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Dove volano i salami

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(2 Maggio 2010) Enzo Apicella
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    Un decreto “sicurezza” per incriminare i picchetti operai

    IL PARTITO COMUNISTA N. 393 - gennaio-febbraio 2019

    (22 Marzo 2019)

    Con sentenza dell’8 gennaio il Tribunale di Milano ha condannato, in primo grado di giudizio, il coordinatore nazionale del SI Cobas, due delegati presso il magazzino logistico DHL di Settala (Milano), altri militanti del SI Cobas e alcuni rappresentanti di centri sociali per aver partecipato, od organizzato, un picchetto dinanzi lo stabilimento durante uno sciopero generale della categoria, nel marzo 2015. Le pene variano da 1 anno ed 8 mesi – per il coordinatore nazionale – a 2 anni e sei mesi.

    È la prima volta da anni, per lo meno da quando il movimento operaio nella logistica organizzato dal SI Cobas ha mosso i suoi primi passi, che militanti sindacali ricevono simili condanne per la partecipazione ad un picchetto, per altro svoltosi del tutto pacificamente.

    Il fatto che ad essere condannati siano il capo nazionale del SI Cobas ed i delegati dell’azienda dove lo sciopero e il picchetto si sono svolti, denota la gravità dell’attacco al sindacato ed al movimento dei lavoratori e la contraddistingue come una autentica rappresaglia padronale, attraverso il suo regime politico.

    Ormai a centinaia si contano le ritorsioni aziendali contro lavoratori iscritti al SI Cobas, e non solo, fatte di lettere di contestazione, trasferimenti, sospensioni, in un crescendo che spesso porta al licenziamento. Ed ugualmente a centinaia si contano gli assalti delle forze di polizia ai picchetti. Con questa sentenza la rappresaglia padronale si arricchisce di un ulteriore strumento, la magistratura.

    Non è certo un fatto nuovo, inedito. Tutta la internazionale storia della lotta di classe insegna che quando la classe dei lavoratori lotta a viso aperto, i suoi combattenti finiscono in galera. Ma è un dato che segna l’incrudirsi dello scontro, la volontà del regime borghese di colpire più a fondo per distruggere questo movimento operaio della logistica ed il sindacato che lo ha organizzato, che sta cercando di estenderlo ad altre categorie. Un rischio questo inaccettabile per la classe dominante.

    La grande paura della borghesia nei riguardi del movimento dei cosiddetti Gilet Gialli è che esso inneschi la lotta della classe lavoratrice, scrivevamo nel numero scorso, e, aggiungiamo, che il movimento travalichi i confini nazionali, contagiando l’Europa intera. Questa paura è aggravata dal fatto che i recenti dati negativi della produzione industriale in tutti i maggiori capitalismi nazionali del vecchio continente annunciano il nuovo balzo in avanti della crisi economica mondiale del capitalismo.

    Nelle intenzioni della borghesia, il nuovo avvitarsi della crisi deve vedere una classe operaia piegata, prona, cui far pagare effetti sociali ancor peggiori di quelli del 2008. Giammai un classe in piedi, combattiva, pronta a lottare.

    Questo spiega la durezza della repressione poliziesca in Francia. E spiega una misura quale il Decreto Sicurezza in Italia, che prevede per il reato di blocco stradale pene fino a 6 anni per i partecipanti e a 12 per gli organizzatori. È un atto preventivo contro la lotta di classe che inevitabilmente si metterà in moto all’avanzare della crisi.

    Si deve notare, però, che le condanne emesse dal Tribunale di Milano non hanno applicato le pene previste dal Decreto Sicurezza, ma quelle “democratiche” già operanti e vigenti. Il Decreto Sicurezza solo proclama a gran voce e ribadisce la dittatura “legale” sulla classe operaia. Da un lato colpisce l’arma operaia del blocco stradale, mettendo di fatto fuori legge i picchetti, fondamentale strumento per dare forza allo sciopero; dall’altra tende ad intimorire i lavoratori immigrati, ricattati penalmente, dividendo la classe operaia da questa sua porzione che, non a caso, è stata quella che ha portato avanti i più importanti scioperi negli ultimi anni. In entrambi questi aspetti appare un provvedimento legislativo volto a colpire, in particolare, il movimento operaio della logistica e un combattivo sindacato di base in Italia, il SI Cobas, e, in generale, colpire tutta la classe lavoratrice per impedire che si rialzi in piedi e dia battaglia.

    Affinché la lotta operaia non sia sconfitta, abbisogna di organizzazioni sindacali combattive, fedeli ai suoi interessi. La strada da percorrere per impedire che la borghesia pieghi le lotte dei lavoratori,

    troppo minoritarie, è quella di ricercare la massima unità d’azione di tutte le organizzazioni e correnti del sindacalismo di classe. A questo scopo è necessario scontrarsi con le attuali dirigenze del sindacalismo di base, se non in tutte nella maggioranza delle organizzazioni.

    A questo scopo il “Coordinamento iscritti Usb per il Sindacato di Classe” ha redatto un comunicato di solidarietà, in data 10 gennaio, intitolato “Solidarietà ai compagni del SI Cobas condannati per aver partecipato a un picchetto operaio! Per una mobilitazione unitaria del sindacalismo di classe contro il decreto sicurezza!”. Una dichiarazione di solidarietà questa proveniente dall’interno di un sindacato la cui dirigenza non ha pronunciato una parola sulle condanne ai militanti e dirigenti del SI Cobas, data la gretta e meschina guerra in corso fra le dirigenze dei due sindacati.

    Altri attestati di solidarietà sono provenuti dalla Cub Trasporti, dai Cobas Sanità Università Ricerca, dall’Usi Ait e dal “Coordinamento lavoratori e lavoratrici autoconvocato per l’unità della classe”, nome che si è dato il gruppo intersindacale che aveva organizzato l’assemblea per l’unità d’azione del sindacalismo di classe del 2 dicembre a Firenze – di cui abbiamo riferito nel numero scorso (“Mobilitazioni e convegni per il sindacato di classe”) – e che è tornato a riunirsi, formalizzando la sua esistenza e organizzando il suo lavoro, il 12 gennaio scorso.

    PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE

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