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Sul progetto di risoluzione del Consiglio d'Europa "contro i crimini del comunismo"

(14 Settembre 2005)

Al Presidente dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa Sig. Renè van der Linden

Spett. Sig. Presidente,

siamo venuti a conoscenza in questi giorni che il 13 settembre 2005 il Bureau dell'Assemblea discuterà un progetto di risoluzione sulla "necessità di una condanna internazionale dei crimini del comunismo", elaborato dalla Commissione politica del Consiglio, da sottoporre all'approvazione dell'Assemblea nella sua sessione dell' ottobre 2005. Nella stessa seduta verrà discussa contestualmente anche una risoluzione di "condanna di ogni apologia e giustificazione del nazismo".

Consideriamo grave e apertamente reazionaria tale iniziativa, resa ancora più indegna da tale contestualità. Protestiamo contro di essa, chiediamo che essa venga ritirata. Tanto più che essa si sviluppa in occasione del 60° anniversario della Liberazione dell'Europa e del mondo dal nazi-fascismo, resa possibile da una coalizione di forze di cui i comunisti furono componente essenziale.

Nel progetto di risoluzione si giunge ad affermare che "i crimini compiuti in nome del comunismo" furono anche "la conseguenza diretta della teoria della lotta di classe", "parte integrante di un'ideologia comunista che imponeva l'eliminazione delle persone considerate dannose per la costruzione di una nuova società"; che la "caduta dei regimi comunisti in Europa non è stata seguita da adeguate ricerche e dibattiti internazionali sui crimini commessi in nome dell'ideologia comunista" e che "tali crimini non sono stati condannati dalla comunità internazionale così come è stato fatto per gli orribili crimini commessi in nome del Nazismo". Per cui "ne è conseguito che l'ostilità verso i crimini del comunismo è assai debole", al punto che vi sono "partiti comunisti che sono legali e operano in alcuni paesi nonostante essi non abbiano preso apertamente le distanze" da quei crimini. Ed esistono pure "regimi comunisti tuttora operanti dove tali crimini continuano a compiersi".

La principale fonte citata dagli allegati al progetto di risoluzione è il "Libro nero del comunismo", il cui principale autore e curatore, Stéphane Courtois, è uno dei tre relatori alla Commissione che ha elaborato il progetto di risoluzione, insieme all'ex dissidente sovietico Vladimir Bukovsky e al Sig. Toomas Hiio, Presidente estone di una "Fondazione per la ricerca dei crimini contro l'umanità".

Al progetto di risoluzione viene allegato un memorandum che, citando il "libro nero del comunismo", giunge tra l'altro a conteggiare in "un milione" le persone "uccise dal regime comunista in Vietnam" (sic), considera "similari" i crimini compiuti da comunismo e nazismo, esprime preoccupazione per "una sorta di nostalgia del comunismo ancora viva in alcuni paesi, il che crea il pericolo che i comunisti possano prendere il potere in questo o quel Paese".

Al progetto di risoluzione viene pure allegato un significativo testo di "raccomandazioni" in cui si auspica – tra l'altro - che il Consiglio d'Europa "promuova una campagna pubblica europea sui crimini del comunismo, che comporti anche una revisione dei libri di scuola"; e chiede che "vengano rimossi, dove ancora non è stato fatto, monumenti, nomi di vie e ogni altro simbolo che possa avere una qualche connessione coi crimini commessi in nome del comunismo".

Respingiamo tale approccio, che suscita in noi indignazione politica e morale. Sappiamo che essere comunisti oggi è difficile, anche perché più che mai violento è l'attacco alle nostre idee, alle nostre aspirazioni, alla nostra storia. Il revisionismo storico, che punta a criminalizzare l'idea stessa della lotta di classe, stravolge l'intera esperienza del movimento rivoluzionario operaio e comunista presentandola come una sequenza di violenze e di fallimenti, come un cumulo di macerie. Contro le rivoluzioni proletarie e la stessa Resistenza antifascista vengono intentati processi sommari con condanne senza appello.

Non ci riconosciamo in questi bilanci, che riteniamo storicamente e politicamente errati. Il movimento comunista ha dato forza alla rivendicazione dei diritti fondamentali delle masse lavoratrici e si è sempre schierato contro la guerra, per la pace e per la giustizia sociale. L'insegnamento dei suoi più grandi dirigenti del Novecento – da Lenin a Gramsci – è ancora un contributo prezioso per l'analisi critica della società capitalistica. Le grandi rivoluzioni che si sono susseguite dopo il 1917, hanno liberato sterminate masse di popolo e inaugurato una nuova epoca storica, nella quale si colloca la nostra esperienza di comunisti. La Resistenza antifascista – nella quale furono in prima fila i partigiani comunisti – ha permesso al nostro paese di riconquistare dignità e democrazia dopo l'infame vicenda del fascismo, delle sue leggi razziste e della guerra al fianco di Hitler.

Di questa storia siamo orgogliosi. Non ne dimentichiamo limiti e pagine buie. Pensiamo che occorra, certo, procedere nella ricerca e nella riflessione. Ma rivisitare la storia non significa rimuoverla. Occorre evitare tanto difese acritiche quanto atteggiamenti liquidatori.

È necessario porre un argine al revisionismo storico che cancella o riduce le colpe della borghesia e del capitalismo e criminalizza la storia del movimento operaio e comunista. Finché il revisionismo storico sarà egemone, il capitalismo riuscirà a nascondere le proprie responsabilità per la maggior parte delle pagine più oscure della storia moderna e contemporanea (la tratta degli schiavi, la miseria delle masse proletarizzate, i genocidi del colonialismo, le guerre mondiali, il nazifascismo e – oggi – la guerra preventiva e permanente).

Ciò di cui abbiamo bisogno è un bilancio critico della storia del movimento operaio in 150 anni di lotta di classe. La critica netta degli errori e dei processi degenerativi che hanno macchiato alcuni momenti della storia del movimento comunista e del «socialismo reale» fa irreversibilmente parte del nostro patrimonio culturale, politico e morale. Siamo consapevoli della loro portata e delle gravi conseguenze che ne sono derivate anche per chi non ha disertato la lotta nel nome del comunismo. Avvertiamo ogni giorno l'esigenza di capire meglio ciò che è avvenuto, ciò che non ha funzionato, ciò che ha infine determinato la sconfitta di grandi esperienze storiche. Ma il necessario riconoscimento delle pagine buie della storia del movimento operaio e comunista non ci impedisce di comprendere che oggi il pericolo maggiore è di fuoriuscire da questa storia.

A tale rischio rispondiamo rivendicando la storia del movimento operaio e comunista, riconoscendola come la nostra storia. Ricordarne i limiti non implica negarne i successi. L'Ottobre bolscevico e la costruzione dell'Urss, la rivoluzione cinese, quella vietnamita e quella cubana – per limitarci ad alcune tra le più importanti esperienze del movimento comunista – hanno consentito la liberazione di sterminate masse di donne e di uomini da condizioni di fame e di miseria, e hanno rappresentato il tentativo di costruire società alternative al capitalismo e orientate verso il socialismo. L'importanza di queste esperienze non si è peraltro esaurita all'interno dei Paesi che furono teatro di processi rivoluzionari.

Del resto, a chi nutrisse dubbi sull'aspetto prevalente dell'esperienza rivoluzionaria del movimento comunista dovrebbe bastare riflettere sulle conseguenze mondiali della scomparsa dell'Unione sovietica. Nei quindici anni che ci separano dalla caduta del Muro di Berlino, il mondo ha conosciuto un continuo radicalizzarsi dei conflitti internazionali e interetnici, e ha assistito al ritorno della guerra nella cronaca quotidiana, alla ricolonizzazione di interi Paesi, al dilagare delle devastanti conseguenze sociali (povertà, schiavitù, lavoro minorile, precarietà, epidemie) di un capitalismo selvaggio e senza regole, al pesante arretramento del movimento operaio in tutto il mondo occidentale e al peggioramento della condizione di vita e di lavoro delle donne. La storia dell'umanità si troverebbe oggi a uno stadio ben più arretrato se le rivoluzioni socialiste del Novecento non avessero segnato vaste aree del mondo.

10 settembre 2005

"Essere comunisti" Area politica del Partito della Rifondazione Comunista (Italia)

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