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Il caso Cucchi
La spiegazione che manca

(15 Ottobre 2018)

cucchi

Grazie alla ostinazione di Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, a nove anni da quando Stefano è stato ucciso, la verità sta venendo alla luce. Stefano non è morto per casualità né per essersi fatto male da solo. E' morto perché i carabinieri, dopo averlo arrestato, lo hanno ammazzato di botte. E' uno dei carabinieri presenti al fatto a testimoniarlo, chiamando in causa non solo i due carabinieri che hanno massacrato Stefano ma anche le gerarchie dell'Arma e tutti gli altri apparati dello Stato che hanno per nove anni occultato una semplice verità che già si poteva capire dalle foto del corpo tumefatto di Stefano.
Nelle tante trasmissioni televisive in cui ora viene invitata, a Ilaria - una persona davvero esemplare per il coraggio e la determinazione con cui si è scontrata con la verità di Stato - viene chiesto di spiegare le ragioni della morte del fratello.
Alla domanda se la spiegazione sia quella fornita dal ministro dell'Interno Salvini, e cioè il solito ritornello sulle "poche mele marce" nel cesto sano, Ilaria scuote la testa. Spiega che di casi come quello di Stefano ce ne sono stati tanti.
Dunque non ha fiducia nello Stato?, le chiedono i giornalisti. Al contrario, risponde questa indomita guerriera che dispone di coraggio ma non di una lente marxista con cui analizzare i fatti. Lei crede nello Stato e nella giustizia: e proprio per questo per nove anni ha cercato di dimostrare anche nei tribunali la verità.
Ma se lo Stato è garante della giustizia, allora resta solo la spiegazione salviniana delle "poche mele marce". Da questo corto-circuito la pur intelligente Ilaria non sa uscire. Come è possibile spiegare il ripetersi di episodi di violenza contro persone inermi da parte di chi dovrebbe garantire la "difesa dei cittadini"?
A queste domande non dà risposta neanche il bel film "Sulla mia pelle", di Alessio Cremonini, che ha riscosso un grande successo venendo proiettato davanti a sale colme di giovani nei centri sociali.
Una seconda spiegazione che viene avanzata - di matrice in qualche modo anarchica - è che le colpe sono del potere che, come ogni potere, produce violenza ed è malvagio. Da lì alla condanna di ogni potere, anche della prospettiva di potere della classe operaia, il passo è breve.
Ma oltre a essere sbagliata (perché nega in partenza la possibilità che i governi borghesi possano essere rovesciati e sostituiti da governi degli operai), nemmeno questa spiegazione spiega alcunché. E' una teoria che può spiegare perché la polizia (in Italia come in ogni parte del mondo) usa la violenza contro i manifestanti, operai e giovani, nelle piazze in cui si contestano i governi. Ma perché massacrare di botte un giovane lontano anni luce dalla politica come Stefano?
Solo ricorrendo agli insegnamenti fondamentali del marxismo possiamo capirlo. E' stato il vecchio Engels, compagno di Marx, a definire le polizie come "bande armate a difesa del capitale."
Queste bande armate sono gli strumenti di uno Stato che vogliono farci credere essere al servizio dei cittadini: ma che è uno Stato di classe, uno strumento della borghesia per mantenere i suoi profitti e privilegi. Queste "bande armate" sono quelle che per tutta la storia della Repubblica hanno contrastato il movimento operaio e ogni protesta giovanile usando ogni mezzo: sia quelli più o meno legali che, quando necessario, quelli illegali.
Tutta la storia dello stragismo di Stato nelle piazze e nelle stazioni, e della sua impunità - che è storia di questi decenni - è la storia non solo di bande fasciste ma è anche la storia delle complicità e coperture degli apparati dello Stato.
Per garantire l'inviolabilità della proprietà privata dei mezzi di produzione - unica vera pietra su cui si erge la Repubblica in cui viviamo - la borghesia ha bisogno di queste "bande armate". E per garantire la fedeltà di questi apparati, vige la regola dell'impunità per chi talvolta ci prende tanto gusto che picchia anche quando non è necessario, magari solo per sfogare la frustrazione di una serata, magari solo perché è stato addestrato ad odiare ogni devianza e quindi detesta non solo il comunista o il giovane dei centri sociali ma anche il ragazzo con l'orecchino, il giovane che si fa una canna, il nero, l'omosessuale, il travestito.
I Cucchi e gli Aldrovandi sono cioè gli effetti collaterali che lo Stato - che è borghese, cioè al servizio dello sfruttamento di una classe su un'altra - deve accettare e coprire per garantire che le sue "bande armate" adempiano al compito per cui esistono. Che non è certo - è chiaro - quello di "difendere i cittadini" o combattere mafiosi e criminali ma appunto quello di vegliare sulle casseforti di quel pugno di miliardari che detiene la ricchezza rubandola a chi lavora.
Ilaria non ha ancora trovato questa spiegazione della morte di Stefano perché probabilmente non ha mai incontrato in vita sua la lettura di classe, marxista, della società in cui viviamo e del suo Stato. Ma spiegare questa verità che tutti occultano non è compito di Ilaria. E' compito dei rivoluzionari. Che certo sperano di avere un giorno tra le proprie file, a combattere contro il potere barbaro della borghesia, per il potere socialista, una donna coraggiosa, forte e ostinata come Ilaria Cucchi.

Francesco Ricci - PdAC

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