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(3 Luglio 2019)
Lo scontro tra Lega e 5 Stelle continua senza esclusione di colpi. Salvini ha il problema di come tradurre la vittoria elettorale in un maggiore peso politico; Di Maio e i 5 Stelle hanno il problema opposto: difendere una rappresentanza politica molto superiore al loro attuale peso elettorale. Ma alla base di questo scontro operano forze sociali ben più significative degli appetiti o dei timori di qualche centinaio di parlamentari, ministri e sottosegretari. Salvini si propone sempre più chiaramente come colui che può risolvere l’anomalia costituita dalla maggioranza gialloverde, riconducendo il sistema politico italiano a un rapporto più stretto e diretto con le esigenze della borghesia, gettando quindi alle ortiche quelle posizioni che in passato suscitavano la maggiore ostilità da parte del grande capitale.
Viene così abbandonato l’antico antieuropeismo, fino al punto che Salvini si esprime con simpatia sull’ipotesi di Mario Draghi come presidente della Commissione europea. L’ipotesi dei “minibot”, che avrebbe aperto uno scontro frontale con la Ue e con la Bce, era già stata affondata proprio dal leghista Giorgetti, smentendo in modo plateale il suo compagno di partito Borghi che ne era l’ideatore.
Quanto alla Flat Tax, certo è una misura onerosa che in qualche misura può preoccupare Bruxelles, ma raccoglie ovazioni nelle assemblee delle organizzazioni di artigiani e commercianti, e i voti bisogna pur prenderli da qualche parte. E il tornaconto è immediato per le imprese e per i ceti medio alti, per i quali “antipolitica” significa semplicemente non pagare le tasse.
Una Lega che rilancia la Tav, alza muri contro il salario minimo, prende le difese dei Benetton, cerca l’accordo con l’Europa, va fin troppo bene per il padronato italiano, e pazienza se il suo capo deve fare un po’ di sceneggiate sulla pelle dei migranti o prendersela con qualche intellettuale di grido: sono dettagli estetici, il capitale guarda al portafogli e in fin dei conti anche l’idolatria della repressione statale (più manganelli! più telecamere! più muri!) serve eccome a lorsignori.
Di Maio cerca di rispondere ergendosi a paladino dei poveri e dei lavoratori: rilancia il salario minimo, attacca i Benetton su Autostrade e Alitalia, entra in conflitto con ArcelorMittal su Ilva… Non a caso la stampa quando commenta queste uscite parla di “governo nemico delle imprese e dello sviluppo”. Tuttavia mentre Salvini fa sul serio, Di Maio recita una pantomima, e questo condannerà lui e il suo partito alla sconfitta.
Nel migliore dei casi, i 5 Stelle otterranno ancora qualche misura parziale che rapidamente si svuota di contenuto, come è accaduto col reddito di cittadinanza, al punto che oggi si parla di 3-4 miliardi di minori spese, tra reddito e “quota 100”, a dimostrazione che sono stati provvedimenti ben lontani dall’andare al sodo dei problemi.
I 5 Stelle sono patetici quando parlano del salario minimo e poi cercano di placare l’opposizione di Confindustria, Ocse ecc. promettendo che in cambio daranno “miliardi” di sgravi fiscali alle imprese. L’idiozia di pensare di poter difendere chi è sfruttato senza lottare contro chi lo sfrutta ha segnato il Movimento fin dalla sua nascita, ma la lotta di classe è una cosa seria e chi la ignora finisce (meritatamente e rapidamente) per lasciarci le ossa.
La borghesia e la Lega convergono quindi sempre più strettamente sul prossimo passo: fare fuori i 5 Stelle dal governo, magari cominciando da qualche ministro particolarmente vulnerabile (Toninelli?). Lo scrive esplicitamente il giornale di Confindustria in un editoriale: “Per questo, nel mondo delle imprese, l’inquietudine sale. E con essa (…) la convinzione è che sia arrivato il momento di saldare il conto con l’alleato di governo, a sua volta impegnato a fronteggiare gli esponenti più movimentisti. Matteo Salvini è di fronte a scelte decisive. (…). Insomma, è arrivato il momento in cui deve rompere gli indugi e assumere le responsabilità del caso. È arrivato il momento di passare dalle parole ai fatti, dalla litigiosità alla concretezza. Soltanto così potrà essere possibile passare dalle politiche dell’austerità, che sono risultate perdenti, a quelle dello sviluppo, l’unica medicina vera per il rilancio del Paese. Evitando l’errore di puntare la maggior parte delle risorse disponibili, poche, sull’assistenzialismo.” (Il Sole 24 ore, 22 giugno).
Per i lavoratori la parola d’ordine deve essere esattamente la stessa: bisogna passare dalle parole ai fatti! Non possiamo assistere passivamente mentre l’implosione di questo governo prepara la strada a nuove soluzioni ancora peggiori. È necessario prendere atto della realtà: solo con una mobilitazione diretta e di massa, solo con scioperi, manifestazioni, proteste è possibile avanzare i nostri interessi di classe e aprire una vera lotta contro una realtà in cui crescono solo la povertà, la precarietà, la disoccupazione e il peggioramento generale delle condizioni di vita della maggioranza.
A partire dalla prospettiva dello sciopero generale nel prossimo autunno, dobbiamo mettere in campo una mobilitazione diffusa e duratura, capace di affermare in maniera indipendente gli interessi di classe dei lavoratori e dei giovani. La classe lavoratrice deve smettere di essere materia di speculazioni elettorali e tornare finalmente a parlare con la propria voce: nelle piazze, nelle aziende, nella politica.
1 luglio 2019
rivoluzione.red
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