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Lezione saudita

(3 Novembre 2018)

bin Salman

Dopo un mese di criminalità privata praticata, esibita e rivendicata pubblicamente l’Arabia dei Saud continua a essere sulla bocca di tanta opinione pubblica, nelle penne di molti commentatori, nei proclami della geopolitica mondiale. Anche in casa c’è chi parla del caso, seppure con morbida accortezza, ma l’ipotesi lanciata di affiancare un premier a bin Salman cade immediatamente nel vuoto, visti i suoi comportamenti liquidatori verso qualsiasi ingerenza alla propria pianificazione politica. Del resto lui non ci aveva pensato due volte a umiliare parenti prossimi e lontani e businessmen arabi, sequestrandoli per giorni in un hotel iper stellato di Riyadh al fine di estorcergli consenso sul suo operato. Ha fatto defenestrare, per ora solo politicamente, il cugino designato al trono secondo una prassi consolidata da decenni. Ha stravolto e innovato il panorama interno a suo piacimento, fino a stroncare con un omicidio truce e sanguinario un personaggio noto come l’opinionista che lo criticava.
Chi lo conosce bene afferma che se limitato nelle mosse il principe si sentirà in gabbia e attaccherà chiunque provi a contenerne le smania di potere. Dopo l’assassinio di Khashoggi, trascorso senza intoppi, c’è chi giura che MbS anziché sospirare a fondo per lo scampato pericolo d’un suo coinvolgimento geopolitico prima che giudiziario, alzerà ancor più pretese e boria aumentando la temerarietà criminale. Proprio come sta facendo fare al Paese nel conflitto yemenita, da oltre un anno in condizione di stallo e responsabile solo di massacri di civili e crisi umanitaria. Nell’orizzonte geopolitico che ha interagito con la vicenda, Stati Uniti e Unione Europea sono troppo compromessi negli affari con la petromonarchia per troncarne i rapporti, indispensabili soprattutto per il nuovo assetto che riguarda l’area regionale dove agiscono altri alleati ferrei di Washington: Israele ed Egitto. Un fronte storico che interviene uniformemente sulla questione palestinese, mentre i sauditi risultano strategici nel contenimento della presenza iraniana nel piccolo Medioriente.
E’ così da tempo. L’amministrazione Trump ribadisce con maggiore energia quest’orientamento, passando oltre anche su un evento indifendibile come il truculento omicidio di un editorialista d’un media americano, integrato nel suo territorio; un misfatto ammesso e archiviato dagli interessati a mo’ d’inciampo da nulla. Del resto l’alibi è trovato nella collocazione della vittima: un giornalista, categoria che i potenti accettano solo nella posizione di servitori propagandisti, che era peraltro un opinionista critico, e per ultimo ma non certo meno importante veniva tacciato d’adesione alla Fratellanza Musulmana. Questa componente è odiata dalla monarchia Saud alla stregua di come viene detestata dai militari e dai partiti laici egiziani, poiché rappresenta un nemico politico. Ma allo stato attuale è difficile pensare di sganciare l’Arabia Saudita dai mercati internazionali di idrocarburi di cui la nazione araba è un pilastro, e tutto ciò diventa il motivo portante dell’evanescenza di reazioni internazionali a un’infamia che in tal modo viene istituzionalizzata. La lezione saudita è esplicita e didascalica e in giro troverà altri interpreti.
3 novembre 2018

articolo pubblicato su enricocampofreda.blogspot.com

Enrico Campofreda

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