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NUOVA VIA DELLA SETA:
IL CAPITALE NAZIONALE CERCA SPAZI!

(27 Marzo 2019)

Editoriale del n. 75 di "Alternativa di Classe"

xi e conte

Insieme alla Primavera, è arrivato in Italia Xi Jinping, il premier cinese. Si è trattato del suo primo viaggio internazionale di quest'anno, e si sta svolgendo in Europa, “...importante partner della agenda diplomatica...” di Pechino, come ha recentemente dichiarato il Ministro degli Esteri Wang Yi a margine di una sessione del “Congresso Nazionale del Popolo”. Dopo la sua prima visita di Stato in Italia e le tappe in Monaco e Francia, Xi aveva in programma di recarsi anche negli USA per incontrare personalmente D. Trump e discutere di dazi. Tutto ciò prima del Secondo “Belt and Road Summit” internazionale, previsto per il mese prossimo.
Dopo le fondamentali adesioni europee ottenute dalla Cina per la AIIB, la Banca Asiatica di Investimento per le Infrastrutture (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno IV n. 45 a pag. 10), di cui peraltro l'Italia di M. Renzi è stata co-fondatrice, e la firma del memorandum di intesa (Memorandum of Understanding, MoU in sigla) sulla “Via della Seta (B.R.I. - Belt and Road Initiative)” da parte di Paesi UE “periferici”, come Grecia, Portogallo ed Ungheria, il malcelato obiettivo della sua diplomazia è quello di convincere anche alcuni degli Stati cardine della Unione ad entrare nel progetto, che è ormai di imminente avvio (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno V n. 53 a pag. 2), e di farceli entrare a partire da accordi bilaterali.
Che gli USA non vedano di buon occhio l'attivismo cinese è notorio, e non solo da questa ultima fase di guerra commerciale in atto. La AIIB esiste di fatto dal 2014, ben prima dell'avvento di Trump al potere politico, e l'adesione USA non è mai stata data! Anzi... A tale posizionamento americano non appare essere stato immune il varo di un piano infrastrutturale alternativo da parte UE, il nuovo “Documento per la connettività” del Settembre '18, che riafferma i principi base “delle democrazie occidentali”: “trasparenza, libero scambio, sostenibilità e protezione dei diritti”...
Le principali direttrici geografiche del progetto strategico cinese sono la “Cintura Economica” terrestre e la “Via della Seta Marittima del XXI° secolo” con infrastrutture di trasporto e logistiche. L'Europa rappresenta il polo terminale di entrambe: la “Via della Seta Terrestre” arriva fino a Berlino e Madrid, mentre il ramo marittimo, traversato il Canale di Suez e fatta tappa in Grecia, trova sbocco proprio in porti italiani. Lo stesso P. Gentiloni, da Presidente del Consiglio, aveva proposto al Primo “Belt and Road Summit” del 2017, come terminali verso il Nord Europa, Venezia, Trieste e/o Genova.
Per dare un'idea della sua portata, si pensi che la “Nuova Via della Seta “ rappresenterebbe “il più grande progetto di investimento mai compiuto prima, superando, al netto dell’inflazione odierna, di almeno dodici (12) volte” il famoso “Piano Marshall” del dopoguerra. Non c'è dubbio che tutto ciò rappresenti una opportunità per gli imperialismi europei, oltre che, ovviamente, per la Cina. Ed è per questo, per essere più forte contrattualmente, che la UE sta cercando di mettere a punto una propria strategia unitaria sul tema. Già prima di Settembre, ad Aprile '18, ad esempio, tutti i Paesi europei, esclusa l'Ungheria, avevano firmato un report critico sul progetto cinese, ravvisandovi “mancanza di trasparenza” ed esclusiva promozione degli “interessi commerciali delle aziende cinesi”, anche se proprio l'Italia vi si è poi parzialmente “smarcata”.
Apertura, quindi, verso gli scambi con la Cina (“Business is business”, gli affari sono affari), ma con quella cautela che serve a massimizzare i propri profitti! Come da tempo sta agendo la Germania: a Gennaio scorso la Federazione delle Industrie della Germania (B.D.I.) raccomandava ai propri iscritti, suggestionati dalle sirene cinesi, di differenziare le “fonti di profitto”. Su tale lunghezza d'onda è stato anche il Consiglio dei Capi di Stato e di Governo europei, che si è riunito Giovedì 21 a Bruxelles, lo stesso giorno dell'arrivo di Xi in Europa, in vista del Vertice UE-Cina del prossimo 9 Aprile, ed al quale, ovviamente, ha partecipato anche l'Italia con G. Conte.
Fino da poco dopo il suo insediamento, l'esecutivo giallo-verde aveva spiazzato gli osservatori internazionali per le sue aperture verso l'Est. In un primo momento erano state quelle di Salvini verso la Russia, ben presto rientrate, però, con il voto favorevole del Governo alle sanzioni UE. Sono stati poi i concreti viaggi dei Ministri Tria e Di Maio in Cina ad impensierire gli USA ed i fedelissimi “atlantisti”, nella misura in cui si è consolidata la decisione di instaurare nuovi rapporti con Pechino. Su questo si è innescata una polemica nazionale, artatamente gonfiata dai media anche in chiave elettoralistica, dovuta anche ad un cambiamento di ruoli all'interno del Governo.
Infatti, nei primi mesi del Governo Conte veniva accreditata al Movimento 5 Stelle una certa ragionevolezza istituzionale, mentre era la Lega di M. Salvini ad irritare di più l'establishment. Ora, invece, la sua strategia biecamente populista, facendo leva finanche sui più bassi istinti diffusi a livello popolare ed esaltati dalla crisi, è riuscita, praticamente incontrastata, a “cannibalizzare” ogni consenso, compresi quelli legati alle tradizionali rivendicazioni “stellate”. Ritenendo così di avere stabilizzato il seguito popolare incassato e che lo stesso gli sia ormai “sufficiente”, il Salvini si permette oggi il lusso di mostrarsi “moderato” e atlantista, facendo a volte anche la voce grossa “a tutela del capitale nazionale”, di cui si atteggia a “garante”, lasciando a L. Di Maio ed ai suoi la reputazione di “avventati” e/o “poco affidabili”.
Eppure era stata proprio la Lega di Salvini ad imporre, come sottosegretario al Ministero dello Sviluppo Economico (MiSE) con delega al commercio con l'estero, quel Prof. Michele Geraci, “banchiere di investimento” e docente universitario anche in Cina, che a fine Luglio '18 aveva già costituito la “Task force Cina”, un “meccanismo operativo di lavoro, cooperazione e dialogo tra governo, associazioni di categoria e società civile, volto all’elaborazione di una nuova strategia nazionale di sistema, destinata a rafforzare le relazioni economiche e commerciali con la Cina”. In realtà, il MoU firmato, frutto di questo impegno, non poteva essere una sorpresa per il “Matteo nazionale 2”, che, fra l'altro, a suo tempo aveva anche proposto come premier proprio il Prof. Geraci!...
Per capire le diverse posizioni “in campo” è importante citare alcuni dati. Primo fra tutti è il fatto che l'Europa nel suo complesso, dalla Cina importa più di quanto esporta. Hanno buon gioco, quindi, sia gli interessati appelli USA ai “valori atlantici”, che i richiami USA verso la UE a “diffidare” del colosso asiatico. In Europa, però, come noto, non esiste un unico interesse continentale, ed i diversi imperialismi restano sempre concorrenti, oltre che alleati. E' vero che nessun singolo Paese europeo ha verso la Cina una bilancia commerciale (fra export ed import) in attivo, ma è altrettanto vero che vi sono grosse differenze nelle situazioni dei diversi imperialismi europei, e che il metodo cinese della “bilateralità” è riuscito a solleticare ogni alleato/concorrente...
Mentre il Regno Unito, che è sempre stato il suo principale partner europeo, con la Brexit viene ora meno cercato dalla Cina, aviazione, commercio, cultura, sanità e nucleare sono i settori in cui la Francia di Macron ha già concluso propri accordi con la Cina. E le tedesche BMW e Basf vi sono già penetrate con investimenti propri. La Germania, oltre ad essere oggi il suo principale partner commerciale della UE, rappresenta di fatto anche il prossimo terminale terrestre della “Nuova Via della Seta”, con la città di Duisburg, che già da otto anni sta facendo da capolinea a migliaia di treni-merci provenienti dalla Cina...
E' pure vero, però, che il 60% dell'export cinese avviene per mare e, aldilà delle polemiche, è perfettamente normale che l'imperialismo italiano, con 7500 chilometri di costa nel Mediterraneo, ambisca a diventare, con i suoi porti, il terminale marittimo della “Belt and Road Initiative”!... La Compagnia navale cinese, la “COSCo”, acquistato il Pireo, è già penetrata, oltre che a Rotterdam in nord-Europa, a Valencia e Bilbao in Spagna, ad Alessandria e Port Said in Egitto, ad Haifa in Israele e a Kumport in Turchia.
Per l'Italia erano in ballo Genova, Venezia e Trieste. E non è un caso che Xi abbia voluto incontrare Macron subito dopo la visita in Italia: Marsiglia è un porto francese attrezzato, a poca distanza da Genova, e ben più grande di Vado Ligure, dove la Cina è già approdata... Per Trieste, in forte vantaggio su Venezia, e dove la Cina aveva già messo piede, l'Autorità Portuale Adriatico è entusiasta, mentre il Sindaco triestino, di Forza Italia, ha dovuto superare un certo imbarazzo per le forti pressioni negative degli USA...
L'Italia era stata finora una tra le potenze UE che meno avevano sviluppato interscambi con la Cina: il dato del 2018 è di soli 44 miliardi di Euro. Ed il MoU, che Di Maio ha firmato, era forse proprio “l'asso nella manica” che pensava di avere per quel “nuovo boom economico” che aveva, forse ingenuamente, annunciato mesi fa. In realtà, appare proprio la sproporzione di forze fra Cina ed Italia, la grande differenza di “stazza” fra i due contraenti, che, indubitabilmente, di per sé avvantaggia il più forte (cioè la Cina), il motivo per cui gli accordi per l'imperialismo di casa nostra siano obbligatoriamente, a differenza di quelli commerciali, numerosi ma circoscritti, conclusi finora soprattutto dalla Germania, passati dalla ufficialità internazionale di un “MoU”.
E' proprio quello che gli USA, in vista del programmato incontro al vertice di D. Trump con Xi Jinping avrebbero voluto evitare, specialmente dopo quanto avvenuto con il “caso Huawei”. In sintesi, con il pretesto della “violazione delle sanzioni all'Iran” da parte del colosso cinese delle tlc (telecomunicazioni), Meng Wanzhou, una sua altissima dirigente, che si trova nel continente americano, rischia di essere processata negli USA; e mentre Huawei ha in corso azioni legali, la Cina ha ufficialmente accusato gli USA di strumentalizzazione politica. Riguardo alla “rete di telecomunicazioni di quinta generazione”, meglio nota come “5G” (cioè sistemi di interconnessione dati con velocità molto maggiori anche per quanto riguarda l'uso di tecnologie 4.0), è un dato di fatto che Huawei è la società che ha chiesto più brevetti in tutto il mondo.
Mentre Berlino sta resistendo, gli USA sono già molto avanti nella inibizione del rapporto con Huawei a Regno Unito e Francia. Ed ora, prendendo le mosse dalle proprie accuse, continuano ad avanzare insinuazioni sul fatto che l'accordo fra Cina e Italia renderebbe quest'ultima come una sorta di “testa di ponte” cinese (per usare parole di fonte tedesca) nella UE e in Occidente, dando per scontato che anche il “5G” rientri tra i temi trattati e che l'adesione non potrebbe portare “benefici durevoli al popolo italiano”, danneggiando finanche “la reputazione globale del Paese”.
Nella “cornice” del Memorandum (MoU) firmato c'è un “antipasto” di 29 accordi (19 istituzionali e 10 commerciali di gruppi privati), in attesa del 26 e 27 Aprile, quando G. Conte parteciperà a pieno titolo al Secondo “Belt and Road Summit” in Cina. E' certo che si tratta di uno scambio, di cui si è fatto garante del capitale nazionale il Presidente S. Mattarella, di accesso dei rispettivi capitali nell'altro Paese firmatario. Via libera a Cassa DD. e PP., SNAM, Italgas, ENI, Intesa-San Paolo, Unicredit, ENEL, Ansaldo Energia, per citare le principali aziende nazionali, in Cina. Ma anche disco verde all'ulteriore penetrazione cinese in Italia: nei porti di Trieste e Genova, nelle infrastrutture, in Terna, in CdP Reti, e via di questo passo. Poi, ovviamente, riconoscimenti e collaborazioni, ad esempio in campo doganale, televisivo, informativo, ferroviario, anche in Paesi terzi... E finanziamenti istituzionali cinesi ad aziende italiane in Cina, attraverso titoli in renmimbi.
In risposta alle pesanti critiche USA, il Presidente del Consiglio, G. Conte, ha dichiarato a chiare lettere che questo MoU “non ha la natura di accordo internazionale e non crea vincoli giuridici”. Inoltre ha assicurato che questo “accordo-quadro”, pur ricomprendendo anche le telecomunicazioni, non riguarda in alcun modo il “5G”, senza far mancare una frecciatina sul fatto che risulterà “più stringente rispetto ad accordi analoghi firmati da altri partner UE con Pechino”... Anche i due vice-premier, ognuno a suo modo e con accenti diversi fra loro, hanno rinnovato professione di fede nella Alleanza Atlantica.
Gli attacchi ideologici degli altri imperialismi alleati europei al governo italiano sono riconducibili, in realtà, alla sola questione della concorrenza. Alla Cina, però, anche passando dagli accordi bilaterali, serve comunque arrivare ad un rapporto con la UE come tale, in quanto “Area di libero scambio”, come ha già fatto, con le dovute differenze, per l'Africa, che raccoglie investimenti cinesi per 400 miliardi di dollari. Più che dagli strumentali rimbrotti atlantisti, l'imperialismo italiano in Europa ha da guardarsi dai business che gli possono soffiare i propri alleati!...
La vera preoccupazione USA è rappresentata, invece, dai vantaggi che possono derivare alla Cina, suo imperialismo rivale per la leadership internazionale, da una adesione, anche di fatto, della UE alla “B.R.I.”, ed una adesione formale da parte di un Paese ancora importante, com'è l'Italia, certamente non può essere gradita in America; rappresenta un'ipoteca, salvo forzature oggi non prevedibili, verso un qualche accordo con l'intera UE. Il dato di fatto, visto che Xi Jinping incontrerà Martedì 26 p. v. anche Macron (insieme alla Merkel e a Juncker), è che comunque la Cina si presenterà al Vertice con Trump con un potere contrattuale maggiore. Non è un caso che l'incontro, già previsto per la fine di questo mese in Florida, stia slittando verso la fine di Aprile ed anche oltre...
In un quadro del genere, i proletari non possono certo guardare alle, peraltro strumentali e propagandistiche, schermaglie interpartitiche sul Memorandum: non ci sono dubbi che risponda solamente agli interessi del capitale nazionale! L'intensificarsi dei rapporti internazionali, con l'accentramento del comando capitalistico ed i permanenti pericoli di guerre, sono certamente fatti da monitorare e studiare. Mostrano altresì quanto sia urgente la costruzione di una reale forza comunista internazionale, per avvicinare la fine di questo sistema, fondato ovunque sullo sfruttamento di chi lavora e sulla oppressione sociale.

Alternativa di Classe

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