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UNA CRISI DI GOVERNO
E LA SUA BORGHESIA

(2 Settembre 2019)

prospettiva marxista

Quello che è andato in scena con il dibattito in Senato sulla crisi di Governo e nei giorni seguenti è stato un fallimentare trionfo. Ci si poteva attendere, considerato il momento e la sede istituzionale, un cambio almeno di toni e di registri rispetto all’ormai abituale corso della campagna elettorale permanente.
E invece il personale politico della borghesia italiana ha addirittura rilanciato, offrendo uno spettacolo a suo modo persino interessante e meritevole di riflessione. Dagli austeri scranni della Camera Alta il premier dimissionario Giuseppe Conte, in un discorso da più parti salutato per una ormai inusuale ricercatezza retorica, ha evocato quella summa di trito qualunquismo che sono le «persone perbene» (attendiamo con pervicace fiducia l’arrivo di un partito o di una forza politica che rifiuti apertamente la rappresentanza di questa, purtroppo universale, categoria). Il vicepremier e ministro degli Interni Matteo Salvini non ha voluto rischiare di uscire dal ruolo che tanta fortuna gli sta portando nei sondaggi e sui social, e si è lanciato in un comiziaccio in cui è stato persino sganciato l’ordigno definitivo nelle dispute da bar, la mitologica formula autoassolutrice che non si nega nemmeno al più disperato “bevitore” di birilli di una sala biliardi di provincia: «Chi fa sbaglia». E – come insegna il Sommo poeta – più non dimandare.
Il dibattito ha visto poi il conclamato ritorno alla ribalta di Matteo Renzi, con il suo tipico tourbillon di battutine. I lavoratori hanno già potuto sperimentare quali manovre, provvedimenti e interessi si annidano dietro il ghigno democratico del grande fautore del Jobs Act.
Nel mentre, l’altro vicepremier e ministro del Lavoro, il grillino Luigi Di Maio, abitualmente sprizzante effervescenza anti-casta da tutti i pori, appariva come una mesta statua di sale. D’altronde il capo politico (sic) del Movimento era stato da poco azzerato di fatto dall’intervento del capocomico fondatore, che ha convocato i colonnelli pentastellati in villa e dettato la linea nel momento di crisi governativa. Le crisi, anche quelle piccole e un po’ grottesche, sono comunque un momento della verità.
Una menzione speciale merita la deputata Pd Silvia Fregolent, che il giorno dopo il dibattito in Senato, tutta tesa a ostentare senso dello Stato e nobilissimo profilo istituzionale, ha proclamato ai microfoni di Radio Radicale: «Amo le istituzioni». Tutte! Perché l’amore, quello vero, disdegna aridi distinguo e pensose differenziazioni. La passione istituzionale della parlamentare abbraccia l’enorme impalcatura delle sovrastrutture politiche della società borghese (solo italiana?), dal ministero delle Infrastrutture e Trasporti ai servizi segreti, dalla Consob all’Agenzia delle entrate. Speriamo che si contenga in un amore platonico.
Nel momento in cui la campagna elettorale permanente toccava così un ennesimo picco, si manifestava alla luce del sole la pochezza e l’autentica insipienza politica di un personale capace di gettarsi a corpo morto nella conquista di like, sondaggi e persino voti, ma capace di mosse clamorosamente inadeguate su altri piani, su altre dimensioni del confronto politico borghese. Boss riconosciuti nella gestione delle più spregiudicate macchine del consenso, come il leader leghista, hanno dovuto penosamente subire le contromosse di soggetti politici molto meno spendibili nell’arena dei social, ma ben radicati nelle profondità del potere politico dello Stato borghese.
Il trionfo in diretta televisiva della campagna elettorale permanente ha attestato clamorosamente come quanto poco questa forma di attività sia formativa in termini di quadri politici che possano misurarsi adeguatamente con i nodi, le sfide strategiche della borghesia italiana. Certo, a ben vedere la contraddizione è ancora più strutturale, più radicale. La pochezza del ceto politico dirigente non può che riflettere in ultima analisi la condizione complessiva della borghesia, della classe a cui non può che fare riferimento. Ben difficile è slegare le misere prove della sfera politica dal procedere di un declino della borghesia italiana, di un costante ridefinirsi al ribasso dei suoi equilibri e della sua fisionomia complessiva. Ma, al di là del fatto che una borghesia ha in linea di massima la classe politica che merita, rimangono sul tavolo questioni che comunque il capitalismo italiano non può ignorare. Ed è su questo piano che il tema del livello del quadro politico vira verso il drammatico. Basti pensare al nulla – ad essere generosi – prodotto dal sedicente Governo del cambiamento in termini di ridisegno degli assetti europei in senso favorevole all’imperialismo italiano o all’ormai conclamata perdita di terreno nella cruciale partita libica.
Può apparire paradossale, ed è l’apparente paradossalità del procedere dialettico dei grandi processi storici, ma a questo scadimento della sfera politica borghese ha contribuito l’assenza di quel fermento, di quel formidabile sprone, di quella fonte di conflitto, energia e vitalità per l’intero corpo sociale che è la lotta di classe del proletariato. Un fattore che, prima di evolvere nell’attacco rivoluzionario al potere borghese, attraversa fasi in cui trascina persino la classe dominante lungo un sentiero costellato di necessità di innovazione, di innalzamento del proprio livello politico (modalità di inganno e di oppressione dei lavoratori ovviamente comprese).
Oggi non possiamo contare su una forza di classe, su un’energia di massa del proletariato con la quale far pagare alla borghesia un prezzo, in termini di rapporti di forza tra classi, per il proprio scadimento politico. Ma possiamo e dobbiamo occupare gli spazi che l’arretramento qualitativo della politica borghese concede. Quegli spazi entro i quali poter agire con più forza e incisività nel proporre e indicare il marxismo, la sua profondità di pensiero, la sua cristallina coerenza teorica, la sua forza militante, a chi si sta misurando con i grandi interrogativi, le insopprimibili esigenze di trasformazione sociale che la politica borghese oggi più che mai è inadeguata ad affrontare con serietà ed efficacia. Se lavoreremo bene in questi spazi, un domani la classe dominante dovrà rimpiangere amaramente di aver lasciato alla militanza marxista il compito, arduo e grandioso, di tenere alta la fiaccola dell’impegno politico in mezzo alle sordide ombre di una degradante civiltà borghese.

Prospettiva Marxista

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