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Avevate dei dubbi?

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MAI COSI' TANTA SPESA MILITARE NEL MONDO!...

(25 Maggio 2019)

Editoriale del n. 77 di "Alternativa di Classe"

alterclasse

“La spesa militare nel mondo nel 2018 è stimata essere stata di 1822 miliardi di dollari.” Così esordisce la Scheda informativa pubblicata il 29 Aprile scorso dallo Stockholm International Peace Research Institute (S.I.P.R.I.). L'Istituto internazionale indipendente, nato nel 1996 e che ha sede in Svezia, si occupa di studiare, in base a dati ufficiali messi a disposizione da fonti governative di almeno 155 Paesi, le tendenze mondiali in tema di “sviluppo degli armamenti, spese militari, produzione e commercio di armi, controllo degli armamenti e disarmo, oltre che su conflitti, prevenzione dei conflitti, sicurezza regionale e industria della difesa”.
Per dare un'idea di cosa significhi il dato, è come se ogni abitante della Terra avesse speso 239 dollari (circa 213 Euro) in tema di armi. Il dato è comprensivo di tutte le spese che riguardano il settore bellico, cioè “tutte le spese pubbliche per le forze e le attività militari correnti, compresi gli stipendi e le indennità, le spese operative, gli acquisti di armi e attrezzature, la costruzione militare, la ricerca e sviluppo, l’amministrazione centrale, il comando e il sostegno”.
Tra i grossi problemi planetari epocali, quello che è cresciuto di più nel mondo, nonostante il fatto che la produzione di cibo sarebbe ancora sufficiente per tutti, se fosse distribuito equamente, è la fame. Ebbene, le spese militari, rispetto all'anno precedente, sono cresciute ancora di più: crescono del 2,6%, e a fronte di una crescita della popolazione mondiale del 1,1%!...
Dopo un minimo nel 1996, quando la spesa militare mondiale ammontava a poco più di mille miliardi di dollari, la sua crescita era rimasta costante ogni anno fino al 2011, quando non era ancora arrivata a superare i 1700 miliardi di dollari. Dopo qualche anno di sostanziale stabilità, la spesa si è nuovamente impennata durante il 2018. La spesa militare mondiale, che peraltro ha oggi raggiunto il 2,1% del GDP (il corrispettivo del PIL mondiale), è arrivata, cioè, al suo livello più alto dalla fine della “Guerra fredda” in poi (dato che prima del crollo dell'URSS non esistono dati resi di pubblico dominio)... Sia in percentuale di aumento, che in valore assoluto.
L'incremento percentuale di spesa è stato registrato nel 2018 anche, in media, rispetto ai PIL dei singoli Paesi (+ 0,5%), compresi quelli più piccoli ed aventi, di per sé, meno ambizioni politiche globali e/o geopolitiche. L'aumento maggiore rispetto all'intero GDP, è stato di un terzo (+ 33%) in Armenia, seguita dal + 24% di Lettonia e Turchia, e poi dal + 21% dell'Ucraina, in guerra con la Russia. Lo sviluppo dell'imperialismo mondiale si accompagna ovunque con l'opzione militare, ma non sempre collegata soltanto ad obiettivi direttamente bellici. Un grosso ruolo è rivestito anche dallo sviluppo tecnologico che l'industria militare è in grado di trainare, mentre aspetto non secondario è il ruolo economico-finanziario dell'investimento.
Continuano a mantenere saldamente il primato delle spese militari gli USA, sede del cosiddetto “triangolo di ferro” tra finanza, militare ed industria: la compenetrazione dei tre settori è massima, e non da oggi. La spesa USA è di 649 miliardi di dollari (il 36% di quella mondiale), con una crescita del 4,6 % sul 2017; segue la Cina con 250 miliardi di dollari (il 14% di quella mondiale) ed una crescita del 5%, poi, nell'ordine, l'Arabia Saudita con 67,6 miliardi di dollari, nonostante una momentanea decrescita del 6,5%, l'India con 66,5 miliardi di dollari ed una crescita del 3,1%, nonché la Francia, che, con 63,8 miliardi di dollari ha superato al quinto posto la Russia, scesa quest'anno del 3,5% a 61,4 miliardi di dollari. La somma della spesa militare dei primi cinque imperialismi raggiunge il 60% di quella mondiale.
Nella classifica mondiale delle spese militari l'Italia occupa un posto di tutto rispetto: l'11°, con 27,8 miliardi di dollari. Risulta, però, più interessante notare come, tra i primi 15 Paesi, l'Italia, insieme a Canada, Francia, Germania, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti, compone il fronte dei Paesi NATO, con il 48% dell'intera spesa militare mondiale. A questi Paesi vanno aggiunti Ucraina, Polonia e Lituania, sempre più armati, per una notevole pressione sulla Russia, che, nonostante la riduzione di spesa (calcolata in dollari), in decrescita dal 2006, mantiene un ragguardevole 3,9% del proprio PIL sulle spese militari e vanta sistemi d'arma potenti ed efficienti, in grado di intervenire finanche nella Repubblica Centrafricana e in Venezuela, se ritenuto necessario. Di passata, però, va rimarcato che oggi i BRICS, tutti insieme, superano di poco i 400 miliardi di dollari di spese militari: solo il 22,4% del GDP; tutti insieme meno degli USA da soli!...
La regione in cui si è verificato il più alto rapporto tra spese militari e PIL nazionali è stato ancora una volta il Medio Oriente, con un incremento medio del 4,4%. Ben sei dei dieci Paesi con il rapporto 2018 più alto si trovano lì. Oltre all'Arabia Saudita, con l'8,8% del proprio PIL, vi sono anche Oman, Kuwait, Libano, Giordania ed Israele. Un altro Paese arabo, l'Algeria, ha un rapporto del 5,3%. Le tensioni politiche dell'area, con gli scontri bellici in atto principalmente in Siria, Yemen e Palestina, legate al suo controllo geopolitico, sono accompagnate da uno sviluppo degli armamenti, guidato dalle principali concentrazioni finanziarie internazionali.
A livello continentale, la crescita maggiore delle spese militari nel 2018 rispetto al GDP è avvenuta nelle Americhe, con il contributo significativo dell'America latina, mentre è continuata la crescita in Asia. Meno della metà la crescita in Europa. Oltre che in Oceania, in Africa c'è stata, invece, una decrescita, per il quarto anno consecutivo, che ha portato l'intero continente ad un semplice 8,4% del GDP, anche se ciò non significa certo più “pace”, ma solo meno spesa pubblica militare. Nonostante l'aumento di quest'anno della spesa militare del 18% in Nigeria, i Paesi che hanno di più contribuito alla complessiva decrescita continentale, sono stati l'Angola (-18%), con la sua crisi petrolifera, il Sudan (- 49%), con la crisi economica e politica in atto, ed il Sud Sudan (- 50%), con la guerra civile in atto e gli scontri armati finanziati dalle compagnie petrolifere.
I dati del S.I.P.R.I. confermano sostanzialmente quanto già a Febbraio, seppure con minore puntualità, emergeva dal rapporto intitolato “L'equilibrio militare”, a cura dell'importante istituto di ricerca britannico, denominato Istituto Internazionale di Studi Strategici (I.I.S.S.). Dopo la sospensione del Trattato anti-missili, denominato Forze Nucleari a Raggio Intermedio (INF) tra USA e Russia, va ricordato che D. Trump aveva chiesto ai Paesi della UE aderenti alla NATO, oltre che di allinearsi agli USA sulle sanzioni all'Iran, di aumentare le spese militari fino a portarle ad una media del 2%. Ad oggi il riarmo è un importante complemento della guerra commerciale!
Il medesimo rapporto dell'I.I.S.S. già rivelava come anche sul piano militare il principale nemico degli USA sta diventando la Cina. E non solo e non tanto perché la crescita delle sue spese militari rispetto al GDP risultava maggiore di quella degli USA per il 2018, ma perché veniva individuata una sua “strategia di miglioramento delle capacità delle forze armate di operare sempre più a distanza”. In realtà è perfettamente normale che un Paese, destinato a diventare, fermi restando i trend di sviluppo attuali, la prima potenza mondiale entro il 2035, si stia dotando di una strategia del genere, ma per gli USA è un problema in più il fatto che la Cina vi stia riuscendo con meno della metà della loro spesa militare.
L'imperialismo cinese si sta sviluppando all'interno del contesto internazionale nel quale gli USA hanno affermato la propria leadership. La Cina fa parte a pieno titolo sia del Fondo Monetario Internazionale (F.M.I.), di cui esprime uno dei cinque direttori, che della Banca Mondiale, e non si pone l'obiettivo di costruzioni internazionali alternative, che sostituiscano le “Istituzioni di Bretton Woods (B.W.I.)”. La stessa Banca di Investimento per le Infrastrutture dell'Asia (A.I.I.B.), di promozione cinese, è una banca multilaterale, di cui fanno parte, e come “membri fondatori”, anche i principali Paesi europei, al contrario degli USA, che la osteggiano.
Certamente la Cina contesta il primato del dollaro, ma a tutt'oggi non chiede, nemmeno in prospettiva, di sostituirlo con il renmimbi come moneta di riferimento degli scambi commerciali internazionali, bensì propone una “moneta globale”, solleticando l'orgoglio, ed anche gli interessi, dei capitali nazionali condizionati da Washington. La Cina poi si mostra “aperta” verso le partnership e le proposte altrui nei summit internazionali, citando sempre “pace”, “sviluppo”, e “cooperazione” come proprie direttrici, senza mancare di propagandare i propri obiettivi tecnologici del “Made in China 2025”, e quelli commerciali, legati alla Nuova Via della Seta (Belt and Road Initiative – B.R.I.).
Assolutamente, non è che quello cinese sia un “imperialismo buono”; ha soltanto un diverso “stile di leadership”!... La strategia di crescita dell'imperialismo cinese è, semplicemente, diversa da quella dell'imperialismo americano, che, sviluppatosi nel sistema del “duopolio” della Guerra fredda, combattuta e vinta, ha ancora un'economia permeata dall'impegno bellico, e stenta a darsi una dimensione nuova, rifiutando anche solo le apparenze di un improbabile “multipolarismo” strategico. Lo scontro per la leadership tra i due colossi è, di fatto, già in atto in molti campi, e ad oggi non si possono prevedere gli scenari cui tale scontro porterà.
Il Presidente Trump, come prima ricordato, ha chiesto agli alleati europei di portare l'impegno delle spese militari al 2% del proprio PIL, a fronte dell'impegno USA, che, in assoluto, supera il 3,5%. In realtà, tale richiesta non si giustifica con lo specifico impegno NATO, visto che la spesa USA è ripartita su molti fronti, di cui la NATO è solo uno. E' vero che l'impegno USA in ambito NATO è il principale, e cioè è maggiore rispetto a quello di ogni altro alleato, ma non è certo in proporzione al suo 36% della spesa mondiale!...
Risulta perciò normale che gli imperialismi europei non si dimostrino entusiasti delle sollecitazioni USA sul terreno bellico, compresi i recenti richiami ad un maggiore impegno contro l'Iran. Del resto, gli USA non esitano a generalizzare le proprie “guerre commerciali”, estendendole anche a propri alleati, e puntando, così, a condizionarli con tali mezzi. E' significativo che in Italia i partiti dimostratisi più sensibili ai richiami USA sull'aumento delle spese militari sono stati, seppure con diversi accenti, “Fratelli d'Italia” ed il P.D.
Sempre, prima delle due guerre mondiali, le spese militari erano cresciute. Certamente il dato dell'aumento generalizzato delle spese militari nel mondo di quest'ultimo anno non significa automaticamente che siamo sull'orlo di una nuova guerra mondiale, perlomeno per come è stata conosciuta finora, ma rappresenta, se confermato prossimamente, una tendenza oggettiva, che il sistema capitalistico non è in grado di cambiare. La distruzione di mezzi di produzione e capitali, oltre che di uomini, che la guerra induce, è l'unica “valvola di sfogo” sicura per un sistema sociale in crisi, che continuamente nega l'umanità. L'alternativa per i proletari è sempre più COMUNISMO O BARBARIE.

Alternativa di Classe

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