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Agli operai della Fiat di Torino.

Numero speciale di Lotte Operaie. Bollettino sindacale dei Comunisti Internazionalisti (La Rivoluzione Comunista)
Supplemento al nr.15 Luglio 1969

(5 Luglio 2019)

Gli sfruttati debbono insorgere contro i propri sfruttatori.
Insorgendo contro i propri sfruttatori, essi incappano inevitabilmente nelle forze armate dello Stato che è al servizio degli sfruttatori.
Gli sfruttati possono battere i propri sfruttatori e le loro forze armate: unendosi, organizzandosi, lanciandosi con coraggio ed entusiasmo nella lotta.
Gli sfruttati lasciati a se stessi non sono nulla: organizzati in partito possono diventare tutto.
Viva la lotta di classe contro i padroni e lo Stato capitalista!
Viva la lotta rivoluzionaria di partito!

Compagni, operai,
aumentare la produzione per battere la concorrenza internazionale e realizzare, così, maggiori profitti: questo e soltanto queste è il movente della Fiat. Per questo la Fiat spinge i ritmi di lavoro a livelli insopportabili. Per questo la Fiat effettua nuove assunzioni, attraendo a Torino lavoratori di tutta Italia. Tutto questo, ovviamente, non fa che inasprire le condizioni di lavoro e di vita dell'operaio: in fabbrica con la intensificazione dello sfruttamento; fuori della fabbrica con il carovita, con la mancanza degli alloggi e l'asfissia dei servizi pubblici.

La partecipazione allo sciopero generale del 3 luglio 1969 di centinaia di migliaia di lavoratori e la giornata di scontri violenti verificatasi tra operai e polizia (gli scontri tra operai e polizia avvengono per tutta la giornata del 3 e durano fino all'indomani mattina e si concludono con un bilancio pesante per feriti arresti e danni), dimostrano che queste condizioni hanno raggiunto limiti di rottura: che l'esasperazione degli sfruttati non è più contenibile entro i canali del normale controllo sindacale e poliziesco. Come è stato attestato, pressoché generalmente, dalle lotte del 1968, gli operai non subiscono più, senza reagire, la violenza delle forze di polizia.

In quanto maggiore concentramento operaio la Fiat è sempre al centro delle attenzioni politiche. Gli avvenimenti del 3 luglio [denominati: le barricate di Corso Traiano davanti alla Fiat], dopo gli scioperi dell'anno scorso, hanno gettato nell'ambiente borghese una nota d'allarme riguardo alla situazione sociale interna. Partiti e sindacati si sono mobilitati e si mobilitano per dare della "lotta di Mirafiori" le interpretazioni più superficiali e più interessate. È necessario che gli operai stessi riflettano su questi avvenimenti per comprenderne il significato effettivo e trarne gli insegnamenti utili. Ci sono due modi di vedere, corrispondenti a due differenti tendenze politiche, che meritano di essere criticati più degli altri punti di vista, se si vuole stabilire un giusto orientamento di classe. Il primo è quello che vede nei fatti del 3 luglio la conseguenza di una situazione eccezionale esistente a Torino e alla Fiat. Il secondo è quello che considera questi fatti come il primo atto di un grande movimento rivoluzionario.

Social-comunisti [PCI-PSI-PSIUP] e classe operaia

Secondo i socialcomunisti Torino sarebbe un modello di "sviluppo economico distorto", una specie di mostruosità inconcepibile. Ciò lascia presupporre che Torino potrebbe conoscere un tipo di sviluppo armonico, senza grossi inconvenienti. Ma ciò è possibile? No, non è possibile? Torino, così com'è oggi, è una immagine genuina dello sviluppo capitalistico; il quale concentra mezzi di produzione e forza-lavoro in alcune zone, mentre ne spopola altre. A Torino affluiscono, presentemente, dalle zone in cui sono state chiuse decine di fabbriche e dalle campagne, migliaia di braccia umane in cerca di occupazione. Quest'afflusso non si può digerire certo come un acquazzone. La città scricchiola sotto il peso del massivo inurbamento. Aumentano in modo esagerato i prezzi dei generi di consumo; i fitti salgono alle stelle mentre scarseggiano gli alloggi; i trasporti scoppiano.

Se confrontiamo quanto avviene a Torino con quanto si è verificato a Battipaglia ritroviamo operare alla base, in entrambi i casi, il medesimo processo economico, quello che i giornali chiamano impropriamente "ristrutturazione dell'economia". A Battipaglia le masse lavoratrici sono esplose, ridotte com'erano alla miseria e alla disoccupazione, in conseguenza degli spostamenti industriali o smobilitazioni. A Torino queste stesse masse soffrono, in modo altrettanto inaudito, gli effetti anti-sociali del parossistico accentramento industriale. La logica del profitto non conosce altre alternative, anche se per le belle facce toste non fa argomento nemmeno l'evidenza.

Ma Torino non è che il grande emporio della Fiat, il suo retroterra vitale. La Fiat è un colossale meccanismo di sfruttamento operaio. Negli ultimi tempi i ritmi di lavoro sono diventati così pesanti che gli operai non riescono a sopportarli. Spesso essi reagiscono a questa forma di "tortura" scappando dalla fabbrica. Ma ciò non è sempre possibile, specialmente per i nuovi arrivati, che sono quasi sempre destinati ai lavori più pesanti. Cosa possono fare questi "dannati alla catena" per difendersi contro l'usura fisica? A Questi "dannati" non resta altra scelta che opporsi agli alti ritmi, contrastare con ogni mezzo questi ritmi, sollevandosi contro il padrone, scavalcando i sindacalisti agenti dei padroni, manifestando la propria collera nei modi più elementari. La spremitura in fabbrica, e il depredamento fuori della fabbrica ad opera dei proprietari di case e degli speculatori commerciali alimentano negli strati più disagiati della classe operaia una avversione profonda contro il vigente ordinamento sociale, che non può mancare di manifestarsi in episodi violenti, in vere e proprie rivolte locali. Non c'è pertanto nulla di casuale o di "forzato" nei fatti del 3 luglio. Essi rappresentano l'ultimo, il più recente, anello della catena di reazioni operaie all'attuale processo di concentrazione capitalistico.

Questi avvenimenti, svolgendosi lungo la linea di quelli che li hanno preceduti, rivelano il costante accumularsi nella società italiana di sostanze infiammabili e l'esistenza nella classe operaia di un vasto potenziale di lotta, che aspetta di essere utilizzato appieno. Significa questo che ci troviamo vicino alla rivoluzione? No. Questo significa soltanto che ci sono le condizioni per lotte generalizzate del proletariato, che le forze rivoluzionarie possono utilizzare per preparare le masse sfruttate ai compiti della rivoluzione. Pertanto il compito pratico del presente è quello di dare slancio e ampiezza alla volontà di lotta rivelata da strati sempre più numerosi di operai, incanalandola verso obbiettivi comuni miranti a unificare e a creare l'unità di lotta, politica e rivoluzionaria della classe operaia.

"Operaisti" e rivoluzione

Se le recenti lotte operaie a Torino rivelano un limite, questo limite risiede nell'esaltazione della "spontaneità" nell'avversione preconcetta della lotta di partito e di sindacato: nel volere la rivoluzione con l'immaginazione. I gruppi operaisti (studenti-operai) che hanno svolto un'intensa attività di agitazione alla Fiat vogliono fare di questo stabilimento un museo operaio, una specie di terreno di coltura della lotta di classe, dagli stessi peraltro confinata al livello economico-produttivo. Noi tutti quanti dobbiamo opporci all'idea di questi gruppi che gli operai della Fiat costituiscano il punto di riferimento della classe operaia italiana, i detentori del più alto grado di coscienza e di maturità di classe. A quest'idea dobbiamo contrapporre l'analisi della base economica comune delle lotte operaie a Torino e nel resto d'Italia; l'analisi del carattere specifico di queste lotte in questa o quella fabbrica, in questa o quella regione; l'indicazione di precisi obbiettivi di lotta, respingendo il mito sul primato di coscienza degli operai di questa o quella fabbrica. La maturità o l'arretratezza di coscienza sociale non dipendono dalla grandezza del concentramento produttivo, ma dalla lotta di classe, in tutte le sue manifestazioni e nel suo complesso.

A coloro i quali esaltano la spontaneità e inneggiano all'"autogestione" delle lotte operaie dobbiamo rinfacciare la debolezza intrinseca della "spontaneità"; contrapponendo alla mancanza di obbiettivi, la lotta per obbiettivi prefissati; alla mancanza di organizzazione, la lotta organizzata; al ripudio della direzione esterna, l'attività direttrice di partito. Si può capire tutta l'importanza delle lotte spontanee solo quando se ne riconosce il limite interno, e si sa superare questo limite mediante l'attività cosciente, organizzata, di partito. È chiaro che noi non abbiamo alcun "pregiudizio burocratico" , sulla capacità di lotta della classe operaia. Le lotte spontanee sono molto importanti, non solo perché rappresentano una manifestazione evidente della decomposizione sociale, ma anche perché mettono a nudo meglio delle critiche teoriche, la funzione controrivoluzionaria degli opportunisti. Gli scioperi spontanei in certi reparti della Fiat e gli scontri ,di piazza del 3 luglio dimostrano che le centrali sindacali sono, non solo lontane dagli operai, ma indispensabili al padrone per il mantenimento della pace nell'azienda. Non sono quindi i rivoluzionari che possono sottovalutare l'importanza delle lotte spontanee. I rivoluzionari si battono perché le lotte spontanee non restino fine a se stesse, non si esauriscano in esplosioni isolate di collera, non si stemperino in una guerriglia industriale senza prospettiva politica, senza sbocco rivoluzionario. Essi non frenano le lotte, non calmano le masse; essi, invece, ne alimentano l'odio; si sforzano di educarle politicamente; cercano di incanalarne gli sforzi verso obbiettivi rivoluzionari, comunisti. Gli sfruttati debbono prendere coscienza che lottando contro i propri sfruttatori possono avere la meglio solo organizzandosi politicamente. La classe operaia raggiunge la propria effettiva autonomia soltanto quando la parte più avanzata di essa si organizza nel partito rivoluzionario.

L'"autogestione" delle lotte operaie è una fantasia studentesca. Per raccogliere, unire e generalizzare i risultati di queste lotte e necessaria un'organizzazione politica, un partito, che elabori consapevolmente, sistematicamente, permanentemente questi risultati e li proietti alla classe sotto forma di condensati teorici, di direttive pratiche, di slogans, di esortazioni e via dicendo. Le cosiddette "avanguardie interne" della classe operaia non possono costituire, al massimo, che una memoria istantanea, un'espressione esistenziale del movimento operaio.

Il fatto che partiti, che si qualificano operai, sono completamente borghesi non deve accecare fino al punto di misconoscere la necessità del partito come guida della lotta rivoluzionaria del proletariato. Così come la corruzione che impregna da cima a fondo, i burocrati sindacali, non deve portare al rifiuto del sindacato. L'operaio non deve disfarsi del sindacato come strumento di lotta e non deve svalutare la funzione del sindacato come mezzo di lotta nelle mani della classe operaia. I gruppi operaisti possono detestare i burocrati sindacali, ma non possono gettare via coi burocrati il sindacato. Senza l'unione, senza la più larga unione degli operai sul piano economico, senza forme immediate di aggruppamento, senza sindacati, non è possibile vincere nemmeno la concorrenza fra gli operai stessi, determinata dalla compra-vendita della forza-lavoro, ossia dalla legge del valore. Pertanto, nel condurre la lotta contro i dirigenti opportunisti, non bisogna contrapporre alla burocrazia sindacale la gestione operaia delle lotte, bensì alla strategia borghese delle centrali la strategia classista delle forze rivoluzionarie.

I nostri obbiettivi

Da oltre un anno gli Internazionalisti distribuiscono "Lotte Operaie" ai lavoratori della Fiat. Gli operai che ci leggono e molti di quelli che non ci leggono conoscono a sufficienza le nostre posizioni politiche e la nostra piattaforma sindacale. Burocrati dirigenti e operaisti anti-burocrati, pur partendo da posizioni opposte, giungono alla stessa conclusione: per essi le scadenze contrattuali di autunno costituiscono il giorno di fuoco della protesta operaia. Contro l'immagine della lotta "per appuntamento" o della "grande occasione", elaborata sofisticamente da burocrati e anti-burocrati, gli operai debbono sottolineare la necessità della lotta permanente e ribadirla coi fatti. Come hanno rotto nei fatti, con la lotta contro i ritmi e per gli aumenti salariali, i contratti in vigore; così debbono, proseguendo sulla linea di una crescente e generalizzata volontà di lotta, porre all'ordine del giorno, senza aspettare il "grande momento", rivendicazioni di fondo valevoli per la stragrande massa di lavoratori. Ecco quali obbiettivi debbono stare al centro di tutte le richieste operaie: 1°) riduzione a 36 ore della settimana lavorativa a parità di salario; 2°) abolizione completa, e non solo dell'obbligatorietà, dello straordinario; 3°) aumento del salario base del 50%, dato il limite basso e l'alto costo della vita; 4°) riconoscimento del salario minimo garantito di £ 125.000 mensili; 5°) riduzione di tutte le categorie a due con passaggio entro 6 mesi dalla 2a alla 1a.

Compagni, operai, battiamoci per questi obbiettivi; agitiamo, poniamo all'ordine del giorno questi obbiettivi; per creare così l'unita di lotta delle masse sfruttate; per spezzare così l'alleanza monopoli-aristocrazia operaia che si basa su richieste particolaristiche - premi, incentivi, cottimi, ecc. -; per gettare così le basi della riscossa rivoluzionaria del proletariato italiano.

Luglio 1969 COMMISSIONE OPERAIA CENTRALE.

RIVOLUZIONE COMUNISTA

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