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Le Primarie e Rifondazione: Bertinotti si incatena all’unione

(8 Settembre 2005)

A metà ottobre gli elettori del centrosinistra saranno chiamati a pronunciarsi nelle “primarie” che sanciranno l’incoronazione di Romano Prodi a candidato premier dell’Unione.

Possibili candidati oltre a Prodi: Di Pietro, Sgarbi, Mastella, Bertinotti, Pecoraro Scanio, Don Gallo e altri volonterosi outsiders.

La partecipazione di Bertinotti a questa competizione costituisce un nuovo anello nella catena con la quale il Prc viene legato all’Unione. Chi nutrisse dei dubbi al riguardo si può facilmente chiarire le idee leggendo il “Progetto per l’Italia” varato a luglio dai capi del centrosinistra. Il “Progetto” rimane fino ad oggi l’unico vero documento politico sottoscritto da nove partiti componenti l’Unione, al quale si unisce un patto non scritto ma reso pubblico a fine giugno secondo il quale i partiti componenti la coalizione si impegnano a non votare mai contro un provvedimento del futuro governo, limitandosi nel peggiore dei casi all’astensione.

Ma vediamo i singoli punti. L’esordio è di quelli “classici”: la Costituzione non si tocca, anzi, i “magnifici nove” si impegnano ad “attuare pienamente i principi della Costituzione… costitutiva dell’identità stessa della democrazia italiana”. In effetti non si può che condividere l’idea che dopo ben 57 anni di esistenza in vita della carta costituzionale, sarebbe giunta proprio l’ora di attuarne i principi più avanzati, ad esempio il diritto al lavoro, tanto per citarne uno. La promessa non è esattamente nuova; l’esperienza degli anni ’90, inoltre, ci ha mostrato come i precedenti governi di centrosinistra (Prodi, D’Alema, Amato) hanno agito in senso esattamente opposto, finanziando scuole private (violazione dell’art. 34), agendo contro la progressività delle imposte (art. 53), istituendo i centri di detenzione per gli immigrati, (art. 13) partecipando alla guerra in Jugoslavia (art. 11) e calpestando in mille modi quei bei principi sanciti nella carta costituzionale. Ci permettiamo pertanto di consigliare un prudente scetticismo: l’esperienza parrebbe infatti indicare che il “fondamento” della democrazia italiana sia da ricercarsi non nelle alate parole della Costituzione, ma nella instancabile capacità della classe dominante di usarle per prendere il popolo per i fondelli.

Al secondo posto si classifica l’Europa. Qui il testo non lascia spazio alla fantasia: l’Unione si considera il guardiano incorruttibile delle politiche europee: “La scelta e la realtà dell’euro sono irreversibili e richiedono una coerente gestione delle politiche economiche nazionali”. Traduzione: i parametri di Maastricht sono sacri e intoccabili, così come tutte le direttive europee che impongono attacchi alle pensioni, flessibilità senza limiti (come la famigerata direttiva Bolkenstein), privatizzazioni, ecc.

I padroni hanno sempre chiamato il loro interesse “interesse nazionale”. Oggi l’Unione coniuga il concetto come segue: “Per l’Italia, interesse nazionale ed interesse europeo coincidono”. Noi traduciamo: ieri si chiedevano sacrifici ai lavoratori in nome dell’interesse nazionale: oggi li si chiedono in nome dell’interesse nazionale e di quello europeo.

Questa è la sostanza: poi c’è la (cattiva) poesia, che recita che “L’Europa unita, terra di diritti, realtà politica, economica ed istituzionale, offre il quadro di riferimento per lo svolgimento del nostro progetto nazionale, permette di costruire un’area di pace e stabilità che con l’allargamento si va estendendo all’intero continente, garantisce la migliore speranza di incidere sugli equilibri internazionali per edificare un mondo più giusto”. Di fronte a tanta candida faccia tosta, anche l’ironia rimane disarmata… ma non servono poi tante parole: milioni di lavoratori francesi hanno già seppellito questa marcia ipocrisia con milioni di No alla costituzione europea.

“Pace, giustizia e libertà” si intitola il terzo punto: e cosa si può desiderare di meglio al mondo? Gli estensori del Progetto citano per esteso il famoso art. 11 della Costituzione: “l’Italia ripudia la guerra…” ecc. Niente più avventure militari all’estero, allora? Niente affatto! “Le Nazioni Unite (…) sono la fonte della legittimità internazionale.” Tale fonte ha “legittimato”, solo per restare agli anni recenti: la missione militare in Albania (1997); l’aggressione alla Jugoslavia (1999): la guerra in Afghanistan (2001) e successivamente anche la presenza degli Usa in Iraq. E ancora: “Il rispetto degli impegni derivanti dai trattati e dalle convenzioni internazionali liberamente sottoscritti è un elemento essenziale della nostra azione”. Piena fedeltà, quindi, anche alla Nato.

In questo mondo attraversato da cataclismi di ogni genere, crisi economiche e sociali, guerre, carestie, epidemie, sfruttamento economico spietato, continue guerre di aggressione, gli estensori del “Progetto” vedono un solo pericolo, ossia “il terrorismo, nemico dell’umanità intera, [che] porta violenza, distruzione e morte nel mondo”. Siamo chiari: attentati come quelli di luglio a Londra, o quelli del marzo 2004 a Madrid non solo non avvicinano di un passo la fine dell’occupazione imperialista in Iraq, ma vengono facilmente utilizzati dalla reazione per creare un clima di paura nel quale è più facile far passare leggi liberticide e attacchi ai diritti democratici. Non possiamo accettare in nessun modo la pretesa dei diversi gruppi fondamentalisti di atteggiarsi a paladini intransigenti della lotta contro l’imperialismo. Resta tuttavia che Bertinotti ci invita ad aderire a una visione del mondo che chiude gli occhi sulle guerre, sull’oppressione economica che condanna circa la metà del genere umano a vivere con meno di due dollari al giorno, sulla violenza aperta o mascherata con la quale il capitalismo e l’imperialismo opprimono popoli interi, e che vede in tutto questo un solo “nemico dell’umanità intera”, un terrorismo, appunto, che per quanto feroce fà in un anno le stesse vittime che questo sistema ingiusto fa in un giorno o in un’ora.

Sanati così i mali del mondo, i leaders dell’Unione passano finalmente ai piccoli problemi di casa nostra e ci invitano a “reagire al declino” economico. Come farlo? La ricetta è nota: “L’equilibrio della finanza pubblica dovrà essere ristabilito per fornire un quadro sicuro e stabile alle politiche pubbliche, ai consumi e agli investimenti privati rilanciando la competitività del sistema produttivo. Su questi obiettivi sarà definita la corresponsabilità dei diversi livelli di governo e ricercato il più ampio consenso delle parti sociali”. Traduzione: altre lacrime e sangue per ripianare il deficit pubblico, spremere ulteriormente i lavoratori per rilanciare i profitti, così poi i padroni torneranno a investire.

Il pugno di ferro vorrebbe però nascondersi in un guanto di velluto: il “consenso” non può certo venire dai lavoratori, ma certo le burocrazie sindacali possono assumersi il compito di garantire la pace sociale (almeno, così sperano i capi ulivisti: ma si sbagliano su questo come su tutto il resto) e di fare ingoiare queste politiche, magari condite con un pizzico di investimenti pubblici (ricordate la rottamazione auto varata da Prodi nel 1996?) e qualche elemosina ai settori più poveri. Non può poi mancare la “lotta all’evasione e al sommerso”, vero e proprio successo sempreverde che da generazioni tiene allegri gli italiani.

L’ormai secolare questione meridionale viene risolta brillantemente in otto righe che inneggiano al “Mezzogiorno e i suoi giovani”, promettono lotta per la legalità e invocano “nuove conoscenze, nuove competenze e nuova imprenditorialità”… casomai non bastassero i misfatti di quella vecchia!
Infine, dopo aver precisato con un linguaggio vagamente evangelico, che la giustizia e la legalità sono condizione affinché “il potente e il prepotente non prevalgano, il debole non sia schiacciato, ogni cittadino sia libero dalla paura”, il “Progetto” conclude assai diplomaticamente che sui controversi temi della bioetica l’Unione si impegna a legiferare “con attenzione”: garanzia, questa, che su tutti gli altri temi si deciderà distrattamente.

Questo manifesto ricalca fedelmente la logica di una coalizione attraversata da profonde divisioni. I pochi punti chiari sono quelli che garantiscono gli interessi nazionali e internazionali della classe dominate; il resto è nebbia, mistificazione, belle parole o diplomatici silenzi su temi controversi.

È chiaro che migliaia di militanti della sinistra voteranno per Bertinotti alle primarie precisamente in polemica con quelle politiche concertative che negli anni ’90 hanno condannato il centrosinistra alla sconfitta e che oggi, si dica quello che si vuole, Prodi ripropone pressoché immutate.

Ma proprio per questo l’adesione del Prc a un simile manifesto è davvero una cosa che grida vendetta al cielo, il frutto avvelenato della linea stabilita allo scorso congresso che oggi inesorabilmente ci incatena sempre più strettamente a politiche che fino a ieri abbiamo combattuto. Lo stesso meccanismo delle primarie, che in linea teorica vincola chi vota a sottoscrivere il “Progetto” dell’Unione, pare fatto apposta per demotivare quelle migliaia di militanti, nel Prc ma non solo, che hanno sviluppato una posizione critica verso Prodi e il centrosinistra. Si tratta di migliaia di militanti di sinistra, fra i quali oltre il 40% degli iscritti del Prc che allo scorso congresso si sono pronunciati contro la linea di maggioranza, che si trovano loro malgrado iscritti all’interno di questo progetto sciagurato e inseriti come comparse in questa carnevalata delle “primarie”.

Forse nei “piani alti” della maggioranza del partito qualcuno pensa di spingere i compagni più critici su una posizione rinunciataria, di boicottaggio o di astensione passiva, liberandosi così di qualche voce scomoda all’interno del partito? L’entusiasmo con cui certi “capitani” minacciano sanzioni ed espulsioni verso coloro che, magari sbagliando ma con comprensibile amarezza, abbiano manifestato la propria ostilità a partecipare a questa competizione virtuale, parrebbe confermarlo.

Ebbene, se qualche compagno dirigente (sicuramente una piccola minoranza) la pensa così, si sbaglia di grosso. Non sono le passerelle mediatiche a decidere del futuro del Prc. Oggi Prodi vi offre un palcoscenico su cui sfilare, ma sappiate che domani sarà ben altra la parte che vi chiederanno di recitare: quella di corresponsabili di nuovi attacchi ai lavoratori, ai giovani, ai disoccupati, agli immigrati… La nostra battaglia per cambiare la rotta del Prc non è certo finita col congresso di marzo e i nodi arriveranno presto al pettine. Sarà allora che si decideranno le sorti del nostro partito: non sul palcoscenico virtuale delle primarie, ma nella dura realtà della lotta di classe; non con le belle parole dei documenti, ma col duro linguaggio dei fatti. Siamo certi che a quel punto la grande maggioranza dei militanti del nostro partito esigerà che Rifondazione comunista stia dalla parte giusta.

31 agosto 2005.

Claudio Bellotti (Falce e Martello)

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