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(26 Giugno 2010) Enzo Apicella
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(Stato e istituzioni)

12 dicembre 1969-2018
muta la forma resta la sostanza
LO STATO BORGHESE si ABBATTE e NON SI CAMBIA!

(6 Dicembre 2018)

A riformare lo Stato ci pensano i padroni italiani, pressati dal vincolo europeo.
Devono adeguarsi alla stazza continentale della competizione interimperialista.
Devono funzionalizzarlo, snellirlo, sburocratizzarlo, renderlo corrispondente alle cessioni di sovranità imposte dal processo costituente gli stati uniti d'Europa.
A noi sfruttati non resta che prenderne atto.
Confermando che questa macchina oppressiva rimane borghese, meritevole solo di essere demolita e soppiantata.
12 DICEMBRE 1969-2018 MUTA LA FORMA- RESTA LA SOSTANZA
LO STATO BORGHESE SI ABBATTE E NON SI CAMBIA

QUELLA SERA A MILANO ERA CALDO

Nessuna “luce” da fare sulle stragi di Stato di ieri e di oggi, quelle in nome del profitto, per lo sfruttamento del lavoro salariato, per la devastazione ambientale, per la denutrizione e la malasanità, per la discriminazione razziale e la sopraffazione di genere.
Nessuna “inchiesta” né pista da seguire, nessun servizio “deviato” da denunciare.
Quelli che volevano, anche 49 anni fa, “fare luce”, Stato-stampa-riformisti, erano gli stessi che sbattevano in prima pagina le “belve” anarchiche e gli arrestati giù dalla finestra della questura milanese .
La verità era chiara già il 13 dicembre 1969

VALPREDA INNOCENTE! PINELLI ASSASSINATO! LA STRAGE E' DI STATO!

16 morti a Milano per un ordigno piazzato dai fascisti nella Banca dell'Agricoltura a piazza Fontana. Politici, stampa e polizia attribuiscono la colpa agli anarchici. Giuseppe Pinelli, ferroviere anarchico, viene interrogato in Questura dal commissario Calabresi per ore, dopodiché vola “misteriosamente” dalla finestra. I media parleranno di “suicidio”.
Il movimento rivoluzionario e libertario, da subito, parlerà di assassinio e di Stato stragista.

LA MEMORIA STORICA

La memoria, se non fornisce al movimento rivoluzionario gli insegnamenti derivanti dall’esperienza, se non diviene lo strumento della riflessione per l’azione, rimane fine a se stessa. Spesso diviene puro esercizio scadenzista, liturgico, retorico; si trasforma in testimonianza, in mitologia, in icona. In una parola, viene svuotata di ogni significato, viene resa inoffensiva.
Ecco perché bisogna andare oltre la memoria, utilizzandola per compiti non più rinviabili, aggiornando l’analisi ai tempi dell’oggi, riprendendo quel filo rosso dell’organizzazione di classe da troppo tempo spezzato.
Lo Stato, alternando le passate strategie della tensione con le odierne strategie della pacificazione e della preventiva controrivoluzione cambia le proprie forme di espressione, ma non la propria sostanza di oppressione, controllo, repressione.
Mentre pero’ negli anni ’70 alla strategia padronale si opponeva la strategia della “tensione operaia”, oggi, di fronte al passaggio della centralizzazione continentale dello Stato, di fronte alla esfoliazione di diritti e libertà, non esiste alcuna difesa, nemmeno di ritirata ordinata di classe, ne’ in campo economico, tanto meno, in quello politico.
Intorno a questo ragionamento va regolato l’esercizio della memoria, per farla divenire sprone e arma per il domani, per calibrare gli impegni dell’oggi con la lotta per la futura umanità.

LO STATO

Lo Stato, come organizzazione della classe dominante, adegua la propria conformazione a tutti i cicli capitalistici, dallo stato nazione all'odierno stato delle “cessioni di sovranità” all'entità continentale, europea ma non solo.
Nel confermare il proprio ruolo di controllore dell'ordine sociale e di “distinto potere pubblico” burocratico, vive l'odierno suo periodo storico nel passaggio da stato della delega parlamentaristica a stato imperialista, accoppiando i processi di snellimento e funzionalizzazione del proprio apparato con quelli della rinuncia alle proprie stesse regole di funzionamento.
Il processo di adeguamento della sovrastruttura politica ed ideologica al movimento reale di produzione e riproduzione dello sfruttamento è una costante della società capitalistica. A volte questo processo è lineare.
A volte, squilibrato, in ritardo, sfasato, non corrispondente, come nella formazione economico-sociale capitalistica italiana.
La Costituzione repubblicana, involucro e cartina di tornasole, architettura giuridico-legale della sovrastruttura è stata più volte sottoposta a restyling, senza riuscire però a produrre fino in fondo quel salto “modernizzante” imposto dalla velocizzazione globale e dal vincolo di mercato Europeo. In sostanza, l'internazionalizzazione capitalista, imponendo i suoi ritmi accelerati, si irradia su tutta l'organizzazione statuale, attaccando lentezze ed incoerenze nelle decisionalità, riducendo poteri e squilibri di voto e di veto, diventando arma giuridica indispensabile per affrontare e risolvere la ristrutturazione Italiana in chiave europea.
La centralizzazione funzionalizzante dell'apparato burocratico dello Stato tende ad integrarsi con gli standard decisionali europei, sminuendo procedure di formazione governativa, componendo lo scontro per la sovrapposizione politica tra i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario tuttora in corso.
Comprendere i mutamenti del quadro statuale significa individuarne le novità ma anche le regolarità nel proprio perpetuarsi, inquadrando nell'evoluzione del ciclo storico una possibile strategia rivoluzionaria.

VERITÀ e REPRESSIONE

Dietro l’idea di una “strategia della tensione” statuale e padronale, spesso, si è nascosta l’ideologia dello “Stato eversore e deviato” dalla stesse regole democratiche alla base di tutta l’architettura costituzionale.
Se è vero, come è vero, che lo Stato borghese ha sempre utilizzato tutti i mezzi necessari per arginare, corrompere, reprimere il movimento di classe, e’ vero anche che questo e’ avvenuto all’interno, e non fuori, degli strumenti, delle norme e dei codici della democrazia, lasciando magari ai suoi servi fascisti il lavoro sporco di fuoriuscirne.
Vogliamo dire che quella dello stato è una “strategia della reazione” flessibile ed adeguata alle fasi storico-politiche.
Vogliamo dire che la strategia della rivoluzione, della rottura col sistema democratico è stata sempre perseguita dal movimento rivoluzionario, quando la situazione oggettiva si incrociava con favorevoli rapporti di forza tra le classi. Ieri, di fronte ad una pericolosa insorgenza proletaria, lo stato tentava di arginare il lungo ciclo di lotte del decennio ’70-’80 con le bombe certo, ma anche con la ristrutturazione complessiva di sistema, ma anche con la cooptazione dell’intero sistema dei partiti e dei sindacati, ma anche con la corruzione materiale di una minoranza di aristocrazia operaia.
Oggi, a fronte dalla costruzione del blocco imperialista europeo, e del proprio contraddittorio tentativo di centralizzazione statuale, assistiamo da una parte all’imposizione di politiche unitarie di “parificazione di bilancio e di riduzione del debito”, dall’altro allo svilupparsi dei processi di “cessione di sovranità” da parte degli Stati nazionali al nascente stato europeo.
Che altro non rappresentano se non la camicia di forza legislativo-istituzionale per garantire l’espropriazione della ricchezza sociale e il saccheggio del risparmio da parte del sistema imperialista multinazionale.
Questo processo di blocco continentale, utile ai padroni europei per superare la crisi ed adeguarsi ai nuovi ritmi della competizione multipolare, viene fatta pagare al proletariato, incapace di risposte adeguate alla pesantezza dell’attacco subito.
Questo processo abbisogna di uno snellimento complessivo di sistema che riguarda l’intero comparto burocratico dello stato, così come quello della formazione, così come schiacciamento del diritto del lavoro.
Questo processo sta andando in porto avvalendosi della “strategia della pacificazione” unita a quella della “preventiva controrivoluzione”, ambedue condite in salsa sciovinista e razzista dal governo Conte, dove si vorrebbero abolire, con la fattiva collaborazione sindacale e per decreto classi e lotta di classe, snellendo, funzionalizzando, fuoriuscendo da qualsiasi regola normativo-contrattuale del “vecchio” mercato del lavoro, modificando nei fatti la costituzione materiale del paese.
E’ per questo preciso motivo che una moderna strategia per la “tensione della fionda operaia”, non può attardarsi a “difendere” una Costituzione da sempre truffaldina e virtuale, con l’aggravante che, nel tempo, questa costituzione è stata trasformata in un simulacro di carta, riscritta sostanzialmente da Bruxelles, Maastricht e Lisbona.
Ieri con la strategia della tensione, oggi con quella della pacificazione, entrambe antiproletarie, lo Stato borghese difende ed assolve se stesso, allora ampliando a dismisura il proprio apparato burocratico parassitario, oggi snellendolo e accentrandolo, sotto la spinta delle imposizioni e dei vincoli del Capitale europeo.
Ieri come oggi, lo Stato borghese, fa pagare al proletariato il prezzo delle sue crisi e delle sue trasformazioni, alternando la forza alla partecipazione demagogica, comunque abbellite nel “ migliore involucro”democratico.

“Non dimenticare” e’ giusto, ma non basta più.
Occorre aggiornare l’analisi all’oggi ed ai suoi tempi cambiati.
Non per l’ennesimo seminario di studi, ma per riprendere l’azione, per reimpostare la nostra strategia della rivoluzione, il cui terreno non e’ quello del diritto, ma quello della lotta di classe.
La teoria di classe ha testato le sue conferme e le sue smentite nel tempo storico del movimento reale, nelle diverse formazioni economico-sociali, nell'avvicendarsi dei cicli delle lotte di classe, nelle forme, nei simboli e nelle tradizioni in cui queste si sono compiute.
Ogni epoca storica ha verificato l'efficacia della sua battaglia di classe in base ai risultati ottenuti nelle rivoluzioni vittoriose o nelle disfatte, nella conta e nell'accumulo dei militanti selezionati, forgiati e cresciuti in queste.
La storia delle lotte di classe è storia di tentativi che, aldilà del loro risultato pratico, contribuiscono comunque ad arricchire il bagaglio di esperienza in ogni singolo assalto, nella prospettiva della battaglia decisiva.
In questo senso, sia dalle molte sconfitte che dalle poche vittorie c'è da imparare, traendo sempre e fino in fondo tutte le lezioni che la nostra lotta ci fornisce, dal punto di vista della strategia adottata e delle forme di combattimento in questa adottate.
Dal sabotaggio esplosivo all'omicidio politico, dallo sciopero insurrezionale a quello generale, dall'occupazione delle terre a quella delle fabbriche, dai cortei armati contro padroni e crumiri al boicottaggio-sabotaggio di merci e ciclo produttivo, dal salto della scocca al “gatto selvaggio” alla “lotta armata per il comunismo”: ciascuna e tutte queste forme di lotta sono il diversificato patrimonio di classe utilizzato nelle condizioni date dai rapporti di forza, dalle contraddizioni del capitale, dalla presenza di una più o meno informale organizzazione degli sfruttati.
Ad ognuna di queste forme di combattimento di classe segue l'adeguamento padronale, che si attrezza certo per reprimerle ma soprattutto per prevenirle nel futuro, per renderle sempre meno offensive, talvolta addirittura per utilizzarle a suo uso e consumo.
La borghesia, ed il suo stato affrontano le lotte di classe imponendo rapporti di forza ad essa più favorevoli, ristrutturando il proprio apparato produttivo, funzionalizzando il proprio apparato statuale, affinando le proprie capacità di repressione e controllo preventivo, riducendo persino gli spazi ambigui ed angusti dello stesso diritto borghese e delle sue libertà individuali, al fine di provocare una disordinata ritirata di classe, incapace di contenere in se i germi per la ripresa del conflitto dispiegato.
E' esattamente ciò che sta accadendo negli ultimi decenni di passività profonda di classe dopo gli anni '70, quando dalla grande ristrutturazione de-localizzatrice e post-fordista degli '80 si è passati, con l'accelerazione dell'attuale crisi strutturale, all'attacco finale al lavoro salariato, alla sua precarizzazione totale, alla fine del contratto nazionale, alla riduzione forte della possibilità di esercizio del diritto di sciopero, di assemblea e manifestazione.
Contemporaneamente, accentramenti e funzionalizzazioni statuali stanno facendo il resto, consegnandoci una realtà “moderna” di concentrazione dove anche solo l'idea del conflitto sociale è bandita, surrogata spesso dall'annuncio e dal collegamento virtuale e telematico.
La scarnificazione dei rapporti sociali fa il paio con l'impedimento giuridico alla lotta e/o al suo svuotamento sostanziale, decretando l'avvento di una democrazia compiuta di tipo imperialista, perfetto “migliore involucro” alla competizione multipolare.
La borghesia e il suo Stato, tutta l’architettura giuridica e legale stanno attrezzandosi ad adeguare la loro società al superamento di una crisi fatta pagare per intero agli sfruttati, alle loro condizioni di vita e di lavoro, alle loro libertà ed ai diritti conquistati dalle generazioni precedenti.

LA NOSTRA RISPOSTA ADEGUATA

fronte di questo gigantesco e profondo processo di pogrom antioperaio, annotiamo la non automaticità e, comunque, la non adeguatezza, di una qualsiasi risposta di classe, nonostante l'importante arrivo di gioventù sfruttata e immigrata ormai circolante in tutta Europa.
Gli episodi di battaglie di difesa contrattuale sono altalenanti, frammentati e scoordinati, quando non espressi in forme spettacolari ed autolesioniste.
La stessa tecnicità della forma di queste lotte risente di una ripetitività che le rende inoffensive e facilmente reprimibili dai padroni, quando non strumentalizzabili istituzionalmente o nella dialettica tra le frazioni borghesi.
Di fronte alle velocizzazioni imposte dal mercato mondiale e recepite dalle singole statualità in chiave antioperaia, da parte nostra c'è (quando c'è!) un' insistenza nell'uso di una strumentazione di lotta del secolo passato, spesso desueta, inutilizzabile, preda di nostalgismi e dogmatismi dannosi alla causa.
Probabilmente non essendo in grado di alzare lo sguardo al mondo, comprendendo l'attuale movimento reale, non ne traiamo le dovute conseguenze, anche facendo tesoro delle lezioni delle passate sconfitte.
Tra la botta borghese e la risposta proletaria c'è un evidente squilibrio nelle strategie di fase da adottare, nel tipo di organizzazione antagonista da costruire, nelle forme di lotta da adottare.
Se è vero, come è vero, che le mediazioni tipiche del compromesso socialdemocratico e del welfare state del secolo passato sono finite, non sembra esserci nei fatti una vera assimilazione di questa nuova realtà, rimanendo prigionieri di vecchi stilemi e simbolismi ingialliti, quando non di ripetitività rituali e scadenziste.
La stagione storico-politica del diritto e dei diritti volge al desio, in favore della stagione della forza e delle forze.
E' evidente che continuare ad elemosinare diritto e diritti è inutile prima che avvilente. Al loro posto dovremmo curare di più l'accumulo di forze e militanti di classe, regolandoci sul terreno prospettico dell'esercizio organizzato della forza.
Continuare a rispettare l'intero castello giuridico securitario e antisciopero, fatto di leggi, regolamenti, codici, franchigie e commissioni di garanzia, vuol dire non fare più scioperi, ma soprattutto non farli più sul serio, limitandoci a quelli, prevedibili e programmati, che non colpiscono le merci e la produzione dei padroni, ma solo il nostro misero salario.
Continuare a protestare contro gli accordi Comune-Questura-Sindacati, che impediscono cortei e manifestazioni vuol dire chiedere a lor signori il “permesso” di protestare oggi, di oltrepassare “zone rosse” domani, di praticare “assedi” la prossima settimana.
Come se fosse possibile, prima che realista, chiedere a qualsiasi potere l'esercizio di una Rivoluzione sociale, o lamentarsi della repressione o della truffaldinità dei loro istituti referendari e suffragio universale.
C'è necessità urgente di rivedere la convenienza e la possibilità d'uso di certi strumenti storici del movimento operaio, di verificare la pericolosità nel persistere di certe mobilitazioni troppo pubbliche e troppo esposte, piene di annunci verbali ma incapaci di produrre danni al nemico di classe.
Ne consegue che per rimodulare il nostro agire politico quotidiano nel senso dell'adeguatezza all'attacco subito, con l'obiettivo di “far male al padrone” col minor numero di perdite possibili, dobbiamo dotarci di nuovi strumenti di lotta di difesa, di attacco e di nuove strutture organizzate che ce ne consentano l'uso migliore.
E' ora di “dismettere la camicia vecchia ed indossare quella nuova”, adeguando noi stessi ed i nostri tentativi politici rivoluzionari alle sfide che la borghesia ci impone, abbandonando definitivamente l'utopia di “migliorare il mondo”, dedicandoci a rivoltarlo.
Invece!

Mercoledi' 12 dicembre ore 16.00
all'università La Sapienza aula "c" di Fisiologia

Sabato 15 dicembre ore 16.00
presso il laboratorio "100celle aperte" via della Resede 5

Sabato 15 dicembre dalle 20.30
allo spazio anarchico "19 Luglio" via Rocco Da Cesinale 18

CLASSE contro CLASSE

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