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Un consiglio alla Cgil che va al congresso

(30 Agosto 2005)

E' positivo che Gugliemo Epifani abbia corretto la posizione della Cgil, alla fine condannando il gravissimo attacco dell'Alitalia ai diritti sindacali del Sult. Tuttavia anche da questa vicenda emerge un quadro contraddittorio delle posizioni e delle scelte del più importante sindacato italiano.

Da un lato la lotta contro il governo Berlusconi e la sua politica economica e sociale ha delineato una sacrosanta radicalità nel conflitto generale. Dall'altro la pratica sindacale concreta, i rapporti con le controparti, quelli con i lavoratori, hanno visto spesso la continuità e anche il rafforzamento di scelte moderate, coerenti con la politica della concertazione.

Questa contraddizione è stata contenuta fino a che, grazie soprattutto all'iniziativa della Fiom e alla mobilitazione generale contro il Patto per l'Italia, ha prevalso la necessità della lotta agli accordi separati e alla politica liberista del governo e della Confindustria. Quando però quella linea di attacco frontale è andata in crisi, mentre è dilagato il declino economico del paese e quello morale delle sue classi dirigenti, tutto è cambiato.

Paradossalmente la Cgil, proprio quando riceveva conferma positiva delle sue scelte più radicali, si è fermata. Ha dato credito al ruolo di Luca di Montezemolo, minimizzando il peso delle scelte sulla Fiat e sui contratti della nuova direzione della Confindustria. Ha largamente ridimensionato il rapporto con il movimento no global, del quale era stata invece protagonista a Firenze. Ha, almeno sino ad ora, rinunciato a costruire un movimento di lotta generale, in grado di condizionare l'evoluzione della crisi e del dibattito politico, così è stato sulle pensioni, così sui contratti, ove, di fronte a un accordo per i pubblici sempre più aleatorio, si è rinunciato all'unificazione di lavoratori pubblici e privati contro governo e Confindustria. Insomma, di fronte alla crisi della destra la Cgil è sempre più tentata di tornare, mutato quello che c'è da mutare, alla linea ed ai comportamenti tenuti durante la stagione del centrosinistra. Che hanno prodotto risultati che ancora oggi i lavoratori rimproverano.

La radicalità della critica a Berlusconi si è accompagnata a un moderatismo nelle pratiche sindacali nel quale sempre più pesano le posizioni di Cisl e Uil.

Certo la crisi economica ed industriale spinge naturalmente i sindacati verso incertezze e moderatismi. Succede in tutto il mondo occidentale. Ma le giustificazioni possono assolvere la morale dei gruppi dirigenti, non i risultati delle loro scelte.

Quest'anno tutti i nodi della contraddizione tra radicalità politica e moderatismo sindacale della Cgil verranno al pettine. L'offensiva d'agosto sul "centro", al di là dei suoi rimbalzi nel teatrino della politica, ha fatto emergere la spinta delle classi dirigenti economiche a condizionare brutalmente il quadro politico. Quale che esso si definisca con le elezioni.

Quest'anno tutti i nodi della contraddizione tra radicalità politica e moderatismo sindacale della Cgil verranno al pettine. L'offensiva d'agosto sul "centro", al di là dei suoi rimbalzi nel teatrino della politica, ha fatto emergere la spinta delle classi dirigenti economiche a condizionare brutalmente il quadro politico. Quale che esso si definisca con le elezioni.

Si tratta di tornare, dopo il fallimento di Berlusconi, a quella che Mario Monti ha definito una "ordinata economia sociale di mercato", cioè al liberismo temperato dalla concertazione sindacale. Nel rinnovo dei contratti di lavoro, primo quello dei metalmeccanici, c'è già la pratica di questa linea. E' la Confindustria di Montezemolo - e non i Ricucci o gli Gnutti - che dice no alle richieste sindacali e si prepara a presentare un documento al centro del quale sta l'attacco alla contrattazione e al diritto di sciopero. Esattamente come fa oggi l'Alitalia. Si ristrutturano i poteri capitalistici, si liquidano gli outsider, riprende l'offensiva contro i "privilegi" del mondo del lavoro, si condiziona pesantemente il futuro delle politiche economiche con la necessità del risanamento dei conti pubblici e privati. In sintesi, la borghesia riorganizza forze e programma.

Ecco allora che la radicalità politica non è più sufficiente, è necessario che essa sia accompagnata da una pratica sindacale che contrasti a fondo il disegno del padronato e delle forze neocentriste. Se questa pratica manca, anche la posizione politica si indebolisce e diventa inefficace, come mostra la crescita di forza del neocentrismo sindacale della Cisl.

Qui c'è il bivio che la Cgil ha di fronte, bivio che la lunga campagna elettorale può offuscare, ma non cancellare. Si tratta di decidere se la lotta contro Berlusconi è stata solo un'emergenza, una nottata da passare, per poi tornare alla politica della concertazione e del 23 luglio; oppure se quelle lotte, quell'esperienza, sono l'avvio di una nuova fase sindacale, da far crescere e qualificare.

Il congresso della Cgil, che vedrà proprio in quest'autunno di lotte svolgersi le assemblee di base, avrà di fronte questa alternativa. Inizialmente si è tentato di evitare che proprio di questo si discutesse. Questo era il senso della proposta di un unico documento, che esaltasse la radicalità politica della Cgil e mettesse la sordina sui tanti moderatismi delle sue pratiche. La sinistra di Lavoro Società ha accettato quest'impostazione, venendo così meno alla sua natura di forza critica in primo luogo del sindacalismo concertativo. Ma questa scelta è maturata prima dell'avvio della fase congressuale.

Quando la Fiom, con contraddizioni ma anche grande generosità, ha iniziato ad infrangere nelle piattaforme e nella pratica democratica i tabù del modello concertativo, il gruppo dirigente di Lavoro Società ha avuto una reazione difensiva e imbarazzata. Invece che operare per estendere in tutta l'organizzazione l'esperienza della Fiom, anche criticandone limiti ed incoerenze, si è alla fine preoccupato dell'"estremismo dei metalmeccanici".

La Rete28Aprile, esperienza proposta da pochi nei gruppi dirigenti centrali della confederazione, ma che ha raccolto vasti consensi tra delegati e militanti nei territori, ha provato a rimettere al centro del dibattito della Cgil la questione sindacale e le sue contraddizioni. Non sarebbe stato uno scandalo se le differenza di giudizio sulla politica sindacale di questi anni fossero sfociate in un documento alternativo. Strumento ancor più giustificato di fronte al patto tra i 12 segretari confederali, che punta a congelare tutta la dialettica congressuale in correnti decise a tavolino e costruite sulla base della fedeltà ai gruppi dirigenti. Ora però le tesi alternative proposte dal segretario della Fiom aprono la possibilità di un confronto più concentrato su alcuni temi - contrattazione, democrazia, indipendenza politica del sindacato - ma più vasto ed articolato nelle forze che lo promuovono. Questo è il terreno su cui si misurerà la reale collocazione e identità di ogni sinistra sindacale.

Non basta chiedere l'abrogazione della legge 30, se poi nella contrattazione la si accetta. Non basta reclamare una legge sulla democrazia sindacale, se poi non si pratica la democrazia nei luoghi di lavoro. Questo è il nodo del congresso.

Liberazione 30 agosto 2005

Giorgio Cremaschi

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