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(19 Ottobre 2010) Enzo Apicella
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Yemen: tutte le morti necessarie

(22 Agosto 2018)

Mohammad bin Salman Al Sa'ud

di Guadi Calvo (*); da: //rcmultimedios.mx; 20.8.2018

Come succede con l’enclave sionista in Palestina, sembra che il regno saudita abbia conseguito, da parte della comunità internazionale, la sua licenza di uccidere senza che questo non significhi assolutamente niente.

L’olocausto che il sionismo porta avanti in Palestina da 70 anni ha la sua correlazione, dal marzo 2015, nello Yemen, da quando l’Arabia Saudita – con la miseria scusa che gli Houti, un’alleanza tra sciiti (il 35% della popolazione) e vasti settori del sunnismo povero (64%), minacciavano di prendere il controllo totale del paese dopo la rinuncia e la fuga del presidente Mansour Hadi, che dopo essere andato in esilio a Riad è stato obbligato dai sauditi a riassumere il suo ruolo, cosa al di fuori da ogni protocollo vigente nel paese.

Gli Houti, dal nome del loro leader, conosciuti anche come Ansarolà (Seguaci di Dio) sono accusati di avere stretti legami con l’Iran, la forza squilibrante in un Medio Oriente sottomesso all’alleanza tra nordamericani e sionisti. Mentre i Sauditi non sono accusati di avere legami con gli Stati Uniti, invece.

Dopo i colpi della “Coalizione” guidata dai sauditi, insieme ad un certo numero solo nominale di soci, visto che gli unici che partecipano davvero sono Riad e gli Emirati Arabi Uniti (EAU), il popolo yemenita è stato trascinato in una situazione che dovrebbe essere inammissibile al nostro livello di civiltà o, per lo meno, dovrebbe essere castigata con la stessa severità con cui fu castigato in nazismo dopo la sua sconfitta nella II Guerra Mondiale.

L’ultima grande prodezza del principe ereditario Mohammad bin Salman al-Saud - figlio di Re Salman, responsabile principale del genocidio yemenita, che già si avvicina ai 20 mila morti, con milioni di sfollati e che ha precipitato la nazione più povera del Medio Oriente in un disastro umanitario ancora lungi dall’aver raggiunto la sua quota massima e che ha causato anche migliaia di morti per fame oltre alla più grande epidemia di colera registrata nella storia con un milione e duecentomila contagiati e per lo meno 3 mila morti – è stato l’attacco a tre trasporti scolastici nel governatorato di Saada lo scorso 9 agosto, in cui sono morte 50 persone (40 bambini e 11 adulti) e ne sono rimaste ferite altre 77.

L’attacco è stato condotto con un missile MK 82 di 227 chili guidato da un laser, fabbricato dalla compagnia nordamericana Lockheed Martin, consegnato ai sauditi nel quadro degli accordi per la vendita di armamenti tra Riad e Washington.

Il missile era simile a quelli utilizzati l’8 ottobre 2016 quando fu attaccata una agenzia funebre a Sanaa, capitale del paese, mentre vi si svolgeva una cerimonia in onore del padre di un alto capo houti, dove furono uccise 155 persone e ne furono ferite altre 525, di cui 300 molto gravemente.

A mezzogiorno del 15 marzo di quello stesso anno, un attacco contro il mercato del villaggio di Mastaba, nel nord del governatorato di Hajjia, a 45 km. dalla frontiera con l’Arabia Saudita, con due bombe MK 84 di 900 chili, di fabbricazione nord americana, assassinò 97 persone, 25 delle quali bambini.

Questi fatti spinsero l’allora presidente statunitense Barak Obama a proibire la vendita di quel tipo di armamenti al regno saudita, anche se tale proibizione è stata immediatamente annullata appena l’amministrazione Trump si è insediata alla Casa Bianca.

Da parte sua il Pentagono si è immediatamente smarcato dalle responsabilità dopo l’attacco agli scolari, affermando che non sono gli Stati Uniti a scegliere gli obiettivi ma che questa è una decisione della “Coalizione” che li realizza, poiché gli USA si limitano soltanto a fornire gli armamenti, cosa che procura loro migliaia di milioni di dollari visto che è proprio Riad il maggior compratore di armi mondiale, non solo di fabbricazione nordamericana ma di un’ampia lista di nazioni europee come il Regno Unito, la Francia e la Spagna tra altre. Il Pentagono, nella sua nota, specifica che con la “Coalizione” esso collabora su temi di controspionaggio e rifornimento dei cacciabombardieri.

Nello scorso maggio Trump aveva chiesto al Congresso di autorizzare la vendita di 120 missili Raytheon all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti.

Gli Stati Uniti hanno una grande esperienza in incidenti di questo tipo, o “danni collaterali”, sgorbio semantico costruito per dissimulare l’orrore di questi fatti che si ripetono continuamente in questa guerra e in altre, come succede in Pakistan e in Afganistan, dove gli attacchi dell’aviazione nordamericana contro i talebani hanno assassinato più di 15 mila civili nei villaggi vicini alla frontiera tra le due nazioni centroasiatiche.


Un incidente in più …..

Le immagini si potrebbero perfettamente confondere con quelle che si lasciano dietro le incursioni sioniste dopo i continui attacchi contro la popolazione civile di Gaza, ad esempio. Cadaveri di bambini ammucchiati, sporchi di sangue e polvere, vestiti stracciati e con il pallido colore della morte. Mentre auto e ambulanze fradice di sangue arrivano, in questo caso, all’ospedale di Talh, ormai collassato come tutti gli altri del paese dopo quasi tre anni e mezzo di guerra.

Decine di bambini hanno cominciato ad inondare l’edificio con una varietà inusitata di ferite; altri, senza altrettanta “fortuna”, sono finiti direttamente all’obitorio. Ovviamente i racconti sono terribili nel descrivere i pianti e le grida di terrore e dolore dei feriti e dei loro familiari che, allertati dall’attacco, giungevano al centro ospedaliero.

Molti dei bambini, a causa delle lesioni polmonari dovute all’onda d’urto delle esplosioni, avevano problemi respiratori, fratture a braccia e gambe oltre a tagli dovuti allo scoppio dei vetri dei finestrini degli autobus, che avevano causato ferite di ogni tipo. Fortunatamente non ci sono state amputazioni ma molti dei bambini, apparentemente senza ferite, erano in stato di shock, senza avere idea di cosa fosse successo.

Mentre passavano le immagini dei sopravvissuti, i portavoce sauditi si sono affrettati a dichiarare al Consiglio di Sicurezza dell’ONU – come se questo organismo avesse qualche importanza, oltre a quella mediatica – che stavano investigando sui fatti anche se, secondo gli stessi portavoce, l’attacco contro i bus scolastici era stato legittimo visto che “i leaders houti hanno reclutato e addestrato centinaia di bambini per ingrossare le loro file”.

Le autorità del governatorato di Saada hanno fatto sapere che la carovana attaccata si dirigeva verso un cimitero locale, unico dei pochi spazi verdi che restano in tutto il governatorato del nord del paese perché tutti i parchi e le piazze sono stati distrutti dai continui combattimenti e bombardamenti della Coalizione.

L’ “incidente” del bus, secondo alcuni organismi internazionali, sembra si possa inserire in una strategia più ampia della “Coalizione”, visto che si sono registrati più di 55 incidenti simili contro veicoli e autobus civili dall’inizio dell’anno, superando i numeri del 2017. Le analisi segnalano anche che – dei 18 mila attacchi sauditi effettuati dall’inizio della guerra fino all’aprile 2016 – un terzo degli obiettivi non erano militari e un altro terzo era classificato come “obiettivo sconosciuto”.

A quasi due settimane dall’attacco agli scolari, nessuna figura rilevante dei paesi venditori di armi alla “Coalizione” ha fatto dichiarazione, eccetto Fabian Hamilton, un importante membro del Partito Laburista britannico che ha dichiarato: “Non prendere misure ora significa che il governo se ne sta a guardare il peggior disastro umanitario creato dall’uomo del secolo XXI”.

Forse il grande manto di cinismo gettato su quest’ultimo “incidente” è giustificato dal fatto che il Regno Saudita, nel corso degli ultimi cinque anni rispetto ai cinque precedenti (secondo ricerche dell’Istituto Internazionale di Studi per la Pace di Stoccolma SIPRI), ha aumentato del 225% il bilancio per l’acquisto di armi ed equipaggiamenti militari.

Questo numero continuerà a giustificare tutte le morti necessarie.



(*) Scrittore, giornalista e analista argentino

Traduzione di Daniela Trollio - Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”, Sesto San Giovanni

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