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(1 Settembre 2018)
La Embraco è una azienda brasiliana specializzata nella costruzione di motori per frigoriferi, nata nel 1974 si è espansa in vari paesi approdando in Italia nel 1994 acquisendo lo stabilimento di Riva di Chieri in provincia di Torino e cominciando la produzione di prodotti domestici. L’azienda decise di stabilire qui anche la sede centrale di Embraco Europa, che comprende oltre alla fabbrica italiana una controllata, lo stabilimento slovacco fondato nel 1999 e situato a Spisska Nova Vess dove si producono prodotti di refrigerazione di uso commerciale. Embraco è entrata poi a far parte della multinazionale Whirlpool.
Nel corso degli anni questa fabbrica ha passato momenti di crisi e di picchi di lavoro, in un caso o nell’altro sempre sulle spalle dei lavoratori come sempre in questo inumano sistema di produzione: quando c’è lavoro sono costretti a ritmi e condizioni sfiancanti, quando ce n’è poco si licenzia oppure si usano ammortizzatori sociali e contratti di solidarietà che nella stragrande maggioranza dei casi sono l’anticamera al licenziamento.
Alla Embraco sul finire degli anni novanta lavoravano circa 2.200 addetti. Allora, con l’avallo dei sindacati di regime, furono sperimentate turnazioni massacranti per aumentare la produttività e fu concessa una deroga per consentire la turnazione notturna fissa, etc, etc. Negli stessi anni vengono aperti stabilimenti dell’Embraco in Cina e in Slovacchia e, nonostante i sacrifici dei lavoratori dello stabilimento di Riva di Chieri, cominciò un progressivo smantellamento della fabbrica; la chiusura di linee di produzione portò alla cassa integrazione, alla mobilità e ai licenziamenti. Tutto questo perché i sacrifici richiesti non compensavano il vantaggio per l’azienda di spostare la produzione nello stabilimento Slovacco. Uno stillicidio durato 20 anni che ha portato alla situazione attuale, cioè di chiusura dell’azienda.
Ma oggi, alla fine di una estenuante vicenda, i lavoratori della ditta Embraco che, secondo i media nazionali, sarebbero tutti “salvi”. Titoli di quotidiani, telegiornali, istituzioni e sindacati (Fiom e Uilm) entusiasti, soddisfazione da parte della vecchia e della nuova proprietà, e per finire la benedizione del vescovo, hanno esaltato la risoluzione della “controversia” aziendale con un accordo che avrebbe soddisfatto tutti.
Ma è davvero così per i lavoratori? In realtà questa battaglia è stata persa.
L’accordo prevede che i 417 lavoratori rimasti presso lo stabilimento di Riva di Chieri passeranno dal 16 luglio al gruppo israeliano-cinese Ventures, che produrrà robot per pulire pannelli fotovoltaici e, in seguito, sistemi per la depurazione delle acque. Ma «la Ventures – si legge in una nota della Uilm Torino – richiederà 24 mesi di cassa integrazione straordinaria per riorganizzazione aziendale. Nella prima fase i rientri saranno circa 90, saliranno a 280 entro aprile 2019, 330 entro settembre dello stesso anno, 370 entro l’inizio del 2020, per raggiungere la piena ricollocazione entro luglio 2020».
Sempre secondo l’accordo ai lavoratori che si impegnano a firmare il verbale di conciliazione, Embraco corrisponderà il Tfr maturato fino a dicembre 2016 più un bonus economico di 9.000 euro lordi per il periodo di cassa integrazione da luglio a dicembre 2018. Non si capisce bene se il Tfr del 2017 e del 2018 sia incluso nei 9.000 euro, se lo pagherà l’Inps o semplicemente non sarà corrisposto.
La promessa data era una necessità del passato, la parola spezzata è una necessità del presente, così recita un adagio di Niccolò Machiavelli che bisognerebbe sempre tener conto anche nella lotta fra le classi.
La nuova società, di cui nessuno sa nulla perché neo costituita, avrà agevolazioni statali attraverso Invitalia, gestita direttamente dal Ministero della Economia. Che fine faranno questi sodi. Infatti oggi si contesta alla Embraco di aver beneficiato di fondi pubblici e agevolazioni fiscali, con due finanziamenti negli ultimi anni, il primo nel 2004 il secondo nel 2012. Queste accuse sono portate avanti dai più beceri riformisti di sinistra della politica borghese, nonché dai sindacati asserviti al capitale. Ugo Bolognesi, della Fiom di Torino, dichiarò a La Stampa del 27 ottobre 2017: «Noi non ci stiamo. Questa multinazionale ha ricevuto in questi anni molti fondi pubblici per rimanere sul nostro territorio. Il risultato? Dal 2004 siamo passati da 2.000 dipendenti a poco più di 500 e gli investimenti si sono azzerati. Non è giusto». Alle accuse si accoda opportunisticamente anche il belante populismo dall’attuale ministro del Lavoro, Luigi di Maio, che vuole inserire nel Decreto Dignità, multe e restituzioni dei fondi a quelle società che delocalizzano.
I lavoratori non devono lasciarsi illudere da queste manovrette, che vanno in direzione opposta ai reali interessi generali della loro classe. Oggi più che mai la rivendicazione del salario pieno ai disoccupati è di importanza basilare. Ma per ottenerlo è necessaria una determinazione da parte dei lavoratori che porti ad organizzarsi e addestrasi per tempo per non arrivare disuniti ed impreparati nel momento in cui le aziende sono costrette a licenziare. Oggi alla Embraco, come nella stragrande maggioranza dei casi, i lavoratori sono arrivati a questo appuntamento disarmati.
Altro insegnamento da questa vicenda è che sempre più i lavoratori dovranno uscire dall’orizzonte aziendale per la difesa delle proprie condizioni, passando ad una dimensione territoriale e poi nazionale e perfino internazionale dello scontro fra le classi. Oggi sembra impossibile, ma è l’unica strada percorribile.
PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE
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