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(3 Ottobre 2018)
Come ci si oppone all’esecutivo Conte? E’ una domanda che stiamo rivolgendo a interlocutori diversi, nel tentativo di definire un’azione di contrasto complessiva a un governo in parte diverso dai precedenti, ma non meno pericoloso. Tra gli interlocutori che abbiamo scelto vi è Marco Palombo, attivista della Rete No War e curatore di un blog ricco di stimoli e d’informazioni utili sulle battaglie antimilitariste, ecologiste ed antirazziste. Ne è derivato un dialogo che è soprattutto un invito, rivolto ai militanti e a chiunque desideri un “nuovo corso” della politica estera italiana, a diffidare di quel Movimento 5 Stelle, che, giunto al Governo, anche sui temi internazionali ha già largamente smentito le sue storiche promesse.
Sbagliamo se diciamo che, nell’ambito del pacifismo italiano, non pochi si aspettavano qualcosa di buono dal cosiddetto governo del cambiamento?
No, purtroppo cogliete nel segno. In realtà, le illusioni si legavano più ai pentastellati che alla Lega perché i primi, negli anni passati, hanno effettivamente interloquito con alcune anime del pacifismo italiano. Si pensi al convegno sulla NATO del principio del 2016, al quale furono invitati importanti movimenti come il No Dal Molin e il No Muos. Però dall’avvio di questo governo, non pochi sono stati i segnali di accettazione, da parte dei grillini, delle peggiori coordinate della politica estera italiana degli ultimi lustri…
Potresti indicarne alcuni?
A mio avviso, un caso significativo è quello relativo alla vendita delle armi all’Arabia Saudita, il regime reazionario e patriarcale impegnato in un sporca guerra d’aggressione allo Yemen. In seguito ad alcune denunce circa l’uso, in quel cruento scenario bellico, di bombe prodotte in Italia – per la precisione, in Sardegna – esponenti di rilievo del Movimento 5 Stelle come il senatore Roberto Cotti s’erano impegnati, se la loro organizzazione fosse andata al governo, ad interrompere questo commercio di strumenti di morte. Ma poi lo stesso Cotti alle ultime politiche non è stato ricandidato, probabilmente perché i suoi capi non intendevano far prendere al Movimento impegni troppo precisi al riguardo. Certo, di recente la Ministra della Difesa Trenta, che è in quota 5stelle, sul tema ha speso parole condivisibili, così come va segnalato che, il 19 settembre, al presidio davanti all’Ambasciata Saudita era presente un’eurodeputata grillina: Giulia Moi. Tuttavia, a poco a poco i pentastellati hanno precisato una posizione ufficiale un po’ pilatesca: loro che, giustamente, accusavano il Governo Gentiloni di avere le mani sporche di sangue, oggi si trincerano dietro il fatto che la legge consente la suddetta, odiosa esportazione. Ossia, adottano la medesima scusa fatta valere dal PD, solo che, per indorare la pillola, affermano che, di conseguenza, va cambiata la legge 185/90, che si occupa, appunto, di Esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento. Istanza giusta, non c’è che dire, ma si tradurrà mai in realtà concreta?
L’esempio è chiaro. Però, in un certo senso, qualche mutamento nella politica estera italiana si è dato. Ad esempio, il legame con gli USA di Trump sembra più forte di prima…
Sì, il rapporto tra Trump e il governo Conte è molto forte, di continuo sottolineato dagli apprezzamenti del magnate, ad esempio in relazione alle politiche italiane sull’immigrazione. Ovviamente, si tratta di un idillio da cui non può uscire nulla di buono. Per dire, l’UE vorrebbe aggirare le sempre più aspre sanzioni USA all’Iran, continuando gli scambi commerciali senza il dollaro. Però, quando in sede europea è stata presentata tale opzione, l’Italia non era presente, come se l’attuale esecutivo non volesse mettere la faccia in un discorso che è motivo di seria frizione con gli USA. Anche questo mi pare un segnale negativo.
Il dossier iraniano è di straordinaria rilevanza. Ma c’è un’altra partita fondamentale, per giudicare l’operato del governo: l’atteggiamento verso le missioni militari…
E questo è forse il punto più delicato di tutti. Nei prossimi giorni, in Consiglio dei Ministri, si discuterà del Decreto Missioni e, secondo fonti ministeriali, saranno tutte confermate, subendo solo qualche piccolo taglio di personale e risorse, concordato con gli alleati. In sostanza per i pentastellati si tratta di una brusca svolta, visto che da forza d’opposizione avevano sempre contestato la missione in Afghanistan, votando anche contro il suo rifinanziamento.
A fronte di queste giravolte a 5 Stelle, ci sono stati ripensamenti da parte di quei pacifisti che li avevano sostenuti?
Diciamo che alcuni si sono sentiti traditi e hanno maturato una certa rabbia. Altri hanno un atteggiamento più sfumato, ma cominciano a manifestare una certa delusione. Non mancano quelli che continuano a rivendicare il proprio sostegno ai grillini. Si tratta di persone che, messe alle strette, difendono le proprie scelte appellandosi all’indubbia complessità dello scenario internazionale, senza mai rispondere con argomenti concreti alle obiezioni concrete.
Secondo te, per far emergere meglio le contraddizioni del Governo, nello stesso tempo rilanciando un serio movimento contro la guerra, quali passi occorre fare?
Le cose da fare sono molte, a cominciare da un impegno che andrebbe assunto da chiunque voglia realmente trasformare l’esistente: non trascurare più i temi di politica internazionale. Poi, nello specifico, la campagna contro la vendita di bombe prodotte in Italia all’Arabia Saudita andrebbe potenziata, perché il loro uso sta contribuendo molto alla quotidiana carneficina che si verifica nello Yemen. Peraltro, il dibattito sull’esportazione di armamenti verso paesi come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti si sta svolgendo in diversi paesi europei, come la Spagna e la Germania. Le forze politiche più guerrafondaie sono in difficoltà, perché di fronte a certi crimini diventa difficile giustificare l’abbraccio con i regimi del Golfo. Su questo fronte, si potrebbe svolgere una campagna coordinata su scala continentale, facendo recuperare al movimento contro la guerra la sua necessaria vocazione internazionale. Su un piano più specificamente italiano, invece, va considerato che, negli ultimi anni, gli episodi più incisivi di contrasto al bellicismo hanno avuto il carattere di resistenze territoriali. Parlo della lotta contro il Muos, in Sicilia, del movimento No Dal Molin, a Vicenza, nonché delle azioni rivolte contro l’allargamento dell’Aeroporto militare di Centocelle, nella capitale, e della mobilitazione contro il potenziamento di Camp Darby, in Toscana, che peraltro comporterebbe l’abbattimento di quasi 1000 alberi in un’area naturale “protetta”. Sarebbe il caso di creare una rete stabile che coordini tutte queste lotte, al fine di valorizzarne i significati più generali, che rimandano a una rottura totale con la politica estera da tempo portata avanti dall’Italia.
Siamo d'accordo con te. Per concludere, gradiremmo la tua opinione su un tema che ci sta a cuore: il nesso tra la battaglia contro la guerra e l’antirazzismo…
Certo, anche per me si tratta di un tema cruciale. Per questo ritengo un’enormità che i comunicati d’indizione della Marcia Perugia-Assisi, che si terrà il 7 ottobre, facciano riferimento al solo antirazzismo senza dire niente di sostanziale sulle guerre e sull’azione devastatrice della NATO. La battaglia contro il razzismo e quella antibellicista sono due facce della stessa medaglia, perché diffondere un clima di ostilità nei confronti degli stranieri, serve anche a creare le basi del consenso a nuove avventure militari nei paesi d’origine degli immigrati, che magari sono già stati sottoposti a saccheggio o a bombardamenti “umanitari” da parte delle potenze occidentali. In quest’ottica, ritengo discutibile pure l’atteggiamento di certi antimperialisti che, se contrastano meritoriamente le bugie di guerra, chiudono un occhio di fronte al sempre più esplicito razzismo delle istituzioni italiane. Gli sfugge l’essenziale: e cioè che le politiche vessatorie nei confronti degli immigrati attuate da personaggi come Salvini sono la prosecuzione, sul suolo italiano o nel Mar Mediterraneo, di quelle politiche di rapina e di aggressione militare, attuate nei paesi dominati, di cui da anni l’Italia è compartecipe o complice.
Il Pane e le rose – Collettivo redazionale di Roma
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