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Giornata contro la violenza sulle donne

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(26 Novembre 2012) Enzo Apicella

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MANOVRA DEL GOVERNO E DIFESA CLASSISTA

(2 Febbraio 2019)

Editoriale del n. 73 di "Alternativa di Classe"

giggino e il reddito

Il “reddito di cittadinanza” ed il “pensionamento a quota 100”, finalmente delineati dal decreto varato dal Consiglio dei Ministri il 17 u. s. e pubblicato nella G.U. di Lunedì 28 u. s., sono state le promesse a carattere popolare di Movimento 5 Stelle e Lega, che riguardano fondamentalmente i ceti meno abbienti e che implicano comunque un esborso per la loro realizzazione. Per questo erano diventate subito problematiche, aldilà dei loro stessi contenuti effettivi, sia per lo Stato a servizio del sempre più famelico capitale nazionale, e sia per il Governo Conte, cui oggi ne è affidata oggi la cura degli interessi.
Intanto la formulazione finale della Legge di Bilancio, la n. 145 del 30 Dicembre '18, pubblicata il giorno dopo e composta di 19 articoli, dove l'art. 1 comprende ben 1143 commi, è stata ben diversa da quella annunciata propagandisticamente mesi fa dal “Governo del cambiamento”, che aveva fino ad allora incentrato sapientemente il dibattito, a livello di opinione pubblica, solo sui due accattivanti provvedimenti-bandiera. La Legge di Bilancio, rispetto ad essi, aveva solo chiarito l'entità delle relative “coperture” finanziarie.
Aveva fatto il gioco della coalizione giallo-verde la prevedibilissima reazione scritta della Commissione UE al prospettato rapporto deficit/PIL, previsto inizialmente al valore di 2,4: il valore inferiore, da tempo indicato come accettabile “dall'Europa”, non veniva rispettato. Fino da Ottobre, così, accreditando una dura contrapposizione con Bruxelles, M. Salvini ha potuto mostrarsi come il “paladino degli italiani”, accumulando facili consensi, mentre il Governo nel suo insieme, coadiuvato dai media, ha continuato ad appassionare la popolazione a diversi pronostici sulle articolazioni dei contenuti della manovra.
Il gioco delle parti tra i vertici governativi ha sortito una manovra da circa 35 miliardi di Euro, con un deficit previsto ridotto al 2,04% del PIL, e che prevede un aumento di spesa nel 2019 da 852 a 869 mld di Euro. Il meccanismo, dato che la Legge di Bilancio coinvolge tre anni, è lo stesso degli anni passati: nemmeno per il 2019 c'è aumento dell'IVA, ma, dato l'incremento delle uscite statali previsto, si è fatto ricorso ad una “clausola di salvaguardia”, che prevede già per il 2020 l'IVA al 23% e per il 2021 al 26,5%.
Si tratta di un espediente, già utilizzato dagli ultimi governi, con il quale lo Stato italiano riesce ad essere formalmente a posto con i parametri della UE, rinviando i relativi problemi al futuro. Praticamente ogni anno i governi fanno ricadere sul bilancio dell'anno successivo maggiori costi, da coprirsi, alla mala parata, con l'impopolare aumento (sempre più alto) dell'IVA! Una “bomba ad orologeria”, effetto della crisi del capitalismo, un gioco al massacro sociale, che, comunque, incombe!...
La riduzione della previsione del deficit dello 0,4% ha comportato stanziamenti inferiori di circa 10 miliardi di Euro rispetto alla bozza propagandistica, oltre che per gli investimenti (6 miliardi di Euro in meno), di circa 2 miliardi di Euro in meno per il “reddito di cittadinanza” e di altri 2 miliardi di Euro circa per la “Quota 100”. A parte questi provvedimenti, per l'insieme dei quali basterà lo stanziamento di circa 13 mld di Euro, il terreno principale su cui si muove questa legge è quello fiscale.
Viene introdotta la cosiddetta “flat tax”, a partire da settori sociali per i quali, anche quando applicata a largo raggio, potrà dare “risultati positivi”. Nel 2019 comincerà col riguardare i professionisti e le piccole imprese. Con ricavi annuali fino a 65mila Euro avranno una sola aliquota forfettaria di tassazione al 15% ed, addirittura, al 5% se nei primi 5 anni di attività, senza tanta documentazione da produrre e con evidenti vantaggi; a maggior ragione se si considera che, per le categorie sociali con la stessa fascia di reddito, le aliquote IRPEF sono rimaste al 23, al 27 ed al 38% fino a 55mila Euro di “imponibile”.
I minori introiti per lo Stato, che ne deriveranno, saranno compensati da un altro provvedimento governativo: quella altra perla, che è la “pace fiscale”. Si tratta, praticamente, di un enorme condono fiscale, con regali e rateizzazioni a spalmatura, che, neanche a dirlo (senza entrare qui nei dettagli tecnici), andrà nella sostanza a premiare gli evasori. Sappiamo bene come non possano certamente fare gli evasori i lavoratori dipendenti, con il prelievo fiscale alla fonte!...
Un capolavoro: vantaggi padronali, finanziati con altri vantaggi dello stesso genere!!! Sarà poi la retorica del “siamo tutti italiani” a dare il la al Governo per una progressiva generalizzazione della “flat tax”, un domani che già ci sarà stato “chi si è trovato bene”!... In questo senso, già un politico “di sinistra” come P. L. Bersani (del quale non va dimenticato il suo conclamato stare “dalla parte delle banche”) ha demagogicamente, quanto ambiguamente, “attaccato” il Governo sul fatto che ai lavoratori dipendenti sono rimaste, invece, le vecchie aliquote IRPEF.
Va detto con chiarezza da subito che l'introduzione “erga omnes” della “flat tax”, con meno aliquote, e più basse, per tutti, non può che favorire, in ultima analisi, solo i redditi più alti, che, senza necessitare di servizi pubblici, avrebbero così l'unico risultato di enormi riduzioni di aliquota!... L'unico freno potrebbero essere i prevedibili minori introiti per lo Stato. Ma, come sappiamo, in una fase di privatizzazioni dei servizi e di necessità di riduzione del bilancio statale, una applicazione estensiva di questo arnese reazionario potrebbe tornare molto utile sia al padronato che ai suoi servitori!...
Piove sul bagnato. Ed in effetti, ogni legge di bilancio, e questa come le altre, non può fare a meno di “togliere ai poveri per dare ai ricchi”. Altri provvedimenti direttamente e apertamente padronali, magari mirati a precise lobbies, non mancano, come, ad esempio, l'istituzione di un Fondo di garanzia per le PMI, l'abolizione del contributo per il SISTRI (il Sistema di tracciabilità dei rifiuti), gli incentivi alle aziende per il “made in Italy”, gli iperammortamenti maggiorati ancora del 40%, il finanziamento (fino a 50mila Euro) per avvio, ristrutturazione e manutenzione straordinaria di attività di imprese che “restano al Sud”, e via di questo passo.
Scandaloso appare poi, nell'ambito della riduzione del cuneo fiscale, che riduce i contributi a carico delle imprese, il provvedimento che diminuisce loro i costi di 415 milioni di Euro di contributi INAIL (il 30%!..) per infortuni e malattie professionali dei lavoratori (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno VI n. 72 a pag. 2): un significativo trasferimento di risorse al padronato dai sacrosanti risarcimenti per una colpevolmente mancata sicurezza sul lavoro!...
Ma, dopo il Decreto Salvini sulla sicurezza (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno VI n. 72 a pag. 1), l'attacco ai proletari con la Legge di Bilancio si articola anche sul terreno economico. E, a riprova della natura della manovra, che strutturalmente consiste nel finanziamento da parte dei proletari delle spese sostenute dallo Stato complessivamente nell'interesse della borghesia (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno VI n. 70 a pag. 1), sono previste, infatti, anche misure che li colpiscono direttamente, come ancora il blocco delle assunzioni (fino al 15 Novembre) negli enti pubblici e nelle università, ancora il blocco della rivalutazione delle pensioni (a partire da quelle di circa 1530 Euro lorde mensili), ed il più che probabile aumento delle tasse locali, dato anche il taglio dei trasferimenti agli enti locali di risorse nazionali, con conseguente peggioramento della quantità e qualità dei servizi da questi erogati.
Nonostante tutto questo, Confindustria dichiara di non ritenersi soddisfatta: voleva molto di più, giocando, come suo solito, al rialzo, e lamentando un aumento complessivo della tassazione per la “categoria”, aumento, peraltro, temporaneo e che, in realtà, riguarda gli istituti di credito ed il gioco d'azzardo... Chi invece ad oggi non dimostra grande dissenso è proprio, invece, la maggioranza dei proletari, che, constatando la palese strumentalità delle critiche di forze di opposizione, quali P.D. e Forza Italia, tende a riconoscere al governo giallo-verde la coerenza di avere comunque “mantenuto le promesse”, come, almeno nominalmente, non si può negare che sia...
Si tratta, però, di andare a vedere i contenuti dei provvedimenti politicamente più importanti, e cioè quelli che riguardano il reddito di cittadinanza ed il pensionamento a “quota 100”, passando per le “pensioni di cittadinanza”, per come sono effettivamente espressi dal Decreto, che, in accordo con i vituperati “poteri forti” e con la UE, nei 29 articoli del Decreto n. 4/'19, non manca di prevedere, per tutte le diverse “concessioni” al popolo, una “spada di Damocle”, in caso di «scostamento, anche prospettico» dalle previsioni di spesa, e cioè la sospensione immediata della erogazione delle risorse necessarie, e quindi del beneficio stesso, verso un nuovo conteggio...
Rispetto alla ormai famigerata “quota 100”, brandita da M. Salvini come una sorta di “vendetta del popolo” verso la Fornero e Monti, va chiarita innanzi tutto la reale portata del provvedimento, che interesserebbe forse meno di 400mila persone. Quella che veniva propagandata come la “cancellazione” della Legge Fornero, oltre a lasciarne inalterato il meccanismo generale, si limita alla introduzione di una “finestra” di uscita dal lavoro (all'età di 62 anni, salvo un suo prossimo innalzamento in base alla “speranza di vita”, e con almeno 38 anni di anzianità di lavoro, che fanno lievitare la quota a 101, 102 e così via, man mano che aumenta l'età anagrafica dell'aspirante pensionato), per giunta a carattere sperimentale, per tre anni (e poi si vedrà...), mentre rimane il meccanismo pensionistico della Legge Fornero come “regime ordinario”.
Se non si può negare che, pur nei forti limiti di cui sopra, il provvedimento potrebbe rappresentare una alternativa per chi avesse necessità di raggiungere il pensionamento anticipato, perdendo, ovviamente, tutti i soldi che il sistema contributivo ed i meccanismi precedenti al decreto (opera dei precedenti governi) implicano, siamo comunque molto lontani da ciò che Movimento 5 Stelle e Lega propagandavano, ed ancor di più da quanto auspicavano i lavoratori già pesantemente colpiti dalle controriforme pensionistiche dei governi a guida P.D., Forza Italia e “tecnici”!...
Molto più complessa è la regolamentazione del “Reddito di cittadinanza (Rdc)” (rispetto al quale la “Pensione di Cittadinanza” rappresenta una appendice), che, sostituendo il limitato “reddito di Inclusione (Re.I.)” del 2017, introduce una normativa sostanzialmente assente nell'ordinamento italiano e presente, invece, in forme diverse, in quello di molti altri Paesi della UE. In ogni caso, non si tratta più di quel reddito minimo, che veniva teorizzato, e pubblicizzato dal Movimento 5 Stelle nella fase propagandistica, cui chiunque, in base al solo fatto di essere cittadino italiano, avrebbe avuto diritto...
Oggi viene definito, infatti, come una “misura di reinserimento nel mondo del lavoro, che serve a integrare i redditi familiari”. Oltre che a contrastare la povertà, che peraltro il vice-premier L. Di Maio aveva già annunciato di avere “abolito”, il suo obiettivo dichiarato è, ambiziosamente, quello di aumentare (insieme con il pensionamento anticipato con la “quota 100”) l'occupazione, favorendo l'incontro tra domanda ed offerta di lavoro.
Si tratta di un “beneficio economico”, anche a carattere integrativo, che porterebbe i cittadini “al di sotto della soglia di povertà” (ISEE < 9360 Euro/anno), residenti da almeno 10 anni in Italia, ad avere un reddito pari a tale soglia, individuata in 780 Euro mensili (500 Euro + 280 Euro di contributo per l'affitto), eventualmente maggiorati secondo la composizione del “nucleo familiare” di riferimento.
La prassi partirebbe da una richiesta dell'interessato, cui seguirà una verifica del possesso effettivo dei requisiti da parte dell'INPS (entro 5 giorni); in caso affermativo l'erogazione avverrà con il rilascio di una “Carta Rdc” da parte di Poste Italiane, una tessera magnetica idonea per determinati acquisti (stile “buoni-spesa” dell'ultimo contratto dei metalmeccanici?...) e con la quale potranno essere prelevati non più di 100 Euro al mese. Seguirà la sua convocazione da parte dei “Centri per l'Impiego” a carattere pubblico, che individueranno il da farsi tra un “Patto per la formazione”, un “Patto per la Inclusione Sociale” o un “Patto per il lavoro”, sulla base della situazione riscontrata.
Mentre per la formazione saranno coinvolti anche gli Enti bilaterali, costituiti dai sindacati consociati con lo Stato, per gli altri due patti verranno predisposti dai Comuni alcuni lavori “socialmente utili” di durata fino ad 8 ore settimanali. Le cosiddette “norme anti-divano”, per rassicurare i borghesi che non vi siano “profittatori” tra i proletari, sono poi quelle che prevedono la esclusione dalla erogazione del RdC per l'eventuale rifiuto anche di uno solo qualsiasi dei passaggi descritti.
La fruizione del RdC è prevista al massimo per 18 mesi, rinnovabili. Per quanto riguarda i lavori che verranno proposti, è stato predisposto un altro infernale meccanismo: nei primi 12 mesi potranno arrivare al massimo due offerte di lavoro, la prima entro i 100 km. dalla propria abitazione e la seconda entro 250 km. Dopo i primi 12 mesi di RdC, invece, la prima offerta sarà compresa nei 250 km. e la terza in tutto il territorio nazionale. Al rinnovo (cioè dopo i primi 18 mesi) anche la prima offerta potrà arrivare da tutto il territorio nazionale, mentre al terzo rifiuto salterà la stessa erogazione del RdC.
L'unica cosa che dovrebbe essere “certa” per il disoccupato “sotto la soglia di povertà” sarà il lavoro “socialmente utile” del Comune, che, evidentemente, risulterà sottopagato, mentre per un lavoro “normale” si dovrà, oltre che attendere non si sa quanto, eventualmente andare ben oltre i 50 km. attualmente previsti per l'accettazione di un lavoro da considerarsi “congruo”, e sempre con un capillare controllo della situazione familiare e la continua minaccia di esclusione dal “beneficio”. Gli spostamenti previsti sono poi tali da configurare, se le offerte di lavoro fisso vi saranno, una sorta di “deportazione”...
Ben diversamente verranno trattate le aziende che “offriranno” questo lavoro: per assunzioni con contratto a tempo indeterminato (magari “a tutele crescenti”) di un beneficiario di RdC, potranno ricevere “incentivi” che andranno dai 5 fino ai 18 mesi di sgravi contributivi, della consistenza massima di 780 Euro mensili. E', in sostanza, il meccanismo del tanto vituperato “Jobs act” di M. Renzi!...
Per i partiti governativi, M5S e Lega, come gli altri perennemente in campagna elettorale, l'uscita di questi due provvedimenti, compresa la discussione per la trasformazione in legge del Decreto n. 4/'19 entro 60 giorni, nell'immediato non porterà certo danni, dato che le elezioni europee sono previste a Maggio p. v., mentre i passaggi più penalizzanti entreranno in vigore più tardi. Gli attacchi politici della opposizione parlamentare, tacciando i provvedimenti governativi di “assistenzialismo”, non fanno poi che lamentare l'aumento del deficit pubblico provocato dalla manovra, dando per scontato, ovviamente, che la spesa dovrà ricadere sui proletari...
A fare da sponda a tale opposizione, in particolare al P.D., che ora ricerca quelle “alleanze a sinistra” che sempre gli hanno fatto tanto comodo elettoralmente, si sta accingendo la CGIL, appena uscita dal suo XVIII° Congresso Nazionale con la travagliata elezione a Segretario Generale del televisivamente popolare M. Landini.
Visto il momento politico, le forze che sostenevano il documento congressuale di maggioranza hanno “trovato una quadra”, affidandogli il ruolo di Segretario, con l'ex antagonista, V. Colla, nominato come “vice”. La Segretaria uscente, S. Camusso, che ha ribadito tout court la sua “bocciatura del reddito di cittadinanza e di quota cento”, e che ha tenuto a rilanciare l'unità con CISL e UIL, gli ha passato il testimone di una politica fallimentare per i propri rappresentati, ed è stata ricollocata come “ambasciatrice internazionale” della CGIL.
Landini, che ha parlato apertamente anche di recupero delle astensioni elettorali, ha usato toni meno frontali verso il Governo, nella coscienza che molti iscritti, ormai da tempo diseducati alla lotta, il 4 Marzo dell'anno scorso non hanno trovato di meglio che affidarsi al voto a M5S e Lega. Ma ha confermato, naturalmente, la linea unitaria con CISL e UIL, con i quali è stata indetta la manifestazione nazionale di Sabato 9 Febbraio, sulla base di “un giudizio largamente critico e severo della manovra” governativa. I sindacati confederali, puntando molto su questa scadenza (ovviamente non certo uno sciopero!...), sostanzialmente lamentano l'assenza di non bene identificate “misure espansive” nella manovra che ha aumentato il deficit dello Stato...
L'atteggiamento del sindacalismo di base, invece, continua a non essere unitario ed è, anzi, più variegato che mai: va dalla posizione solamente “critica” di USB, ma non solo, a quella, di certo più conseguente, del SI Cobas, che ha indetto per Sabato 2 Febbraio un “meeting internazionalista” a Bologna verso la costruzione di un fronte anticapitalista contro l'ondata di repressione e razzismo del Governo.
Bisogna che i proletari non scambino lo scontro tra governo ed opposizione parlamentare come una questione di sostanza: la manovra è la sintesi, in termini di provvedimenti, tra le esigenze del grande capitale, che ad oggi ha perso il suo partito di riferimento, e le illusioni della piccola borghesia, che spera di trarre qualche vantaggio da meccanismi costruiti, invece, per perpetuare il dominio a tutti i livelli del capitale. Alla borghesia è oggi funzionale il Governo Conte se riesce a canalizzare le aspirazioni proletarie in mille rivoli diversi, di tipo lobbistico, e se mantiene in piedi la divisione tra di essi, che oggi è, prima di tutto, tra proletari autoctoni ed immigrati. Nel momento in cui il governo non dovesse assolvere a questi compiti, la borghesia lo “metterebbe alla porta”.
In questo senso è molto importante lottare contro questo governo, e, nel contempo, sempre ricordare il ruolo antiproletario delle opposizioni parlamentari, che cercano di ricostruire quel “partito dei padroni” che al momento non c'è compiutamente. Si tratta di partecipare alle poche mobilitazioni su singoli obiettivi condivisibili che sono in campo, facendo chiarezza sui ruoli dei diversi attori. A partire dalla difesa di classe delle lotte, pesantemente attaccate anche dal “decreto sicurezza”, urge ricostruire il punto di vista classista proletario, perché se è vero che il capitale è in crisi, è anche vero che ad oggi è in crisi anche la costruzione di un elemento soggettivo in grado di reggere lo scontro di classe che si profila, oltre che nazionalmente, sul piano internazionale.

Alternativa di Classe

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