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Per non dimenticare il 7 luglio 1960 e i 5 morti di Reggio Emilia

(7 Luglio 2018)

Come si è già avuto occasione di rammentare in altre occasioni, nel corso del mese di Luglio del 1960, l’Italia repubblicana visse uno dei momenti più drammatici della sua, in allora, giovane storia.
In quel momento era in carica un governo monocolore democristiano appoggiato dall’MSI – il partito neofascista erede della Repubblica Sociale – e presieduto da Fernando Tambroni.
Un governo del quale è il caso di ricordare l’esatta composizione:
Presidente del Consiglio Tambroni, Cassa per Mezzogiorno Pastore, Pubblica Amministrazione Bo (fino all’11/4/1960), rapporti con il parlamento Angelini, Esteri Segni, Interno Spataro, Giustizia Gonella, Bilancio Tambroni ad interim, Finanze Trabucchi (quello dello scandalo delle banane n.d.r), Tesoro Taviani, Difesa Andreotti, Pubblica Istruzione Medici, Lavori Pubblici Togni, Agricoltura Rumor, Trasporti Sullo fino all’11/4/1960 poi Ferrari Aggradi, Poste Maxia, Industria Colombo, Lavoro Zaccagnini, Commercio con l’Estero Martinelli, Marina Mercantile Jervolino, Partecipazioni Statali Ferrari Aggradi, Sanità Giardina, Turismo e Spettacolo Tupini.
Dal 30 giugno, giorno dello sciopero generale indetto a Genova per protestare contro la convocazione del congresso dell’MSI nel capoluogo ligure, erano in corso grandi manifestazioni in tutto il Paese con l’obiettivo di far cadere un governo sostenuto dall’estrema destra.
Si verificarono scontri violenti con la polizia e i carabinieri in molte città d’Italia e proprio il giorno di oggi, 7 luglio, di 58 anni fa, a Reggio Emilia la polizia sparò ad altezza d’uomo verso i manifestanti causando 5 morti.
Il governo Tambroni poi si dimise il giorno 19 dello stesso mese, dopo che si erano verificati altri incidenti e la polizia aveva di nuovo sparato causando altre vittime.
Questa è la cronaca della drammatica giornata di Reggio Emilia.
A Reggio Emilia, il 7 luglio, lo sciopero generale era stato proclamato in seguito ai fatti di Licata e di Roma, cioè di Porta San Paolo dove i carabinieri a cavallo guidati dal futuro campione olimpionico Raimondo d’Inzeo avevano aggredito un corteo di deputati comunisti e socialisti che stavano recandosi a deporre una corona d’allora alla lapide posta accanto alla Piramide per ricordare i caduti alla difesa della Città il 9 settembre 1943, al momento dell’invasione nazista.
Lo sciopero di Reggio ottenne la totale adesione delle lavoratrici e dei lavoratori:90% alle Fonderie Reggiane, 100% alla Bloch, 100% alla Lombardini, così come nelle fabbriche di Luzzara, Correggio e negli altri comuni della provincia.
Quel giorno però si verificò anche la più grave aggressione subita dalla Città emiliana dalla Liberazione: 5 morti, 21 feriti, 21 arrestati, 70 denunciati.
Sullo svolgimento di quegli avvenimenti esiste una vastissima documentazione: centinaia di testimonianze firmate, decine di fotografie e persino una registrazione sonora.
La provocazione poliziesca era stata preparata in anticipo.
Il comizio era stato prima proibito, poi autorizzato ma all’interno della Sala Verdi che conteneva 300 posti mentre era prevedibile la partecipazione di migliaia di persone.
Furono vietati anche gli altoparlanti fuori dalla sala.
Quando i manifestanti si erano appena radunati in piazza della Libertà dalla vicina piazza della Vittoria, senza alcun motivo, furono messi in azione gli idranti, si scatenarono i caroselli da parte delle jeep (la specialità della “Celere” scelbiana che avevano già sperimentato nel corso di tanti scioperi operai) e, a un certo punto, si cominciò a sparare con i mitra, i moschetti e le rivoltelle.
Le cittadine e i cittadini presenti sulla piazza cercarono di reagire come poteva essere loro possibile con pietre e sassi e impossessandosi di un camion della polizia messo di traverso sulla strada per frenare la furia omicida delle “forze dell’ordine” guidate dal commissario di PS Caffaro, un altro nome da non dimenticare.
Il sindaco della Città Campioli, i dirigenti della Camera del Lavoro, dei partiti della sinistra e dell’ANPI cercarono vanamente di fermare gli sparatori e alla fine ci riuscirono con grande fatica.
A quel punto però sul selciato erano rimasti cinque morti: Lauro Ferioli, Emilio Reverberi, Marino Serri, Ovidio Franchi, Afro Tondelli, i cui nomi restano indelebili nella nostra memoria anche perché citati nella canzone a loro dedicata da Fausto Amodei e intitolata proprio “Morti di Reggio Emilia”. Canzone che resta come l’inno della Nuova Resistenza che l’Italia visse proprio in quei giorni.
Nel corso della seduta della Camera dei Deputati del 12 luglio 1960 intervenne il segretario del PCI Palmiro Togliatti pronunciando durante il suo discorso anche questa frase:
“Quando abbiamo approvato la Costituzione repubblicana, chiaramente abbiamo detto che volevamo fondare un ordine politico e sociale nuovo. I principi sono sanciti nella Costituzione Repubblicana; la lotta per far trionfare gli ideali della Resistenza è la lotta per l’applicazione integrale e per il rispetto assoluto della Costituzione, perché vengano tradotte in atto le sue prescrizioni”.
Costituzione e Resistenza: questo è ancora oggi il modo migliore per ricordare quei tragici fatti e per guardarci attorno nel mondo di oggi dove quei valori sembrano essere considerati obsoleti e da superare per stabilire un ordine fondato sull’egoismo di una presunta “sovranità” e di un’altrettanta presunta supremazia razziale.
Per elaborare questo ricordo è stato consultato il volume: “Reggio Emilia, 7 luglio 1960”, con interventi di Renato Nicolai, Corrado Corghi e Giulio Bigi. Editori Riuniti 1980.

Franco Astengo

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