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(22 Febbraio 2011) Enzo Apicella
La rivolta popolare in Libia mette a rischio gli impianti dell'ENI che garantiscono un quarto delle importazioni di greggio in Italia

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    LA LOTTA DI CLASSE IN TUNISIA

    (9 Febbraio 2019)

    Dal n. 73 di "Alternativa di Classe"

    Mohamed Bouazizi

    Mohammed Bouazizi

    Il 17 Dicembre 2010 Mohammed Bouazizi, un giovane venditore di frutta e verdura, si dette fuoco, dopo che alcuni poliziotti gli avevano confiscato la merce e il carretto. Dopo il suo gesto, nell'intera Tunisia la gente scese in piazza in segno di solidarietà. A seguito dei primi scontri presso il governatorato di Sidi Bouzid, arrivarono le barricate in un'altra città del centro del Paese: Kasserine, non lontano dal confine con l'Algeria.
    Si avviava la cosiddetta “rivoluzione dei gelsomini”, al culmine della quale si rovesciò il regime di Ben Alì. Scioperi e manifestazioni di massa segnarono la comparsa del proletariato come soggetto attivo della lotta di classe in Tunisia. Il ruolo dei lavoratori è stato determinante per la caduta del regime. In quel periodo si verificarono significativi episodi di INSUBORDINAZIONE, che crearono problemi alle burocrazie sindacali. In molte località i lavoratori manifestarono davanti alle sedi del sindacato tunisino, la UGTT (la cui leadership nazionale era strettamente legata al partito di Ben Alì), mostrando la volontà di portare avanti la lotta, senza compromessi.
    Nella situazione attuale bisogna ancora fare i conti con l'alto livello di corruzione della classe politica borghese. Secondo l'Ong tunisina “Watch”, il governo di Tunisi avrebbe inviato recentemente una lettera alla UE per chiedere la revoca del congelamento dei beni di Marouane Mabrouk, genero del Presidente deposto Ben Alì, pesantemente coinvolto in traffici illeciti. La notizia, diffusa dai media locali, ha provocato una forte indignazione popolare, aggravata dal fatto che il premier del Governo di unità nazionale, Youssef Chahed, ha sempre dichiarato di voler fare della lotta alla corruzione la priorità assoluta della sua azione di governo.
    L'alto tasso di disoccupazione e leggi come la Finanziaria 2018, con l'aumento dei prezzi sui beni di prima necessità, hanno portato ad un PEGGIORAMENTO delle condizioni di vita del proletariato e dei ceti più deboli. Con il prestito da 2,8 miliardi di dollari in tre tranche, approvato quasi due anni fa dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), il governo tunisino di unità nazionale si è impegnato con l'istituto, ad imporre misure volte a favorire le privatizzazioni, a licenziare 20mila impiegati pubblici, e a cancellare, di fatto, il sistema pensionistico.
    Disoccupazione e precariato erodono ogni brandello di futuro. Il suicidio è diventato un fenomeno all'ordine del giorno, innescato dalla disperazione. I giovani cercano di superare il Mediterraneo per raggiungere l'Europa. Inoltre, nel corso dell'ultimo anno, la Tunisia è divenuta uno dei principali punti di partenza per i migranti originari dell'Africa sub-sahariana. Il 60% dei ragazzi è disoccupato, il debito pubblico è salito nel corso del 2017 a 63,1 miliardi di dollari (dieci in più rispetto al 2016).
    L'alto tasso di povertà, coniugato con l'inflazione che si aggira intorno al 6%, stanno portando la società tunisina a livelli antecedenti la Rivoluzione dei gelsomini. A questo si aggiunge una costante crescita del fattore migratorio. Secondo i dati del governo italiano, dal 1° Gennaio al 28 Dicembre 2018 sono stati 5115 i cittadini tunisini giunti in Italia.
    L'Italia è il secondo partner commerciale della Tunisia. Sono presenti in Tunisia molte aziende italiane, tra cui: “Ansaldo energia”, per i settori energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata; Eni Tunisie BV, per il COKE e prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio; Germanetti, per il trasporto e il magazzinaggio; Fercam Tunisie, sempre per il trasporto; Olimpias industrielle Tunisie Sarl (ex Benetton), per i prodotti tessili.
    La Tunisia continua a rappresentare, per i capitalisti italiani, una costante priorità, e il governo tunisino è impegnato a costruire un “clima d'affari più efficiente”. Le autorità politiche hanno presentato un Piano strategico ”Tunisia 2020”, che prevede una serie di investimenti e progetti relativi ad infrastrutture, per un totale di 60 miliardi di dollari.
    Ma dalle ultime elezioni del 2014 il Pil ha subito una perdita di 12 punti percentuali. All'inizio del 2018 il governo tunisino ha introdotto venti misure tese a promuovere le esportazioni principalmente attraverso la semplificazione delle procedure, oltre al finanziamento. Molto soddisfatti, ovviamente, i capitalisti tunisini, che ringraziano il premier Youssef Chahed.
    Dopo tanti anni di oppressione, i proletari tunisini scendono nuovamente in piazza, fregandosene degli appelli alla moderazione. Il governo invita alla calma, ma i manifestanti continuano a protestare contro il carovita.
    Nei giorni scorsi un altro ragazzo, a Kasserine, ha attuato la stessa disperata protesta di Mohammed Bouazizi: si è cosparso di benzina e si è dato fuoco in piazza. Questa volta ad immolarsi è stato un giovane di 32 anni. Si chiamava Abderrazek Rezgui. Il giovane giornalista, prima di morire, ha lasciato un video che è sembrato un testamento: "occorre una nuova rivoluzione, parlo per tutti quelli che non hanno da mangiare". Accadde alla vigilia di Natale, in vicinanza con l'ottavo anniversario dell'inizio della Rivoluzione dei gelsomini.
    Dal 24 Dicembre 2018 si ripetono scontri tra le forze dell'ordine e i manifestanti a Kasserine e in altre località. Non si tratta di una mobilitazione paragonabile a quella del 2010, quando, sempre a Kasserine, un video, girato nei corridoi dell'ospedale cittadino, aveva segnato una svolta, mostrando la portata della repressione. La scintilla della Rivoluzione dei gelsomini è stata l'esasperazione sociale delle zone dell'interno, come Sidi Buzid e Kasserine.
    Le ricchezze naturali, di cui il Paese è ricco (cerealicole, minerarie, petrolifere, idriche), sono gestite in maniera diseguale, piegando le regioni interne in una desertificazione territoriale e sociale. Sino dall'epoca coloniale e durante i decenni di indipendenza, l'80% del territorio è stato utilizzato come bacino di materie prime e di forza-lavoro a basso costo.
    Oggi, sul piano sociale, la frustrazione dei lavoratori resta immensa. I lavoratori tunisini accusano la classe politica di essere indifferente ai problemi delle regioni più svantaggiate. La crisi economica costringe i proletari a condizioni di vita non più sostenibili. Nel 2010 tanti giovani manifestarono nelle principali città tunisine, per chiedere un cambiamento della situazione. A cambiare, da allora, è stato solo il governo.
    La Tunisia è il Paese che rappresenta una speranza per il proletariato arabo, ma la Tunisia è paradossalmente anche il Paese che ha il più alto numero di militanti Jihadisti. Dopo la diffusione del video di Abderrazek Rezegui, le proteste iniziano a diffondersi non solo a Kasserine, ma anche in tutto il Paese. I manifestanti hanno urlato”Basta!” e “il popolo vuole la caduta del regime”. Vengono segnalati scontri nei governatorati centro-meridionali della Tunisia, così come nella stessa Tunisi; il sindacato dei giornalisti (Snjt) ha proclamato lo sciopero generale della categoria.
    Il 14 Gennaio 2019, giorno scelto per la protesta, erano otto anni esatti dalle dimissioni di BEN ALI'. Trasporti, scuole e amministrazioni pubbliche, sono stati paralizzati Giovedì 17 Gennaio in Tunisia a causa di un grande sciopero generale del settore del servizio pubblico (ministeri, enti centrali e locali, sanità, imprese di trasporto pubblico, ferrovie, tv e radio statali, scuole e università). I lavoratori hanno scioperato per chiedere l'aumento dei salari.
    Il Presidente della Repubblica tunisina, Beji Caid Essebsi, ha deciso di prorogare di un mese, dal 6 Gennaio al 4 Febbraio 2019, lo stato d'emergenza. Il provvedimento permette alle autorità locali di vietare scioperi e incontri che "possono causare o mantenere il disordine"
    .
    In questi anni la situazione in Tunisia non si è pacificata. La guerra in Siria e l'instabilità nella vicina Libia distolgono l'attenzione, ma più volte i lavoratori e i disoccupati, in questi ultimi periodi, ritornano a riempire le piazze.
    Elezioni politiche e presidenziali, e vertice della Lega Araba, rappresentano gli eventi principali attesi in Tunisia per il 2019. Lo ha annunciato il Presidente della Repubblica tunisina, invitando i connazionali ad accogliere il nuovo anno "con ottimismo e responsabilità".
    La disillusione verso la rivolta di otto anni fa e l'insofferenza verso l'attuale classe politica borghese, sono ben manifestati nell'emigrazione di tanti giovani all'estero, e un sondaggio rivela che alle prossime elezioni soltanto il 42% degli elettori andrebbe a votare.
    Dalla Tunisia alla Libia, dal Libano all'Iraq, e fino al Sudan e al Marocco, aumentano i Paesi scossi da proteste di piazza alla fine del 2018, a otto anni dall'avvio delle cosiddette “primavere arabe”. A portare in piazza i lavoratori, i precari, i giovani studenti e i disoccupati, è l'esigenza di denunciare il peggioramento delle condizioni di vita.
    L'unica passione del capitale è quella di sfruttare, asservire, schiavizzare le masse proletarie. La lotta di classe è la risposta necessaria ed urgente per non essere schiacciati.

    Alternativa di Classe

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