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IL NODO BREXIT NELLE CONVULSIONI
DEGLI EQUILIBRI BORGHESI

(21 Dicembre 2018)

theresa may

La fase attuale vede il mondo politico delle maggiori centrali imperialistiche attraversato da profonde divisioni, segnato dalla difficoltà ad elaborare e imporre una linea generale delle principali frazioni borghesi.
Trovare uno stabile baricentro politico su cui possa imperniarsi una strategia che riesca a fare da guida negli sviluppi del confronto imperialistico globale, si sta rivelando un compito travagliato e conflittuale. Le elezioni di medio termine negli Stati Uniti hanno confermato la vistosa spaccatura nello scenario politico della borghesia americana. In Francia le mobilitazioni dei “gilet gialli” hanno ridimensionato il troppo celebrato ruolo di leadership del presidente Macron e della sua formazione politica. Chi pensava che il nuovismo di En Marche! potesse fare dell’imperialismo francese un’eccezione rispetto alle convulsioni e alle turbolenze che stanno scuotendo gli assetti politici di molte realtà occidentali, deve ora ricredersi. Un ciclo, quello dell’adeguamento alla cosiddetta globalizzazione come imperativo assoluto, dogma indiscutibile e futuro radioso per l’intero corpo sociale, è finito e le contraddizioni profonde maturate in quella fase di intensificazione della maturazione capitalistica su scala mondiale sono emerse e stanno sempre più emergendo. Con manifestazioni sociali e forme politiche in buona parte differenti da quelle partorite in cicli precedenti.
Né si può pensare di scindere queste turbolente dinamiche politiche in due piani: quello interno, teatro di convulsi mutamenti e aspri scontri, e quello esterno, internazionale, dove prevarrebbe una sorta di business as usual. Questi due versanti sono profondamente intrecciati e interagiscono massicciamente. La Germania del tramonto dell’assetto imperniato sui due grandi partiti della tradizione socialdemocratica e cristianodemocratica deve confrontarsi con gli attriti russo-ucraini, che interessano la storica sfera di influenza tedesca nell’Europa centro-orientale. Gli Stati Uniti sono da tempo alle prese con la sfida di gestire al meglio una tendenza all’indebolimento relativo nei rapporti di forza globali. Un caso esemplare, in questo senso, è offerto dallo scenario politico borghese del Regno Unito di fronte al nodo Brexit.
In questa situazione, è lo stesso partito conservatore al Governo ad essere attraversato da aspre linee divisorie. Ad ennesima conferma di come l’esito del voto sulla permanenza o meno nell’Unione europea non potesse essere derubricato ad evento irrilevante, destinato a lasciare spazio naturalmente ad una appartenenza europea sancita dalla realtà socio-economica, lo scontro politico nella borghesia britannica rimane a livelli alti di tensione. Ad oggi sono svariati gli esiti possibili, da un’uscita senza accordo, all’approvazione dell’accordo promosso dalla premier Theresa May (forse con l’aggiunta di qualche correttivo da parte di Bruxelles in modo da favorire la formazione di una maggioranza parlamentare britannica, oggi assente, a sostegno del “deal”), fino all’eventualità di un nuovo referendum. Rimane il fatto che la clamorosa retromarcia della May di fronte al voto posto in agenda a Westminster, con il primo ministro indotta a gettarsi in un nuovo tour europeo alla ricerca di una formulazione dell’accordo che possa passare la prova del responso dei parlamentari britannici, illustra efficacemente il grado dello scontro politico in atto. Possenti movimenti stanno dispiegandosi alla base delle condizioni sociali delle maggiori realtà capitalistiche, vigorose contraddizioni stanno risalendo fino alla superficie dei più accesi conflitti politici. Il confronto imperialistico sta covando una tremenda carica di violenza. La nostra classe, il proletariato, sta avvicinandosi a queste grandi e terribili scadenze con un livello di organizzazione e coscienza così debole da trovare pochi riscontri nel passato. È già un dato di fatto l’utilizzo massiccio, e purtroppo a costi irrisori per la classe dominante, della classe subalterna in queste contrapposizioni, in queste sfide borghesi intorno ai nodi della gestione di un sistema capitalistico foriero di crisi e tensioni, degli sviluppi imperialistici globali. Ancora una volta il caso Brexit è esemplare: la classe operaia è sottoposta alle lusinghe, alle minacce, alle false promesse, alle ingannevoli parole d’ordine di due opzioni – quella della fuoriuscita e quella della permanenza nell’Unione – incardinate nel quadro della conservazione dei rapporti capitalistici, della dittatura del capitale. L’utilizzo, l’arruolamento, la manipolazione della classe sfruttata nella competizione interna ai suoi sfruttatori tenderà ad accentuarsi ulteriormente con l’acuirsi degli scontri e delle contraddizioni. La lotta per l’autonomia di classe si impone come un imperativo. Pensare di aggirare questo compito imprescindibile con tatticismi e scorciatoie significa solo contribuire a ritardare, a ostacolare un recupero significativo di quella consapevolezza, di quell’elemento cosciente che svolge un ruolo cruciale nella lotta proletaria. Lavorare all’autonomia di classe oggi è un difficile cammino controcorrente. Chi si attende un facile e ravvicinato plauso di massa è fuori strada. Ma solo in questo impegno, compreso con lucidità e perseguito con fermezza, si possono porre le basi per impostare un’autentica risposta di classe al maturare sempre più violento e sconvolgente delle contraddizioni capitalistiche.

Prospettiva Marxista

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