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(8 Luglio 2019)
Non se n’è più parlato, ma venerdì dopo venerdì la gioventù algerina e anche i meno giovani fra loro hanno continuato a riversarsi in piazza e protestare contro un sistema che non sa trovare soluzioni alla crisi che l’attanaglia. Lo scorso venerdì di orgoglio - il ventesimo - ha visto tanti cittadini incontrarsi in un enorme centro commerciale della “Bianca” colorandola coi drappi nazionali, i propri abiti, i veli, i cori di una ribellione permanente, pacifica, testarda. Una rivolta, dopo la dipartita politica di Abdelaziz Bouteflika avvenuta il 2 aprile scorso, contro la lobby militare stretta attorno all’uomo che vuole salvare un sistema soggiogato alle stellette: Ahmed Gaïd Salah. Settantanovenne, elemento della vecchia guardia che sta tenendo in surplace un apparato che non sa dove andare, ma vuol tenere le mani sul potere. L’ultima sua mossa consiste nell’incarcerare chi nei venerdì di protesta scende in strada sventolando la bandiera nazionale che a suo dire verrebbe oltraggiata, come se essa appartenesse solo agli apparati dello Stato. Incurante del ridicolo e ricercatore di pretesti per lanciare colpi repressivi il generale ha fatto fermare decine di ragazzi che appunto agitavano quegli stendardi. Gli arresti sono stati effettuati da poliziotti, mentre a valutare la condotta dei manifestanti saranno dei giudici che hanno risposto e dovranno farlo seguendo un ordine considerato fuorilegge da maggioranza degli algerini. La popolazione lo definisce fuorilegge non solo perché non si riconosce nel ruolo che il Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate s’è assegnato, ma perché tutta la procedura attuata dai cascami del regime non è stata ratificata da alcuna istituzione ed è assolutamente illegale.
Insomma, gli algerini reclamano la piena giurisdizione del loro Paese, “Ridateci l’Algeria” è uno degli slogan più ripetuto da settimane. Lo gridano in tanti, sebbene nelle strade, com’è logico, scendano prevalentemente ragazzi del cosiddetto “Hirak” (il Movimento) che poi sono poco meno della metà della gente d’Algeria. Le statistiche indicano come il 45% della popolazione del Paese abbia un’età inferiore ai 25 anni. Costoro ovviamente non hanno conosciuto i momenti gloriosi della Liberazione, che proprio in questi giorni ha segnato il cinquantasettesimo anniversario (5 luglio 1962). Né le repressioni di fine anni Ottanta e soprattutto il decennio nero della guerra civile (1991-2002). Ma sono ragazzi che studiano la Storia, sia per l’elevata scolarizzazione (un giovane su quattro completa il percorso didattico), sia per la fierezza d’appartenere a un popolo che ha duramente lottato per ottenere una libertà, seppure presto scippata dai clan di potere. E questi due fattori rappresentano altrettanti problemi. Al percorso di studi non seguono opportunità di lavoro, tantoché quella gioventù vive la frustrazione della disoccupazione. Mentre la mancanza di occupazione è accresciuta da una totale assenza di programmazione economica che per un sessantennio ha lasciato la nazione avvinghiata al modello di “Stato redditiere”, foraggiato dalle risorse energetiche del sottosuolo. La casta politica s’è arricchita attorno a tale sistema che, però, non emancipa l’economia del Paese e soprattutto non redistribuisce la ricchezza attraverso una diversificazione e la creazione di posti di lavoro sia in settori produttivi sia nel terziario. I sedicenti padri della patria hanno soffocato quest’ultima, togliendo per decenni il presente ai concittadini e il futuro alle nuove generazioni. L’attuale lotta è fra chi dice basta e chi vuole perpetuare lo scempio.
8 luglio 2019
articolo pubblicato su enricocampofreda.blogspot.com
Enrico Campofreda
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