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Attacco alla USS Liberty

Attacco alla USS Liberty

(8 Giugno 2012) Enzo Apicella
Il 9 giugno 1967, durante la guerra dei sei giorni, i caccia israeliani colpiscono una nave spia della marina Usa: 37 morti e 170 feriti.

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Ancora una volta morte e dolore a Gaza

Da "Il Partito Comunista" n° 389 maggio-giugno 2018

(7 Luglio 2018)

Dal 30 marzo, per la commemorazione del “giorno della terra”, con grande preparazione da parte di vari gruppi politici, hanno avuto luogo nella striscia di Gaza manifestazioni con decine di migliaia di partecipanti che si sono avvicinati alla recinzione che separa Israele da quel ghetto di fame, povertà, sfruttamento e disoccupazione.

In prima fila insieme ai promotori hanno manifestato i giovani proletari e i disoccupati, quelli che non vedono nessun spiraglio di luce nel futuro.

La situazione a Gaza, sottoposta ad un embargo che dura da 11 anni, è insopportabile. La crisi economica, la mancanza di elettricità e il costante assedio dell’esercito israeliano vi mantengono il proletariato in una situazione di disoccupazione e miseria. I poveri sono l’80% e la disoccupazione è al 50%. Nel pubblico impiego l’incertezza nel pagamento degli stipendi ha portato a scioperi nella scuola, nella sanità, nei servizi.

L’incertezza politica si è accentuata quando l’appello alla riunificazione della Palestina proveniente dai gruppi politici borghesi che vi dominano, ha ricevuto un duro colpo, lo scorso mese di marzo, con l’attentato al primo ministro della organizzazione Al Fatah.

Tutto questo ha contribuito ad una partecipazione numerosa, nonostante siano presto arrivate le minacce di morte da parte dello Stato di Israele: già nella prima mattina hanno ucciso un agricoltore col pretesto che si era avvicinato troppo al muro e alla sera si sono contati altri 16 morti e oltre mille feriti. Nei mesi successivi le proteste sono continuate fino a culminare con la strage del 14 maggio, la vigilia del “giorno della Nakba” (termine con cui i palestinesi ricordano l’anniversario della nascita di Israele nel 1948 che produsse l’espulsione di 700.000 palestinesi dalle terre d’origine) in cui in un solo giorno sono state uccisi dai cecchini israeliani 60 giovani, per la maggior parte giovanissimi, mentre si sono contati oltre 2.700 feriti, la maggior parte di loro colpiti da armi da fuoco.

Le immagini hanno dimostrato ancora una volta tutta la vigliaccheria della borghesia israeliana: quella che si vanta l’unica democrazia in Medio Oriente applica la pena di morte come le più bieche dittature.

Ciò non è una sorpresa per il nostro Partito che, dalla sua origine e dalla sua lotta in Italia contro il fascismo, e nella Terza Internazionale contro la incipiente degenerazione stalinista, ha sempre messo in chiaro che democrazia e dittatura, democrazia e fascismo, siano complementari e che ognuna di queste ha una funzione specifica per la conservazione dello Stato capitalista, il quale non esita ad utilizzarle, insieme ad ogni strumento di violenza disponibile, per difendere la sua esistenza.

Così la democrazia israeliana si macchia di nuovi crimini atteggiandosi a vittima. Non esiterà a fare lo stesso, quando sarà il momento, contro il proprio proletariato, quello che vive dentro la sua maledetta frontiera, protetta da soldati molti dei quali figli di proletari spediti a morire e ad ammazzare in nome della difesa dello Stato. Quello d’Israele non è diverso da ogni Stato borghese, fascista, quel fascismo che dalla seconda guerra mondiale è nella sostanza succeduto alla democrazia anche negli Stati che ancora ostentano forme liberali.

Il proletariato palestinese e quello israeliano, sono legati, lo vogliano o no, e dipendono l’uno dall’altro. La condizione dei palestinesi nella striscia di Gaza è legata indissolubilmente a quella di tutto il proletariato nella Palestina storica. Che non sia risolvibile con un intervento delle borghesie della regione lo dimostra la conclamata Nazione Araba che ancora oggi, come sempre ha fatto ieri, volta le spalle al proletariato palestinese e alle sue lotte. L’Egitto, che in altri tempi si vantava paladino del panarabismo, oggi è il complice assassino della borghesia israeliana. Il covo di ladroni che si chiama Lega Araba è un ammasso di egoismi impegnati in guerre intestine, che ancora una volta dimostrano che la supposta unità nazionale araba è ormai solo un inganno per nascondere la realtà della lotta di classe propria di ogni capitalismo.

Oggi i vari imperialismi sono in lotta tra loro per accaparrarsi e sfruttare le materie prime di ogni paese e per controllare le rotte geografiche.

La questione palestinese, che la nostra corrente ha seguito dagli anni ’30, ed anche la prospettiva due Stati per due Nazioni non sarebbe la soluzione per la condizione del proletariato della striscia di Gaza e della Cisgiordania.

La borghesia palestinese ha sempre collaborato con la sua pretesa nemica, la borghesia israeliana, entrambe alleate contro il proletariato. E contro il proletariato è anche la “rivoluzionaria” e “guerrigliera”, e come tale glorificata dalle “sinistre” mondiali, Organizzazione per la Liberazione della Palestina, burattino di Tel Aviv, con cui firmò gli accordi di Oslo, e che oggi governa in Cisgiordania con il compito di tener buono il combattivo proletariato palestinese. Questo suo ruolo lo svolge negando la libertà sindacale, soffocando ogni tentativo di organizzazione di classe, utilizzando varie corruttele e minacciando con la fame gli operai che rifiutano questa conciliazione e lo sfruttamento. Stringe accordi con i compari israeliani, vendendo il lavoro dei palestinesi a prezzi bassissimi e traendoci ricche tangenti.

È così che funziona il Capitale e sono questi i metodi borghesi che lasciano dietro di loro un mare di lacrime e di sangue.

A Gaza è la stessa cosa. L’organizzazione antiproletaria di Hamas da una parte collabora efficacemente con il governo israeliano per soggiogare la classe operaia, impedendo ogni suo tentativo di organizzazione e reprimendo con durezza ogni reazione che provi a far fronte al ferreo embargo cui è sottoposta la popolazione proletaria, provata dalla dura crisi economica, dall’altra parte esalta il nazionalismo palestinese e la lotta contro l’occupazione, mentre si accorda con Israele ed Egitto, responsabili di tutta la miseria esistente in questa piccola e popolatissima striscia di terra. È per mantenere il potere che spinge i proletari di Gaza a mettere a rischio la loro vita per obiettivi non loro.

È chiaro che la strada che oggi si percorre è la stessa di tutte le organizzazioni affini come, Fatah, FPLP, FDPLP, etc. etc.: l’intesa con Israele per lo sfruttamento comune dei proletari nei rispettivi territori.

È significativo che Israele, nelle numerose incursioni nella striscia, non ha colpito questa organizzazione, al contrario ne ha aiutato e finanziato la nascita e la crescita. Come dimostrato ampiamente dal nostro partito, questa è la natura di tutti questi gruppi di “fedayn”, di matrice borghese e che professano ideologie derivate dallo stalinismo e dal revisionismo.

La questione della solidarietà di classe, che oggi manca, è internazionale. Il proletariato israeliano non è un caso speciale, una “eccezione”; esso è parte del proletariato occidentale, sottoposto alla grancassa dei mezzi di comunicazione la cui lezione non può essere altro che quella della ideologia dominante, intrisa di nazionalismo, di fascismo, di razzismo, di rilancio della religione, come accade ai suoi fratelli di classe in Inghilterra, Francia, Italia, etc.

È una questione internazionale ed internazionalista quella che si pone e la sua soluzione è pertanto internazionale, anche se, come diceva Marx, può prendere forma nazionale. Oggi più che mai solo con la rivoluzione proletaria in Israele e in Palestina potrà finire la miseria, lo sfruttamento e la guerra perpetua.

Altrimenti la borghesia, costretta dalla crisi economica che attanaglia il capitalismo, travalicherà i limiti regionali scatenando una guerra mondiale. Non c’è pace nel capitalismo; non ci sarà in Israele, Palestina, Cisgiordania, Siria, Libano, Iraq... se il capitalismo non sarà abbattuto e distrutto.

Anche oggi, quando questo martirio che soffre il proletariato a Gaza sembra interminabile, dobbiamo ribadire che la sola prospettiva è la ripresa della lotta della classe operaia, unica vera forza reale di questa società che, nel suo affermarsi rivoluzionario, può eliminare il dolore, la sofferenza e la miseria della specie e la sua funesta lotta intestina. L’unica via possibile per arrivare a questo, alla pace post-capitalista, è la decisa lotta per il comunismo, che parte oggi dalla ricostruzione degli organi sindacali del proletariato e dalla rinascita della compagine militante che detiene la coscienza di classe, il Partito Comunista Internazionale.

Dal 30 marzo, per la commemorazione del “giorno della terra”, con grande preparazione da parte di vari gruppi politici, hanno avuto luogo nella striscia di Gaza manifestazioni con decine di migliaia di partecipanti che si sono avvicinati alla recinzione che separa Israele da quel ghetto di fame, povertà, sfruttamento e disoccupazione.

In prima fila insieme ai promotori hanno manifestato i giovani proletari e i disoccupati, quelli che non vedono nessun spiraglio di luce nel futuro.

La situazione a Gaza, sottoposta ad un embargo che dura da 11 anni, è insopportabile. La crisi economica, la mancanza di elettricità e il costante assedio dell’esercito israeliano vi mantengono il proletariato in una situazione di disoccupazione e miseria. I poveri sono l’80% e la disoccupazione è al 50%. Nel pubblico impiego l’incertezza nel pagamento degli stipendi ha portato a scioperi nella scuola, nella sanità, nei servizi.

L’incertezza politica si è accentuata quando l’appello alla riunificazione della Palestina proveniente dai gruppi politici borghesi che vi dominano, ha ricevuto un duro colpo, lo scorso mese di marzo, con l’attentato al primo ministro della organizzazione Al Fatah.

Tutto questo ha contribuito ad una partecipazione numerosa, nonostante siano presto arrivate le minacce di morte da parte dello Stato di Israele: già nella prima mattina hanno ucciso un agricoltore col pretesto che si era avvicinato troppo al muro e alla sera si sono contati altri 16 morti e oltre mille feriti. Nei mesi successivi le proteste sono continuate fino a culminare con la strage del 14 maggio, la vigilia del “giorno della Nakba” (termine con cui i palestinesi ricordano l’anniversario della nascita di Israele nel 1948 che produsse l’espulsione di 700.000 palestinesi dalle terre d’origine) in cui in un solo giorno sono state uccisi dai cecchini israeliani 60 giovani, per la maggior parte giovanissimi, mentre si sono contati oltre 2.700 feriti, la maggior parte di loro colpiti da armi da fuoco.

Le immagini hanno dimostrato ancora una volta tutta la vigliaccheria della borghesia israeliana: quella che si vanta l’unica democrazia in Medio Oriente applica la pena di morte come le più bieche dittature.

Ciò non è una sorpresa per il nostro Partito che, dalla sua origine e dalla sua lotta in Italia contro il fascismo, e nella Terza Internazionale contro la incipiente degenerazione stalinista, ha sempre messo in chiaro che democrazia e dittatura, democrazia e fascismo, siano complementari e che ognuna di queste ha una funzione specifica per la conservazione dello Stato capitalista, il quale non esita ad utilizzarle, insieme ad ogni strumento di violenza disponibile, per difendere la sua esistenza.

Così la democrazia israeliana si macchia di nuovi crimini atteggiandosi a vittima. Non esiterà a fare lo stesso, quando sarà il momento, contro il proprio proletariato, quello che vive dentro la sua maledetta frontiera, protetta da soldati molti dei quali figli di proletari spediti a morire e ad ammazzare in nome della difesa dello Stato. Quello d’Israele non è diverso da ogni Stato borghese, fascista, quel fascismo che dalla seconda guerra mondiale è nella sostanza succeduto alla democrazia anche negli Stati che ancora ostentano forme liberali.

Il proletariato palestinese e quello israeliano, sono legati, lo vogliano o no, e dipendono l’uno dall’altro. La condizione dei palestinesi nella striscia di Gaza è legata indissolubilmente a quella di tutto il proletariato nella Palestina storica. Che non sia risolvibile con un intervento delle borghesie della regione lo dimostra la conclamata Nazione Araba che ancora oggi, come sempre ha fatto ieri, volta le spalle al proletariato palestinese e alle sue lotte. L’Egitto, che in altri tempi si vantava paladino del panarabismo, oggi è il complice assassino della borghesia israeliana. Il covo di ladroni che si chiama Lega Araba è un ammasso di egoismi impegnati in guerre intestine, che ancora una volta dimostrano che la supposta unità nazionale araba è ormai solo un inganno per nascondere la realtà della lotta di classe propria di ogni capitalismo.

Oggi i vari imperialismi sono in lotta tra loro per accaparrarsi e sfruttare le materie prime di ogni paese e per controllare le rotte geografiche.

La questione palestinese, che la nostra corrente ha seguito dagli anni ’30, ed anche la prospettiva due Stati per due Nazioni non sarebbe la soluzione per la condizione del proletariato della striscia di Gaza e della Cisgiordania.

La borghesia palestinese ha sempre collaborato con la sua pretesa nemica, la borghesia israeliana, entrambe alleate contro il proletariato. E contro il proletariato è anche la “rivoluzionaria” e “guerrigliera”, e come tale glorificata dalle “sinistre” mondiali, Organizzazione per la Liberazione della Palestina, burattino di Tel Aviv, con cui firmò gli accordi di Oslo, e che oggi governa in Cisgiordania con il compito di tener buono il combattivo proletariato palestinese. Questo suo ruolo lo svolge negando la libertà sindacale, soffocando ogni tentativo di organizzazione di classe, utilizzando varie corruttele e minacciando con la fame gli operai che rifiutano questa conciliazione e lo sfruttamento. Stringe accordi con i compari israeliani, vendendo il lavoro dei palestinesi a prezzi bassissimi e traendoci ricche tangenti.

È così che funziona il Capitale e sono questi i metodi borghesi che lasciano dietro di loro un mare di lacrime e di sangue.

A Gaza è la stessa cosa. L’organizzazione antiproletaria di Hamas da una parte collabora efficacemente con il governo israeliano per soggiogare la classe operaia, impedendo ogni suo tentativo di organizzazione e reprimendo con durezza ogni reazione che provi a far fronte al ferreo embargo cui è sottoposta la popolazione proletaria, provata dalla dura crisi economica, dall’altra parte esalta il nazionalismo palestinese e la lotta contro l’occupazione, mentre si accorda con Israele ed Egitto, responsabili di tutta la miseria esistente in questa piccola e popolatissima striscia di terra. È per mantenere il potere che spinge i proletari di Gaza a mettere a rischio la loro vita per obiettivi non loro.

È chiaro che la strada che oggi si percorre è la stessa di tutte le organizzazioni affini come, Fatah, FPLP, FDPLP, etc. etc.: l’intesa con Israele per lo sfruttamento comune dei proletari nei rispettivi territori.

È significativo che Israele, nelle numerose incursioni nella striscia, non ha colpito questa organizzazione, al contrario ne ha aiutato e finanziato la nascita e la crescita. Come dimostrato ampiamente dal nostro partito, questa è la natura di tutti questi gruppi di “fedayn”, di matrice borghese e che professano ideologie derivate dallo stalinismo e dal revisionismo.

La questione della solidarietà di classe, che oggi manca, è internazionale. Il proletariato israeliano non è un caso speciale, una “eccezione”; esso è parte del proletariato occidentale, sottoposto alla grancassa dei mezzi di comunicazione la cui lezione non può essere altro che quella della ideologia dominante, intrisa di nazionalismo, di fascismo, di razzismo, di rilancio della religione, come accade ai suoi fratelli di classe in Inghilterra, Francia, Italia, etc.

È una questione internazionale ed internazionalista quella che si pone e la sua soluzione è pertanto internazionale, anche se, come diceva Marx, può prendere forma nazionale. Oggi più che mai solo con la rivoluzione proletaria in Israele e in Palestina potrà finire la miseria, lo sfruttamento e la guerra perpetua.

Altrimenti la borghesia, costretta dalla crisi economica che attanaglia il capitalismo, travalicherà i limiti regionali scatenando una guerra mondiale. Non c’è pace nel capitalismo; non ci sarà in Israele, Palestina, Cisgiordania, Siria, Libano, Iraq... se il capitalismo non sarà abbattuto e distrutto.

Anche oggi, quando questo martirio che soffre il proletariato a Gaza sembra interminabile, dobbiamo ribadire che la sola prospettiva è la ripresa della lotta della classe operaia, unica vera forza reale di questa società che, nel suo affermarsi rivoluzionario, può eliminare il dolore, la sofferenza e la miseria della specie e la sua funesta lotta intestina. L’unica via possibile per arrivare a questo, alla pace post-capitalista, è la decisa lotta per il comunismo, che parte oggi dalla ricostruzione degli organi sindacali del proletariato e dalla rinascita della compagine militante che detiene la coscienza di classe, il Partito Comunista Internazionale.

PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE

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