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(Lotte operaie nella crisi)

In Francia
La grande paura è che si muova la classe operaia

(21 Dicembre 2018)

Il movimento dei “Gilet Gialli” è iniziato in Francia alla fine di ottobre. La protesta si è innescata per l’aumento dei prezzi del carburante, in parte dovuti all’aumento della tassa sui prodotti petroliferi, ma esprime tutto il malcontento di una parte della popolazione contro le misure sociali ed economiche attuate dal governo Macron e dei suoi precedenti. Un buon numero di manifestanti vive dove l’uso dell’automobile è una necessità, e quindi il continuo aumento del prezzo della benzina li priva di parte del loro reddito, a volte drammaticamente per i più poveri. Di fatto in un anno il prezzo alla pompa è aumentato del 23% per il gasolio e del 15% per la benzina.

Ma la crisi economica con il rallentamento della crescita sta colpendo il mondo capitalista nel suo complesso. Le borghesie nazionali si scontrano sempre più. Trump, tipico uomo d’affari, fa il buffone del re, proclama ad alta voce quello che tutti i capi di Stato del mondo pensano in silenzio: guerra economica, concorrenza sempre più esacerbata, isolazionismo, scandaloso per alcuni: l’unica etica che conta è fare affari e impadronirsi di settori sempre più ampi di mercati globali sempre più suddivisi.

In Francia il governo spiega che la sua politica economica e i regali a chi già detiene della ricchezza hanno il solo scopo di “rilanciare” le imprese e la produzione nazionale, in un contesto di crisi economica in cui la borghesia è riluttante ad investire. E per quanto riguarda l’aumento del prezzo della benzina, l’ha giustificato con la necessità di finanziare una politica di “transizione energetica” iniziata nel 2015. In effetti non passa giorno che i media non tornino a deplorare il triste peggioramento della salute del pianeta, con effetti irreversibili, catastrofici per la sopravvivenza dell’umanità, fin dal decennio a venire...

Ma è vero che le classi dominanti si preoccupano del futuro della Terra e che cercano di prevenire il degrado disastroso e persino irreversibile provocato dal modo di produzione capitalistico? O non si tratta piuttosto di prelevare denaro dalla parte più numerosa della popolazione, anche se in difficoltà, per riempire le casse dello Stato e specialmente quelle delle imprese e di quella parte sempre più ristretta ove si concentra la ricchezza?

Lo Stato borghese è al servizio delle classi dominanti. Ma le decisioni del governo non dipendono dal volere o dalle capacità della classe che tiene in mano i mezzi di produzione, bensì dal meccanismo economico spietato del modo di produzione capitalistico: per sopravvivere deve accumulare sempre più profitto, la caduta storica del saggio del profitto è incontrollabile e sfugge alla volontà degli individui, anche i più potenti, come ha affermato il marxismo da oltre un secolo.

L’attuale movimento in Francia è spontaneo, è nato fuori dai partiti politici e dai sindacati ufficiali, considerati “inefficaci” dai rivoltosi. In confronto il movimento “dei Berretti Rossi”, apparso in Bretagna nell’ottobre 2013 in risposta all’imposta ambientale riguardante l’inquinamento causato dai veicoli, fu scatenato dai proprietari delle imprese agro-alimentari in difficoltà, sostenuti dai loro dipendenti.

Il movimento dei Gilet Gialli, al contrario, è partito dall’iniziativa di una “automobilista” che ha chiamato alla mobilitazione attraverso il web e i social media, chiedendo un calo dei prezzi del carburante. Il suo testo è apparso il 12 ottobre sul popolare quotidiano “Le Parisien” con un grande successo e raccogliendo sempre più firme (oltre un milione a fine novembre). Gruppi locali sono nati su facebook in tutte le regioni della Francia.

In risposta il governo Macron ha lanciato una campagna “contro l’inquinamento atmosferico” pochi giorni prima dell’annunciato blocco sulla rete stradale nazionale sabato 17 novembre. A Parigi i blocchi si sono avuti intorno alla città ma la repressione delle forze di polizia ha limitato l’ingresso dei manifestanti. Il ministero degli interni ha riferito la cifra di 288.000 dimostranti per l’intera Francia.

I blocchi sono continuati per il resto della settimana con alcuni episodi di violenza. Il movimento si è esteso fino all’Isola della Réunion. I giorni seguenti la mobilitazione è continuata con numerosi concentramenti in tutta la Francia.

Per sabato 24 novembre è stata indetta una nuova mobilitazione nazionale; vietata dalla prefettura sugli Champs Elysées ha avuto luogo ugualmente con scontri con la polizia. Il Ministero degli Interni ha fornito infine la cifra di 166.000 dimostranti per tutta la Francia, dei quali 5.000 sugli Champs Elysées.

Manifestazioni e scontri hanno luogo nei giorni seguenti e in numerose regioni. Sabato 1 dicembre, si hanno blocchi stradali, dando luogo talvolta e degli scontri violenti con le forze dell’ordine. A Parigi la manifestazione torna e con violenze negli Champs Elysées e imbrattando l’Arco di Trionfo (sulla tomba del milite ignoto!!), con vetture incendiate, saccheggi di negozi. Il ministero dell’interno conta 136.000 manifestanti per tutta la Francia. Altri scontri scoppiano in altre città.

Il 3 dicembre gli studenti di un centinaio di licei protestano contro la prevista riforma della maturità, l’aumento delle tasse scolastiche per gli stranieri, e si uniscono ai Gilet Gialli.

Ma chi sono questi Gilet Gialli? Provengono per la maggior parte dalle città periferiche intorno a Parigi, e dalle zone rurali, abbandonate dai poteri pubblici (revoca dei servizi, stato di abbandono delle amministrazioni). Comprendono operai, lavoratori peggio trattati ed indipendenti, pensionati, piccoli padroni, tutti accomunati dal generale malcontento per il contrarsi delle loro entrate, e, per i proletari, per la sofferenza provocata dalla precarietà e dal degradarsi delle loro condizioni di lavoro e di vita.

La crisi economica del capitalismo che infuria da alcuni decenni e la politica liberale condotta dai vari governi, di destra come di sinistra, che tutti difendono gli interessi e i privilegi di classe della grande borghesia, hanno condotto all’impoverimento e al precariato di tutta una parte anche della popolazione francese: secondo i dati, già vecchi, forniti dall’Istituto Nazionale di Statistica il 14,5% della popolazione vive al di sotto della soglia della povertà, cioè con meno di 850 € al mese. Nel 2018 il reddito medio per famiglia in Francia è diminuito dell’1,2% rispetto al 2008, in particolare per il 67% delle classi medie, ma anche gli strati più modesti hanno subito un calo delle entrate. Almeno il 20% dei lavoratori dipendenti è precario e povero, numerosi pensionati vivono con una pensione miserabile. Almeno un terzo della popolazione si trova in sofferenza. Il che spiega questa rabbia e questa collera.

Finora queste condizioni e la sfiducia verso i partiti ufficiali si sono tradotti solo in un astensionismo di massa: l’astensionismo è divenuto oggi il primo partito politico della classe operaia: “perché andare a votare se comunque le riforme economiche e sociali saranno comunque contro di noi?”. Anche i sindacati, dopo i loro ripetuti tradimenti sono messi da parte.

Dei gruppi di estrema destra, di anarchici “autonomi”, di giovani delle periferie certo si sono infiltrati, trovando un terreno propizio per riversare la loro furia dovuta a motivi diversi; ma non sono serviti, come al solito, che a giustificare la repressione della polizia.

Ma la violenza è anche da parte del “popolo”, disperato ed evidentemente abbandonato dal potere. Questo “popolo” ha ben compreso che le discussioni non servono più a farsi intendere e che alla violenta oppressione borghese bisogna rispondere con la violenza. Cosa risponde il governo quando il “popolo” si ribella? La sola giustificazione all’aumento delle tasse è finanziare, la “transizione ecologica”! E chi ci crede ancora!

E che fanno i sindacati? I principali sindacati dei lavoratori hanno dapprima rifiutato di aderire al movimento accusandolo di essere lo strumento dei partiti di estrema destra (povera Marine Le Pen! Solo lei fa ancora sventolare la bandiera dell’antifascismo!). In FO solo la Federazione dei trasporti ha chiamato alla solidarietà con i Gilet Gialli. Infine la CFDT nei giorni scorsi si è decisa a proporsi come interlocutrice del governo: se fino ad ora esso ha voluto dimostrare di poter fare a meno dei sindacati, adesso è giunto il momento che riconosca di averne invece bisogno. Per il ruolo di pompieri della lotta di classe, infatti, non c’è niente di meglio delle grandi centrali sindacali attuali!

In conclusione, anche noi possiamo definire questo movimento come “popolare”. Questo termine deriva dalla parola “popolo” che abbiamo definito nel nostro testo del 1953 Dialogato con Stalin: «Ma il popolo, che diavolo è questo? Una ibridazione tra classi, un integrale di succhioni e di schiavi, di professionisti dell’affare e del potere con le masse di affamati e oppressi. Il popolo lo consegnammo, fin da prima del 1848, alle leghe per la libertà e la democrazia, il pacifismo e il progressismo umanitario. Il popolo non è soggetto di gestione economica, ma solo oggetto di sfruttamento e di inganno, nelle sue pietosamente famigerate “maggioranze”».

La ripresa della lotta di classe, dopo tanti anni di contro-rivoluzione, di tradimento e di disorganizzazione, passa forzatamente per dei movimenti spontanei al di fuori di qualsiasi organizzazione, poiché tutto è da ricostruire. È solamente dalla generalizzazione delle lotte spontanee, ma radicali del proletariato, che rinasceranno degli organismi di classe e che si separerà un’avanguardia proletaria che entrerà nelle file del partito.

Nelle condizioni attuali non occorre sicuramente molto perché venga a scoppiare uno sciopero generale. I sindacati, da bravi cani da guardia, fanno la guardia. Finché la crisi di sovrapproduzione si aggraverà tanto che saranno travolti.

In questo “movimento” di Gilet Gialli, infatti, il proletariato è presente non come classe per sé; esso non è inquadrato in un’organizzazione economica e in un partito politico che lo rappresenti in questa società inchiodata al capitalismo e allo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo. La lotta di classe non si esprime in modo diretto e il proletariato non ha da aspettarsi che disillusioni, tradimenti e bastonate. Senza organizzazione economica e politica non c’è salvezza! Che rinascano le organizzazioni economiche, al di fuori dalle attuali centrali sindacali, e siano conquistate dal Partito Comunista Internazionale, quando la lotta delle classi sarà di nuovo apparsa potente alla luce del sole!

PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE

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