">
il pane e le rose

Font:

Posizione: Home > Archivio notizie > Stato e istituzioni    (Visualizza la Mappa del sito )

No TAV

No TAV

(29 Gennaio 2012) Enzo Apicella

Tutte le vignette di Enzo Apicella

PRIMA PAGINA

  • Domenica 21 aprile festa di Primavera a Mola
    Nel pomeriggio Assemblea di Legambiente Arcipelago Toscano
    (18 Aprile 2024)
  • costruiamo un arete redazionale per il pane e le rose Libera TV

    SITI WEB
    (Storie di ordinaria repressione)

    • Senza Censura
      antimperialismo, repressione, controrivoluzione, lotta di classe, ristrutturazione, controllo

    Il decreto-Salvini bis è un attacco frontale alle lotte.
    E dà il via libera alle aggressioni poliziesche, padronali e fasciste.
    A quando la risposta che merita?

    (30 Giugno 2019)

    solo due razze

    Il decreto-sicurezza bis, voluto dalla Lega, sottoscritto dai 5S, e firmato da Mattarella l’11 giugno, completa e indurisce la normativa anti-proletaria contenuta nel primo decreto-sicurezza.

    Il primo decreto-Salvini (del giugno 2018) aveva come suo bersaglio anzitutto i richiedenti asilo e i lavoratori immigrati, ma colpiva con altrettanta durezza i picchetti e le occupazioni di case, cioè le lotte.

    Il secondo decreto-Salvini concentra il fuoco proprio contro la libertà di manifestare e contro il diritto elementare di difendersi dalle aggressioni delle “forze dell’ordine”.

    Ogni forma di opposizione e di resistenza un minimo attiva diventa reato (da violazione amministrativa che era), e viene punita anche se l’offesa arrecata è lieve.

    L’uso di caschi, fumogeni, petardi e materiali “imbrattanti” (!) è punito con l’arresto, se in flagranza, fino a 3 anni (anziché 2) e con l’ammenda fino a 6.000 euro (invece che 2.000).

    Sono inasprite le sanzioni per danneggiamenti o devastazioni (che sono equiparati tra loro) compiuti nel corso di manifestazioni.

    Manifestare senza preavviso diventa, da contravvenzione, delitto.

    La pena prevista per interruzione, o anche solo ostacolo, di pubblico servizio nel corso di manifestazioni o eventi pubblici (ad esempio un intervento o una protesta durante un consiglio comunale), può arrivare a 2 anni (anziché 1).

    Mentre l’oltraggio a pubblico ufficiale è ora punibile con pene fino a 3 anni e sei mesi.

    Queste misure aggravano le pene previste dalla legislazione fascista (T.U. sulla pubblica sicurezza del 1931), dai decreti di emergenza del 1944 in periodo di guerra, e dalla liberticida legge Reale del 1975.

    Il tutto in nome della “straordinaria necessità e urgenza di rafforzare le norme a garanzia del regolare e pacifico svolgimento di manifestazioni in luogo pubblico e aperto al pubblico”.

    Poiché la conflittualità sociale in Italia è oggi ad un livello bassissimo, si tratta – è evidente – di un insieme di misure essenzialmente preventive per contrastare e scoraggiare il più possibile la ripresa in grande delle lotte quando non basterà più la squallida demagogia “sovranista” o pentastellata a deviarla, e l’intervento di Cgil-Cisl-Uil e del Pd (e soci) a contenerla e svuotarla.

    Mancando chiaramente i requisiti di “straordinaria necessità e urgenza”, diversi giuristi ritengono che il decreto possa essere giudicato incostituzionale – vedremo, ma non crediamo che tali obiezioni siano in grado di fermare il Salvini-bis, come non hanno fermato il primo decreto.

    Nel decreto-sicurezza bis ce n’è, naturalmente, anche per gli emigranti e gli immigrati.

    Colpendo le residue Ong che si trovano nel Mediterraneo, e criminalizzando il soccorso in mare in generale, si militarizza ulteriormente il Mediterraneo, e si fa salire in misura vertiginosa il rischio e il prezzo della sua traversata.

    Si favorisce così quella selezione di classe degli emigranti dall’Africa pretesa dall’Unione europea e dai padroni di “casa nostra”, che vogliono qui, per quanto è possibile, gente dotata di adeguata istruzione e delle professionalità richieste dalle imprese, che la scuola italiana non fornisce in numero adeguato (di lavoratori immigrati di origini contadine e proletarie ce n’è già una certa abbondanza).

    Non abbiamo il minimo debole per le Ong (come istituzioni – fermo restando il rispetto per tutte le persone che nutrono genuini sentimenti di solidarietà con gli emigranti schifosamente vessati dal governo italiano).

    Ma dev’essere chiaro che la liquidazione delle Ong non c’entra proprio niente con lo strombazzato contrasto al traffico di emigranti.

    Al contrario!

    Serve a lasciare il campo libero, oltre che alle navi da guerra, proprio alle organizzazioni della malavita organizzata.

    È di queste ore la dichiarazione del sindaco di Lampedusa: nei giorni scorsi, ha detto, sono sbarcati sull’isola almeno 200 emigranti su barche e barchini (dei trafficanti, aggiungiamo noi) – sono i cosiddetti sbarchi-fantasma, chiamati così perché il ministero dell’interno ha dato l’ordine di non vederli.

    Sbarchi che continuano senza soste, permessi e protetti dal silenzio di stato e di stampa.

    Del resto, è scritto nero su bianco nel 2019 Trafficking in Persons Report del Dipartimento di stato statunitense, reso noto il 20 giugno: “Il governo italiano non soddisfa pienamente il minimo [notate bene: il minimo] standard per l’eliminazione del traffico degli esseri umani”. Secondo tale rapporto, gli atti compiuti dal governo di Roma “non sono stati importanti e non sono stati al livello del rapporto dell’anno scorso”.

    Lo dicono i fatti: “c’è stato un calo nel numero degli arresti e delle indagini sulla tratta, rispetto al periodo precedente di riferimento”.

    Il primo decreto-sicurezza fece un doppio regalo alle organizzazioni della criminalità producendo (con l’abolizione di fatto della protezione umanitaria) decine di migliaia di immigrati irregolari, e dando ai boss mafiosi la possibilità di riacquistare i beni loro sequestrati tramite dei prestanome.

    A ruota la Lega ha preteso, nello “Sblocca cantieri”, l’allentamento dei controlli sugli appalti pubblici e l’ampliamento del ricorso ai sub-appalti – proprio là dove si concentrano, secondo il presidente dell’Anticorruzione Cantone, “i rischi delle infiltrazioni mafiose e quelli [strettamente connessi] per la sicurezza dei lavoratori”.

    L’accanimento mediatico di Salvini contro la Sea Watch negli stessi giorni in cui altri 200 immigrati sbarcavano a Lampedusa e altri 100 (solo 100? ne dubitiamo) entravano in Italia dal confine di Trieste; l’accanimento governativo-giudiziario contro ogni forma di accoglienza in qualche modo gratuita, consolida il duopolio stato/criminalità organizzata sul controllo delle migrazioni internazionali in entrata.

    Immigrazione zero?

    Non scherziamo!

    Nel Def (decreto di economia e finanza), passato all’unanimità in consiglio dei ministri il 9 aprile, è scritto: quest’anno servono almeno 165.000 nuovi immigrati…

    Servono, se possibile, “accolti/e” alle frontiere terrestri o marine dai militari e da Frontex, incatenati/e dai debiti (meglio se contratti con la malavita organizzata), e irregolari, il che vuol dire: almeno per un po’ di anni irregolarizzati/e dalle politiche di stato.

    Hanno ragione gli organismi impegnati contro la repressione quando denunciano “una lunga deriva istituzionale verso la configurazione di uno stato penale”, di uno “stato di polizia” che usa in modo sempre più intensivo il diritto penale e dispositivi “pan-penalisti”.

    E condividiamo in pieno anche la denuncia dell’applicazione dell’art. 41 bis alle compagne e compagni anarchici e ad altri militanti politici detenuti all’Aquila, Ferrara, Alessandria, Sollicciano, Lucca: si tratta di una vera e propria tortura con i suoi divieti di parola, di socialità, di corrispondenza, di rapporti con i familiari, di lettura, la sorveglianza asfissiante nelle celle (le perquisizioni fino a 12 volte al giorno!), e perfino l’impossibilità di presenziare al proprio processo attraverso il ricorso al video-interrogatorio.

    La sola cosa che vogliamo sottolineare è che il bersaglio grosso, il bersaglio ultimo di questi decreti, del governo, degli apparati repressivi dello stato democratico, come e più di sempre stato dei padroni, è la lotta di classe autonoma degli sfruttati – e tutto ciò che può favorirla.

    Non solo in prospettiva, già oggi.

    Se nel 2001 e negli anni immediatamente successivi il bersaglio primario della repressione statale era stato il nascente movimento “no global”; se dal 2011 a seguire il posto d’onore è stato attribuito dagli organi dello stato al movimento “no Tav”; negli ultimi anni è fuori discussione che la repressione statale e padronale ha martellato i facchini e i driver immigrati della logistica, e in modo particolare il SI Cobas, anche fuori dalla logistica.

    Oramai non c’è uno sciopero del SI Cobas che non veda schierate in forze decine di poliziotti e carabinieri, pronti a manganellare duro e gasare con i lacrimogeni (come all’Italpizza di Modena) tanto gli attivisti sindacali che le lavoratrici immigrate.

    E non si tratta più solo delle “forze dell’ordine”, l’ordine dei padroni, s’intende.

    Con i decreti-Salvini e l’attività del governo del “cambiamento” la militarizzazione del controllo e del contrasto alle lotte degli sfruttati, specie se immigrati, ha fatto un così deciso passo in avanti che i padroni e gli ambienti più o meno mafiosi a loro vicini si sono sentiti incoraggiati, spronati, a darsi da fare per lanciare contro i lavoratori proprie milizie private.

    Si era appena formato il governo Conte e in Calabria, fiutando l’aria nuova, c’era chi, in nome del diritto di proprietà, si sentiva autorizzato ad assassinare il bracciante maliano dell’Usb Soumayla Sacko, colpevole dell’imperdonabile “furto” di lamiere abbandonate.

    Episodio casuale?

    Tutt’altro.

    Ne abbiamo conferma anche in alcuni fatti di questi ultimi giorni.

    Ad esempio al Salumificio Bellentani di Vignola, in quel di Modena (il famoso “modello emiliano”, quello di cui la ‘ndrangheta è parte integrante…), una squadretta (squadraccia) padronale di guardie senza uniforme è impegnata quotidianamente a molestare e provocare le operaie e i militanti del SI Cobas per arrivare a denunciarli per presunte “aggressioni”.

    Alla Gruccia Creations di Prato un’altra squadraccia messa su dal padrone (cinese, questa volta – ma i padroni, come gli operai, non hanno patria, sono la stessa identica razza di vampiri sotto qualsiasi cielo) ha aggredito e pestato a sangue gli operai pakistani in sciopero, colpevoli di non voler più lavorare 12 ore al giorno senza riposo settimanale.

    In precedenza sempre a Prato, alla tintoria DL e alla tintoria Fada aveva provveduto lo stato a svolgere la sua funzione di difensore intransigente (manganello alla mano) della proprietà privata e del diritto padronale a sfruttare il lavoro salariato.

    Incoraggiato da questo e dal clima generale creato dal governo, alla Gruccia Creations il padrone cinese ha pensato bene di sbrigarsela da solo, con i suoi mezzi privati di intimidazione.

    L’uno (lo stato) incoraggia l’altro (il capitalista singolo), mentre la Questura – che fa? – emette un foglio di via contro due militanti del SI Cobas accusati di essere “socialmente pericolosi” – risponde così all’appello degli imprenditori pratesi a non mettere a rischio con le lotte i loro smisurati profitti (il padrone della Fada si era fatto immortalare con il cartello “Cobas comanda Prato, aiuto istituzioni”).

    Non è da escludere in assoluto che a Modena o a Prato, per le contraddizioni inter-borghesi tra le aziende e tra i partiti, possa esserci qualche momentaneo passo indietro o di lato di qualche settore delle istituzioni locali o della magistratura (come lo è stata l’assoluzione di Aldo Milani in un processo, peraltro, dai fondamenti grotteschi).

    Per l’aggressione alla Gruccia Creations, ad esempio, è avvenuto che si siano indignati tutti, dalla CGIL al presidente della Regione Toscana (resta da vedere, comunque, cosa di concreto ne deriverà).

    Ma quando è la polizia a attaccare gli scioperanti, nessuna indignazione.

    E la scesa in campo con prese di posizioni intimidatorie del SAP e del Siulp di Modena a difesa e rivendicazione dei pestaggi contro i sindacalisti del SI Cobas e le lavoratrici di Italpizza, mostra fino a che punto è arrivata la convinzione di chi attua una repressione delle lotte, tanto violenta quanto vigliacca, di avere diritto alla più totale impunità.

    Costoro sono così sicuri dell’impunità che, dopo avere picchiato e gasato a volontà gli scioperanti, si permettono la ridicola messa in scena di farsi “medicare” in ospedale al solo scopo di poter fare denunce più pesanti contro chi resiste.

    L’incremento della repressione padronal-statale dentro e fuori i luoghi di lavoro non si limita certo ai casi fin qui nominati – come dimostrano diversi episodi di discriminazioni e rappresaglie denunciati da CUB e ADL, o l’introduzione delle impronte digitali e del controllo biometrico nella pubblica amministrazione. Intanto, a 30 anni dal varo della legge 146/1990 sulla regolamentazione dello sciopero nei “servizi pubblici essenziali”, la Commissione di garanzia prepara nuove misure ancora più restrittive nei trasporti, nei servizi pubblici locali, nelle attività di igiene ambientale, in nome della tutela delle “fasce deboli” (è il massimo dell’ipocrisia).

    E appare evidente la volontà dei suoi committenti di allargare il più possibile il concetto di servizio pubblico essenziale per arrivare a rendere quasi impraticabile il ricorso allo sciopero.

    Così come è evidente che i promotori dello squallido convegno internazionale di Verona sulla famiglia non hanno affatto sospeso la loro azione volta a restringere e reprimere i pur parziali diritti conquistati dal movimento delle donne, negli anni ’70 e oggi.

    Sarebbe imperdonabile infantilismo illudersi di poter sbaragliare questa linea d’azione di padroni, governo e istituzioni statali, in quattro e quattr’otto con la sola determinazione di piccoli gruppi, per di più isolati gli uni dagli altri.

    La forza di questa azione repressiva è anche nella paura che sa generare, nella paralisi della grande massa dei lavoratori, e nel consenso che ha saputo conquistarsi tra settori di lavoratori italiani.

    In queste settimane stiamo assistendo a una vera e propria ecatombe di posti di lavoro, in particolare nel meridione, con centinaia di crisi aziendali vere o presunte, chiusure, delocalizzazioni e cassa integrazione a più non posso: i casi della Whirlpool a Napoli, di Mercatone Uno, di Jabil e del corriere espresso SGT sono solo quelli più eclatanti, peraltro in un contesto in cui a una parte dei lavoratori (i dipendenti diretti) viene garantita quantomeno la possibilità di accedere agli ammortizzatori sociali, mentre a tutti i lavoratori in appalto, in subappalto e dell’indotto è negato persino questo “salvagente”.

    Di fronte a un quadro talmente drammatico i sindacati confederali Cgil-Cisl-Uil, invece di indire un vero sciopero generale, si limitano a co-gestire la crisi e ad indire scioperetti senza la minima convinzione che si risolvono in inutili e logore passeggiate in questa o quella città e qualche comizietto in cui i leader di turno invocano come un disco rotto “una nuova politica di sostegno agli investimenti da parte del Governo”.

    In pratica, di fronte alla rapina sistematica di salario compiuta dai padroni, la prima preoccupazione dei sindacalisti di Stato è… come far fare ancor più profitti alla borghesia!

    Non vi è dubbio che la Lega, con l’imminente varo della Flat Tax, sta dando una risposta a queste “preoccupazioni” tanto concreta e succulenta per i padroni quanto devastante per i lavoratori.

    Lo sciopero dei metalmeccanici dello scorso 14 giugno, al di là dei proclami dei leader confederali non ha fatto altro che mettere a nudo, da un lato l’impotenza e la profonda crisi di consenso di Cgil-Cisl-Uil, dall’altro la volontà di queste ultime di alzare un vero e proprio “muro divisorio” tra le burocrazie confederali e le esperienze di lotta e di conflitto reale. Il caso della manifestazione del 14 giugno a Napoli, in cui i vertici di Fiom-Fim e Uilm si sono servite di centinaia di agenti in assetto antisommossa per tenere alla larga lo spezzone dei “rompiscatole” del SI Cobas, dei licenziati Fca, dei disoccupati e di alcuni delegati Usb di Melfi, la dice lunga al riguardo…

    Né si tratta solo dell’Italia: la brutalità con cui Macron e la polizia francese hanno aggredito i gilet jaunes e prima ancora il movimento degli studenti, non è minore di quella del governo Lega-Cinquestelle.

    L’UE è compatta in questa direzione.

    E non solo in Italia questo clima repressivo e razzista alimenta la rimessa in moto dei gruppi neo-fascisti, sempre più attivi come forza di complemento del fronte padronale, pronti, come in passato, ai più sporchi servigi a comando (o anche auto-promossi).

    Lo scorso anno, a partire dai cortei di Milano (7 luglio, organizzato dal SI Cobas) e di Ventimiglia (14 luglio, promosso dai No Borders), il primo decreto-Salvini ha ricevuto un crescendo di risposte, di differente intensità ed estensione andato avanti fino alle iniziative di ottobre-dicembre.

    Siamo rimasti, però, assai lontani dal raggiungere, come numeri e come chiarezza politica, la massa critica indispensabile a stoppare l’iniziativa repressiva del governo.

    La molteplicità delle risposte locali, parziali o settoriali (dimostrazioni di piazza, assemblee, convegni, etc.) non è confluita in un unico movimento generale capace di parlare alla massa dei lavoratori e dei giovani – inclusi i tanti che si aspettano qualcosa dal governo Lega-Cinquestelle.

    Il pericolo ora è che decreto-Salvini bis, che completa e inasprisce il primo, possa passare più liscio del precedente.

    Sarebbe un vero paradosso, perché meriterebbe una risposta ancora più ampia, forte e unitaria.

    Che si deve ampliare alla denuncia dell’intera azione anti-proletaria di questo governo, con una critica di classe di ciò che ha fatto finora e di ciò che si appresta a fare, in materia di lavoro, di fisco, di politica internazionale.

    Lavoriamo a questa risposta con la massima determinazione, serrando le fila, vincendo i localismi e le spinte disgregatrici, mettendo avanti ciò che unisce rispetto a ciò che divide.

    E facendo ogni sforzo per arrivare alla massa dei lavoratori oggi passiva, sbandata o perfino schierata a sostegno del governo.

    L’abbiamo detto fin dal primo giorno: il governo Lega-Cinquestelle è un governo trumpista, piccolo ma pericoloso. In quest’anno si è visto che la forza potenziale per dargli una battaglia seria, c’è.

    Dobbiamo però riuscire a schierarla in campo unitariamente per fermare la repressione padronale e statale, e sollecitare una dinamica di riscossa del movimento di classe.

    A questo fine proponiamo ai tanti collettivi impegnati nei singoli territori contro la repressione, agli organismi del sindacalismo di base, e a tutte le realtà sociali, sindacali e politiche intenzionate a battersi contro questo governo, di tenere quanto prima un’assemblea nazionale per costituire un Comitato nazionale contro la repressione che si dia come suo primo obiettivo la cancellazione dei decreti Salvini-1 e Salvini bis.

    27 giugno

    Il Cuneo rosso – GCR (Gruppo comunista rivoluzionario) – Pagine Marxiste – Compagni/e per una tendenza internazionalista rivoluzionaria

    3841