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Un miliardo di esseri umani

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(12 Maggio 2011) Enzo Apicella

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GENOVA, 14 AGOSTO 2018: UNA DUPLICE CATASTROFE

GRANDI OPERE: AFFARI PER POCHI, MISERIA PER MOLTI

(19 Agosto 2018)

IL CROLLO DEL PONTE MORANDI prefigura una seconda e più grave catastrofe. Come per magia, la sciagura sta mutando l’orientamento critico, se non negativo, che l’attuale governo aveva manifestato nei confronti delle Grandi Opere, come la linea Torino-Lione (la TAV). Improvvisamente, balza alla ribalta l’impegno di rinnovare e di ampliare la rete viaria italiana: strade & ponti, per trasporti su gomma e su ferro.
La questione è grossa e presenta diversi risvolti, con intricati interessi, in cui il rispettivo peso specifico rischia di sciogliersi in un gran minestrone, facendo perdere di vista il bandolo di una sporca matassa. Motivo per cui è bene distinguere l’essenziale dall’accessorio, senza farsi suggestionare dalle nefaste conseguenze che, a volte, balzano in primo piano. Celando però le radici del male.
La grancassa governativa sulle Grandi Opere accende grandi appetiti, con relativi scontri tra le varie cosche affaristico-politiche. La prima dimostrazione l’abbiamo subito avuta con la scomposta reazione della cricca PD-Benetton, di fronte all'ipotesi di perdere la ricca mangiatoia. Ma, ripeto, non è questo l’aspetto essenziale. Lo vediamo dopo.

CUI PRODEST?
Per prima cosa, c’è da domandarsi quale scopo abbia – a chi giovi – lo sviluppo delle infrastrutture viarie, facendo riferimento soprattutto alla circolazione delle merci. Sappiamo che, ormai da un decennio, il com-mercio mondiale ha un andamento calante1. E, soprattutto, restano vive e crescono tutte le preoccupazioni e le incertezze che offuscano ogni ottimistica previsione, in primis la guerra commerciale dichiarata da Trump a mezzo mondo.
In questo scenario così incerto, gli investimenti per le infrastrutture viarie potrebbero allora suscitare qualche perplessità. Certo, la caotica circolazione delle merci in terra, in mare e in cielo offre un’immagine che sembrerebbe in contrasto con il reale declino della circolazione mercantile. Non solo l’apparenza inganna, ma proprio il carattere sempre più caotico della circolazione indica l’anomalia della situazione. In realtà, il caos viario è un sintomo accessorio, di una ben più grave patologia.
Alle radici del caos viario ci sono vecchie scelte, che privilegiarono il trasporto su gomma rispetto a quello su ferro. Furono scelte, tutte italiane, dettate dalla FIAT (famiglia Agnelli) e anche dai cementieri (in primis Italcementi, della famiglia Pesenti), che colsero nella costruzione di autostrade un grosso affare.
Ci mise poi del suo la banda Prodi & Co., regalando le autostrade italiane ai vari Benetton.
Con queste premesse, il caos viario si è via via aggravato per le scarse risorse rivolte alla manutenzione delle strade (intrallazzi a parte), con effetti apparentemente indiretti, come l’esplosione dell’autocisterna avvenuta a Borgo Panigale (Bologna) il 6 agosto.
La situazione è andata peggiorando anche in seguito alla crescente circolazione di persone, in gran parte lavoratori dipendenti o assimilabili, generata dalla flessibilizzazione del lavoro e dalla connessa riduzione, se non eliminazione, di grandi fabbriche, in cui si concentravano, a orari stabiliti, consistenti flussi di lavoratori. La frammentazione dei siti produttivi si ripercuote inevitabilmente anche nella circolazione delle merci2. È un gatto che si morde la coda. E intanto, le strade d’Italia, tra morti e feriti, son più letali del terrorismo...

LA TRAPPOLA DEL DEBITO
Tornando allo spinoso dilemma (perché fare strade, se la circolazione delle merci langue?), la risposta ce la offre la tanto decantata Via della Seta, o meglio: Belt and Road Initiative, un progetto economico e geopolitico da oltre mille miliardi di dollari, attraverso il quale la Cina intende costruire strade, ferrovie, porti, aero-porti, centrali elettriche, gasdotti e oleodotti, coinvolgendo 78 Paesi. È un progetto che esprime in modo emblematico l’attuale fase economica.
Nonostante l’export cinese, che sembrava lanciato verso un’inarrestabile ascesa, stia rallentando3, la Cina prosegue nella sua politica espansionistica, cercando di mettere le mani su scali marittimi strategici, come il Pireo in Grecia – per l’Italia, si parla di Trieste –, a livello mondiale sono decine i porti interessati. E vengono allo scoperto anche le implicazioni militari4, per ora limitate a Gibuti. Tuttavia, non è tutto oro quello che luccica: un conto sono le apparenze, un conto è la realtà. Storicamente, gli interventi militari e la costruzione di infrastrutture hanno fatto seguito alla penetrazione economico-commerciale, per rafforzarla. Nel caso della Cina, avverrebbe il contrario, con risultati che, a ben vedere, hanno il fiato corto.
Nelle aree interessate (come l’Etiopia), cresce il malcontento (e la ribellione) popolare contro gli interventi cinesi che, a fronte di benefici assai scarsi o nulli, generano gravi danni sociali e ambientali. Per inciso, il 90% dei progetti finanziati da Pechino è affidato a imprese cinesi e solo il 10% a quelle locali. Paghi, per farti depredare.
Nelle aree che si sentono minacciate dalla Cina, come l’Unione Europea, sta prendendo piede una decisa opposizione5. Che non promette nulla di buono.
A questo punto, viene alla luce il lato oscuro della Via della Seta, quello finanziario-speculativo. Per sostenere la costruzione di infrastrutture, molti Paesi, come il Pakistan, si stanno pesantemente indebitando con la Cina. E come esperienza insegna, l’onere del debito pubblico cade poi sui proletari.

UNA PESANTE IPOTECA SUL NOSTRO FUTURO
In piccolo, una situazione simile si sta delineando in Italia, con l’avvio delle Grandi Opere. Dove c’è anche un frutto avvelenato: il ritiro della concessione ad Atlantia (Autostrade per l’Italia, alias Benetton), nel caso avvenga, lascerebbe allo Stato italiano una rete stradale disastrata, l’onere della sua ricostruzione ricadrebbe sui contribuenti (i soliti lavoratori dipendenti e pensionati). Secondo la vecchia logica di privatizzare i profitti e socializzare le perdite.
Con questa prospettiva, sulla scena economica italiana si stagliano le tre anime dannate del capitale: le imprese di costruzione (regno dell’intrallazzo e del lavoro nero), la proprietà fondiaria (rendita) e, dulcis in fundo, la finanza, a dirigere le danze.
Come ho più volte sostenuto, da un trentennio, gli investimenti stanno disertando i settori produttivi (la cosiddetta economia reale), in cui il saggio di profitto è poco appetibile, privilegiando la speculazione finanziaria. Non c’è niente da fare, il capitale è un valore che si valorizza, e va dove lo porta il cuore... del profitto. E le Grandi Opere sono una pacchia per affaristi & faccendieri. E un capestro per i proletari.
L’illusione che il denaro generi denaro è criminale. Alimenta bolle speculative come quella scoppiata nel 2008 e che non è stata per nulla superata, anzi, i rimedi adottati preparano nuovi e peggiori crash. Intanto, la Grecia ci ha offerto un piccolo assaggio di ciò che potrebbe capitare all’Italia.
Le Grandi Opere creano occupazione! Ci dicono. Ma quale occupazione? Con salari in caduta libera e condizioni di lavoro sempre più flessibili e precarie. Il peggio verrà poi: i proletari, che lavorino o meno, avranno il futuro ipotecato, vedranno crescere le tasse e diminuire i servizi sociali (sanità, pensione, ecc. ecc.). In poche parole, sono i proletari a finanziare le Grandi Opere, con il loro sudore e sangue. Grandi Opere, più che mai inutili, dannose e pericolose.
MILANO, 19 agosto 2018.

Note

1 La leggera ripresa del 2017 non segna un’inversione di tendenza; il saldo recupera solo parzialmente le precedenti perdite. Il confronto, peraltro, è fatto con l’anno precedente, il 2016, che fu particolarmente negativo. Vedi:
ICE-Prometeia (a cura di), Evoluzione del commercio con l’estero per aree e settori, Numero 15, Edizione 2017, Bologna-Roma, 2017, p. 6-7.
2 DANIELA FASSINI, Autostrade da bollino nero. È boom ditraffico pesante, «Avvenire», 12 agosto 2018, p. 10.
3 Vedi: MARIANGELA TESA, La guerra dei dazi affossa export Cina: in marzo deficit commerciale di 5 miliardi, in
http://www.wallstreetitalia.com/news/cina-torna-deficitcommerciale-per-la-prima-volta-da-un-anno/
4 GALLIANO MARI SPERI, Via della Seta: nuovo Piano Marshall o un passo verso l’egemonia economica?, «Frontiere», 3 giugno 2018, http://www.frontiere.eu/via-della-seta-piano-marshall-un-passo-verso-legemonia-economica/
5 DANILO TAINO, Investimenti dalla Cina? Così per otto Paesi è scattata la «trappola del debito», «Corriere della Sera», 15 agosto 2018, p. 25.

DINO ERBA

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