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(9 Ottobre 2018)
La fine della guerra – almeno in un’ampia porzione della Siria è ormai sotto il saldo controllo dell’esercito lealista e dei suoi alleati – aprirà la fase della ricostruzione, la quale si profila come un grande affare soprattutto per i vincitori, anche se non esclude che altre fazioni borghesi possano trarne vantaggi considerevoli, sia pure in maniera indiretta.
Anche su questo tema occorre sgombrare il campo dalle risibili letture e interpretazioni “campiste” degli scontri bellici.
La ricostruzione della Siria costerà un enorme impegno di capitali, certamente non sufficienti quelli che potranno investire la Russia e l’Iran, i principali alleati del regime di Damasco, dunque la ricostruzione del paese potrebbe vedere l’intervento di altri investitori internazionali.
Forse si illudono quanti vedono la possibilità di un massiccio intervento cinese. Pechino potrebbe voler giocare un maggior ruolo nella regione mediorientale, ma ci sono alcuni ostacoli, non ultimo quello della difficile valorizzazione dei capitali investiti in loco, un aspetto che va tenuto presente quando si parla dei faraonici progetti cinesi della “one belt, one road” attorno al mondo.
Nella fase imperialista del capitalismo, lo straripare del sovrapprodotto condanna i capitali a muoversi di continuo negli infernali gironi mondiali dei mercati finanziari, mentre la speranza di prendere terra in investimenti produttivi, e non puramente speculativi, si concretizza solo quando le prospettive di guadagno diventano meno improbabili.
Ma la guerra siriana frattanto ha dato una risposta a una esigenza fondamentale della guerra borghese: invertire l’incremento demografico. In sette anni di guerra mezzo milione sono i morti, almeno sei milioni i profughi che hanno lasciato il paese, per non parlare dell’enorme numero di sfollati. I profughi potrebbero aumentare ancora, con una parte cospicua dei 3 milioni di abitanti dell’ultima area rimasta sotto il controllo dei ribelli, in gran parte il governatorato di Idlib, attualmente sotto attacco da parte delle truppe fedeli al regime di Damasco e dei suoi alleati. Secondo alcune stime il numero dei profughi siriani all’estero in poco tempo potrebbe raggiungere i 10 milioni.
Fenomeno questo, sotto il regime del capitale, valutato addirittura positivamente da chi ha interesse alla stabilità politica della Siria, paese in precedenza considerato sovrappopolato in rapporto alle sue risorse.
La sovrappopolazione di un paese è sempre relativa, va vista in relazione allo sviluppo delle forze produttive e dei rapporti di produzione. Un paese spopolato potrebbe non consentire la fase di crescita legata alla ricostruzione postbellica e la carenza di forza lavoro pregiudicare il riavvio del processo di accumulazione.
Ma questo non dovrebbe essere il problema della Siria. Se con la guerra la popolazione del paese è scesa dai 21 milioni del 2010, ai 18,2 milioni attuali, nello stesso periodo la percentuale della popolazione urbana è cresciuta dal 57% al 75%. La guerra che, nella fase imperialistica del capitalismo coinvolge in misura sempre più massiccia la popolazione civile, è in Siria stata un fattore di accelerazione del processo di sradicamento delle masse dalle campagne e di inurbamento forzato. Questa nuova forza lavoro è ora disponibile dove e quando si sono create le condizioni per la valorizzazione del capitale.
Inoltre le ondate di profughi verso l’estero e di sfollati all’interno del territorio siriano hanno cambiato la composizione e la distribuzione etnica e religiosa della popolazione nel paese. Il regime siriano ha bombardato a tappeto interi quartieri e talora intere città anche al fine di accelerare il riassetto etnico del paese. Mentre le regioni costiere, in cui più alta è la percentuale di alawiti, sono rimaste quasi indenni dalla guerra, i grossi spostamenti di popolazione si sono avuti soprattutto dalle regioni più martoriate dai combattimenti, in cui prevaleva la componente arabo-sunnita. Per questo il governo non dimostra alcuna intenzione di favorire il rientro dei profughi nelle regioni di provenienza. Una recente legge ha stabilito che chi entro un mese non sarà in grado di produrre documenti che attestino la proprietà sulla propria casa ne verrà espropriato.
La classe dominante siriana si attende quindi che a guerra finita i rapporti numerici fra le differenti componenti etnico-religiose del paese si spostino a favore di quella alawita, base sociale ed élite del regime di Assad.
Ma non è detto che le guerre del capitale sortiscano infine gli effetti che le ripugnanti e sanguinarie e ovunque quasi-tribali classi dominanti si attendono.
PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE
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