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    Lager Egitto

    (11 Ottobre 2018)

    pollo hrw

    Ancora sequestri, torture, violenza anche sessuale, rivolta a oppositori o stranieri considerati ficcanaso. L’Egitto non smentisce la fama che si è consolidata sotto il regime di al Sisi, il presidente mandante di omicidi per fare del grande Paese arabo una piazza del terrore che piace agli autocrati mediorientali e mondiali. Human Right Watch denuncia l’ultimo caso: un autista di limousine dalla doppia cittadinanza egiziana e statunitense attivo a New York, è stato fermato dagli uomini della Sicurezza Nazionale nella zona portuale di Alessandria dove s’era recato per far visita ai familiari. Era gennaio scorso e il suo travaglio è durato quattro mesi, nei quali è finito immotivatamente in galera. Lì veniva “interrogato, bastonato, trattato con cavi elettrici in varie parti del corpo, compresi i genitali”. E’ stato lui stesso tempo dopo a raccontarlo all’Ong. Le accuse del quarantunenne Khaled Hassan sono esplicite: “Agenti della NSA (l’Intelligence egiziana, ndr) mi appendevano per le braccia, tenendomi in quella posizione anche per giorni, si posizionavano alle mie spalle e davano ripetute scosse elettriche alla testa, all’ano, ai testicoli. Poi si piazzavano di fronte per colpire lingua e inguine”.

    Periti e avvocati di HRW hanno preso visione delle lesioni che l’uomo ha sul corpo, testimoniandolo con immagini. L’autista ha confermato d’essere stato scarcerato circa un mese dopo la fine dei “trattamenti” quando le ferite si erano rimarginate. Col rilascio gli è stato comunicato che il suo nome finiva su una lista nera di soggetti fermati col ‘sospetto di essere fedeli all’Isis’. Ritorsioni ci sono state anche sulla famiglia: dopo l’arresto di Hassan la moglie peruviana e i tre figli sono stati giudicati indesiderati e rimpatriati. Non sarà il trattamento subìto da un semplice lavoratore a incrinare i rapporti fra Washington e Il Cairo, anche perché il torturato è sostanzialmente un immigrato con una seconda cittadinanza. Però molti negli Stati Uniti, la cui amministrazione la scorsa estate ha elargito 195 miliardi di aiuti militari a Sisi, s’interrogano sul clima interno instaurato nel Paese alleato dove i diritti umani sono calpestati. Ma la Casa Bianca non va tanto per il sottile, poiché Sisi nel suo asse con la componente militarista del caos libico (il generale Haftar), nei buoni rapporti stabiliti con Netanyahu, continua a essere una pedina preziosa per gli interessi americani. A scapito di oppositori e di chi sconta la smania seviziatrice della cricca militare egiziana.
    11 ottobre 2018

    articolo pubblicato su enricocampofreda.blogspot.com

    Enrico Campofreda

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