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(15 Agosto 2012) Enzo Apicella

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    Le prospettive della situazione italiana

    (17 Dicembre 2018)

    scintilla

    La crisi politica della borghesia italiana procede sulla base degli irrisolti problemi economici. Al governo vi è una coalizione disunita su tutto, tranne aggredire i migranti e gli operai in lotta. Dopo aver approntato una finanziaria clientelare, la maggioranza parlamentare arranca, dilaniata da divergenze profonde. Salvini e Di Maio, pensano a farsi le scarpe a vicenda; entrambi si preparano ad aprire la crisi sul punto di rottura prescelto, prima che lo faccia l’altro e prima che la stretta dell’oligarchia finanziaria diventi insostenibile.

    In questa sorda lotta di potere, la Lega col suo nazionalismo aggressivo mira a divenire la forza attorno alla quale si schierano i settori più reazionari della borghesia e dei ceti medi italiani, mentre altri settori della classe dominante si adattano passivamente.

    Il partito di Salvini, Giorgetti e Calderoli fagocita pezzi degli altri partiti di destra, cerca di trasformare i rapporti di forza con il M5S, specie al sud e fra le masse cattoliche, per ampliare la sua base sociale.

    Non si può certo escludere che la situazione descritta, di per sé transitoria e instabile - dato il carattere degli strati sociali che ne sono protagonisti - possa prolungarsi fino alle elezioni europee, con una commedia fatta di mediazioni interne e esterne, ritirate e fregature ai danni di disoccupati che fanno la fame e operai che non ce la fanno più a lavorare.

    E’ cambiata l’orchestrina di palazzo Chigi, ma per i proletari la solfa è sempre la stessa, persino più stonata. Qual è allora la via di uscita dal vicolo cieco italiano?

    Il populismo come fenomeno politico variegato, animato da elementi delle classi medie, ha la funzione politica di salvare il sistema capitalista dalla insurrezione degli operai e degli altri lavoratori sfruttati. E’ stato abilmente pompato dalla borghesia dopo la crisi del 2008 per impedire alla classe operaia di mettersi alla testa della lotta contro l’oligarchia finanziaria e formare un blocco rivoluzionario.

    I populisti vogliono conciliare il “cambiamento” (ovvero la difesa degli interessi della piccola borghesia) con la conservazione della sacra proprietà privata capitalistica e l’asservimento al grande capitale monopolistico.

    Il motivo per cui le loro promesse (reddito cittadinanza, pensioni, etc.) non sono realizzate, non sta nella bocciatura della manovra per deficit eccessivo da parte di Bruxelles, ma nella politica dei partiti di governo che non vogliono toccare le ricchezze dei padroni, dei miliardari, dei parassiti, i quali non indietreggiano di fronte alla miseria delle masse, ma vogliono accrescere i dividendi con l’intensificazione dello sfruttamento operaio e le speculazioni finanziarie, come quella sul debito pubblico.

    I soldi mancano perchè il governo del “cambiamento” non vuole prenderli da chi ha i forzieri pieni, continuando la stessa politica neoliberista dei governi precedenti.

    Populismo e capitalismo non sono identici, ma sono legati in modo profondo, a dispetto della demagogia sociale degli imbroglioni di Palazzo Chigi.

    Nonostante i suoi sforzi, le sue continue oscillazioni e i tentativi di mediazione con la grande borghesia, il populismo però non può fornire i mezzi per ottenere una stabilizzazione del capitalismo. Non appaga i famelici interessi dei padroni, così come non soddisfa le esigenze dei ceti medi e men che meno quelle del proletariato.

    Non può arrestare la decomposizione dell’organismo borghese né risolvere le principali questioni della nostra società (quella operaia, quella meridionale, quella vaticana, etc.) che anzi aggrava.

    Qui sta la radice della sua impotenza e delle sue contraddizioni, che si accentueranno nel momento in cui una nuova crisi scoppierà, i vecchi rapporti salteranno e le differenziazioni di classe si accelereranno.

    Ma si può pensare di rimuovere il populismo, in quanto fenomeno “anomalo”, per ritornare al precedente bipolarismo?

    Può la borghesia italiana tornare a un regime di democrazia liberal-riformista, rinunciando ai suoi progetti oligarchici ed eversivi?

    Chi sostiene questa tesi di fatto agisce politicamente per scongiurare e ritardare il ritorno in campo della classe operaia, lo sviluppo della sua azione anticapitalista e rivoluzionaria, la costruzione degli organismi di massa, la formazione di un’ampia alleanza delle masse lavoratrici diretta dalla classe operaia. Sostiene dunque una soluzione tanto conservatrice, quanto falsa.

    E’ inutile sperare in una sconfitta del populismo senza una lotta reale, così come è illusorio pensare in un ritorno al passato di relativa pace sociale, di miglioramento delle condizioni del proletariato.

    Cadere in questo errore significa lasciare a gruppi, partiti e rappresentanti istituzionali della grande borghesia la direzione della lotta, mettere la classe operaia alla sua coda per poi schiacciarla nel momento in cui essa uscirà dalla passività e riprenderà la propria iniziativa autonoma.

    La borghesia italiana non può tornare al periodo “costituzionale”, alla “centralità del Parlamento”, alle riforme e alle concessioni.

    La sua profonda crisi, l’inasprimento delle contraddizioni oggettive del sistema imperialista lo impediscono.

    Davanti a noi non c’è alcun nuovo periodo di sviluppo progressivo del capitalismo monopolistico, il quale non può mantenersi senza ricorrere alla trasformazione reazionaria di tutte le istituzioni politiche borghesi, alla distruzione delle libertà e dei diritti dei lavoratori, alla guerra di rapina.

    D’altra parte, il proletariato e le grandi masse non sono disposti a tornare nel fetido alveo della politica dei vecchi partiti borghesi e riformisti, ma se ne distaccano sempre più.

    Populismo e fascismo non si battono e nemmeno si possono combattere efficacemente con le fallimentari politiche socialdemocratiche; così come non è possibile condurre la lotta per gli interessi di classe, contro la UE e la NATO, strizzando l’occhio al governo Salvini-Di Maio e portando i lavoratori sulla strada del nazionalismo borghese per ottenere misere concessioni.

    La sola forza che può sviluppare la lotta contro l’oligarchia finanziaria e le sue istituzioni nazionali e internazionali è la classe sociale più interessata ad iniziare e condurre a termine una lotta rivoluzionaria contro l’intero sistema capitalistico, per la sua sostituzione con un nuovo e superiore ordinamento sociale.

    Questa forza fondamentale è il moderno proletariato, autoctono e immigrato, che battendosi con energia contro l’offensiva capitalistica, la reazione politica e i pericoli di guerra può e deve realizzare la sua egemonia, per la liberazione del paese da ogni governo borghese e piccolo borghese, sfruttando tutte le loro contraddizioni interne ed esterne.

    Al proletariato spetta il compito di raccogliere attorno a se, organizzare sulla base più ampia, mobilitare e unificare in un solo torrente di lotta tutti gli strati della popolazione che il capitalismo conduce alla rovina, staccandoli dall’influenza riformista, liberista e populista, per portarli sotto la sua direzione politica.

    I problemi della società italiana possono trovare soluzione solo sul terreno della rivoluzione proletaria, appoggiata dalle grandi masse popolari sfruttate e oppresse. Il solo programma realmente democratico e progressista è quello della dittatura del proletariato, che nel nostro paese, come negli altri, sarà realizzata in conformità coi tratti specifici della sua economia, della sua politica, della sua cultura, della sue particolarità nazionali.

    Tutti coloro che criticano questa nostra posizione sulla base della situazione di arretratezza soggettiva delle forze di classe, non colgono i caratteri fondamentali del periodo storico che viviamo, né l’acutezza dei problemi di fondo che si sono posti. Essi non possono essere risolti sul terreno di un’inesistente rivoluzione diretta dalla piccola borghesia radicale o di una seconda rivoluzione democratico-borghese, ma solo attraverso la conquista del potere da parte del proletariato, l’abbattimento del capitalismo e l’edificazione del socialismo.

    Questo processo storico non avviene spontaneamente, così come non è sufficiente la precipitazione della crisi economica per estromettere la borghesia dall’arena politica e dar vita a un governo degli operai e degli altri lavoratori sfruttati. Esso dipende dall’esistenza di un partito della rivoluzione sociale che guidi la classe per affermare i suoi interessi generali, le sue aspirazioni, realizzando tutte le iniziative politiche necessarie per accrescere la sua indipendenza, ampliare il suo fronte di lotta e la capacità di acquisire alleati, accumulare le forze della rivoluzione e sbaragliare i tentativi delle forze borghesi di riorganizzare il loro dominio.

    Oggi i nostri sforzi si devono concentrare sul compito del passaggio degli elementi avanzati della classe operaia al socialismo scientifico, attraverso una completa e definitiva separazione dall’opportunismo, dal riformismo e dal social-populismo, per formare quadri come fondamento del futuro Partito.

    La riorganizzazione delle forze di classe, il loro passaggio alle posizioni rivoluzionarie non può infatti avvenire senza l’intervento e l’azione politica dell’avanguardia proletaria.

    Da Scintilla n. 94 – dicembre 2018

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