non a caso sarà il principale obiettivo nella guerra di movimento scatenata dallo squadrismo fascista nel Primo dopoguerra. Proprio mentre il movimento operaio e contadino si lanciava con inedita veemenza nel Biennio rosso, nelle occupazioni delle terre e nelle lotte contro il carovita, in simbiosi con il combattentismo di guerra e con l’esempio della Rivoluzione d’ottobre, il circuito della classe operaia si scopriva totalmente impreparato allo scontro fisico. Da qui l’esigenza di organizzazioni squadristiche in grado di fronteggiare la violenza fascista, e la conseguente creazione dell’autodifesa proletaria, culminata con la nascita degli Arditi del popolo.

Il Regime fascista assumerà su di sé, come aveva già iniziato a fare lo Stato liberale, alcuni aspetti inerenti l’assistenza ed il mutualismo, in un’ottica però di soppressione del conflitto di classe, tentata poi con il corporativismo. Si rimanda quindi tutto alla Resistenza e alla successiva Ricostruzione, dove ad occuparsi del versante assistenza e mutualità è il mondo associativo del combattentismo e del partigianato, e un po’ tutti i partiti facenti capo al Cln. Fuori da questo si muove, dopo la Liberazione del Lazio, il Movimento comunista d’Italia – Bandiera rossa, la più grande formazione resistenziale della regione, che organizzerà nelle borgate romane e nel Viterbese dei mercati autogestiti per vendere i prodotti di prima necessità a pressi calmierati. Un’esperienza importante, sebbene il partito dei “comunisti intransigenti” sarà destinato in brevissimo tempo all’implosione, tagliato fuori dai nuovi assetti politici.

Con il boom economico si assiste ad un progressivo affrancamento delle richieste legate ai bisogni, per così dire, primari, mentre il versante cooperativistico va man mano mutando, nei fatti, la propria fisionomia fino ad assumere, sovente. quella dell’impresa capitalistica tout court. Tuttavia, a seguito della Contestazione, vengono rilanciate dalla Nuova sinistra alcune forme mutualistiche storiche del movimento operaio, in chiave rivoluzionaria. Si va, per parlare di quelle più celebri, dal Soccorso rosso per fronteggiare le spese processuali ai Mercatini rossi di Lotta continua. Possono inserirsi in questo quadro anche le pratiche, sconfinanti nell’illegalità e promosse principalmente dall’Autonomia operaia, dell’autoriduzionismo nella fruizione dei beni di consumo (la corrente e l’affitto come i concerti) e dell’esproprio proletario, che hanno caratterizzato l’insubordinazione giovanile negli anni Settanta, con strascichi nel decennio successivo ed episodiche riproposizioni.

Il problema si è ripresentato così ai giorni nostri. Se la sinistra che aveva rifiutato la Bolognina, cioè la liquidazione del Pci (Rifondazione et similia), negli anni Novanta era andata sempre più cercando la propria ragion d’essere nei diritti civili, fino ad assumerli come aspetto centrale del proprio agire, con la Crisi mondiale esplosa nel 2007 ed il conseguente, seppur relativo, impoverimento diffuso, è riemersa, in forme certo nuove, la questione sociale.

Sicuramente, ai fini della conquista di fette non irrilevanti della società e del conseguimento di risultati che possano dirsi politici, occorre saper unire al volontarismo, alla disinteressata generosità umana, un progetto omogeneo, netto, di trasformazione della società stessa nel suo insieme. Insomma, vale ancora quell’indissolubile binomio mazziniano “pensiero e azione” da cui tutto è iniziato.

Federazione del Sociale Usb Viterbo e Silvio Antonini, storico documentalista

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