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(14 Novembre 2010) Enzo Apicella

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Il governo Conte-bis è da combattere da subito, senza sconti

Prima parte

(6 Ottobre 2019)

Questo documento per la costituzione di un fronte di lotta anti-capitalista contro l’asse padronato-governo Conte bis è stato presentato all’assemblea di Napoli del 29 settembre dai compagni e dalle compagne che lavorano alla formazione della Tendenza internazionalista rivoluzionaria.

cuneo rosso, gcr e compagnia bella 1

La fine del governo Lega-Cinquestelle e la sua sostituzione con il Conte-bis Pd-Cinquestelle danno la misura di quanto è complicato per i capitalisti italiani trovare una sintesi dei propri interessi, e rappresentanti politici adeguati a tutelarli. Nonostante ciò, abbiamo di fronte un nuovo governo dei padroni intenzionato a servire con la massima cura il sistema delle grandi imprese e a consolidare il carattere sempre più autoritario della Terza Repubblica. Un governo fragile ma insidioso, da combattere subito, senza sconti. La momentanea estromissione della Lega di Salvini non deve ingannare. Invece, in quel po’ di movimento che è stato in campo contro il precedente governo, c’è più di un’esitazione ad agire. Tra i lavoratori c’è molta confusione, e forse anche qualche attesa. Per chi come noi punta tutto sulla ripresa dell’azione autonoma della classe lavoratrice e sullo sviluppo dei movimenti sociali in senso anti-capitalista e internazionalista, il quadro si è di certo complicato. Tuttavia le contraddizioni di fondo sono lì, pronte ad esplodere, senza preavviso. Se si ha chiaro dove siamo e dove stiamo andando, spazi e temi d’intervento non mancano.

Proviamo a vederlo, rispondendo a tre questioni:

perché è caduto il governo Lega-Cinquestelle?
che tipo di governo è il Conte-2?
che fare in questo nuovo contesto politico?

Perché è caduto il governo Lega-Cinquestelle?


Se dicessimo: è caduto per le proteste di piazza, ci lusingheremmo. Certo, le proteste di piazza non sono mancate, da Ventimiglia a Roma-27 ottobre (manifestazione del SI Cobas contro il decreto sicurezza), dalle lotte No Tav alla calda Verona di Non-una-di-meno. Ne siamo stati parte, e le rivendichiamo in pieno. Ma va riconosciuto che come opposizione di piazza e di classe, non abbiamo avuto né la forza, né la determinazione, né l’unità necessarie per mettere spalle al muro Lega&Cinquestelle. Il governo Salvini-Di Maio è caduto fondamentalmente a causa dei conflitti tra poteri capitalistici, internazionali e interni, e tra le bande dei loro portaborse politici – conflitti legati all’entrata dell’economia e della politica mondiale in un ciclo neo-protezionista, in cui si sta intensificando la guerra di tutti contro tutti. Questo è lo sfondo e il sottosuolo di tutto.

Lasciamo quindi alle cronachette giornalistiche le chiacchiere morte sul Papeete Beach, i mojito, le cubiste che cantano l’inno di Mameli e la querelle se Salvini è stato impallinato o si è “suicidato”. E veniamo al sodo. L’esecutivo appena caduto nacque dopo uno scontro tra Stati Uniti e Germania/UE vinto ai punti da Washington. Il giubilo di Bannon per il neonato fu allora giustificato: “Avete dato un colpo al cuore della bestia dell’Europa”. Mattarella, ultra-atlantista ma euro-atlantista, convinto che l’interesse del capitalismo nazionale si tutela meglio contrattando con gli Stati Uniti dentro l’UE che in solitario, limitò i danni (nel rapporto Italia-UE) imponendo suoi uomini come pedagoghi e sentinelle per istruire i pupetti a 5S appena entrati nelle stanze dei bottoni e contenere la demagogia leghista. Ma nell’ultimo anno Trump ha colpito sotto la cintola così duro l’economia tedesca/europea con i suoi dazi e ha così tanto armeggiato per far deflagrare la Brexit sotto i palazzi dell’UE, che la UE ha dovuto difendersi. E l’ha fatto. Alternando sberle e aperture, i poteri forti europei hanno prima ridicolizzato, poi domato – non c’è voluto molto – il “sovranismo” da avanspettacolo dell’accoppiata Salvini-Di Maio. Ora sono ben contenti di aver visto nascere il Conte-2, atlantista come il Conte-1 – la NATO non si discute, si ama! – però più allineato all’UE. Il secondo round della diciottesima legislatura se l’è aggiudicato ai punti l’asse Parigi-Berlino. La benedizione di Trump a Giuseppe Conte è stata di circostanza, più che un augurio al vecchio-nuovo premier, è suonato un monito a Salvini perché la faccia finita con i suoi spericolati flirt con Mosca. La contesa tra gli avvoltoi di Washington e quelli della UE, è ovvio, continua.

Invece i principali fattori interni che hanno portato alla caduta del governo Lega-Cinquestelle sono stati da un lato la modestia dei suoi risultati in termini di spazi conquistati al capitale nazionale, e dall’altro l’insostenibilità delle sue promesse “populiste”. L’anno 2019, che doveva essere bellissimo (parole di Conte), sarà un anno di totale stagnazione dell’economia italiana. A livello internazionale, nonostante le sue roboanti declamazioni, il fu-governo non ha aperto alcun importante nuovo canale preferenziale per le merci e i capitali di “casa nostra”. L’Italia ha perso peso in Europa. Ne ha perso pure nei confronti di Washington, senza guadagnarne nei rapporti con Pechino, Mosca, Teheran e il mondo arabo. Il malumore padronale è via via salito proprio nelle regioni di insediamento storico della Lega, che dagli eccessi polemici anti-UE hanno visto messe a rischio le relazioni con il loro primo mercato di sbocco, senza peraltro che la totale autonomia, pretesa e promessa, facesse un solo passo avanti – “la grande colpa di Salvini è non aver fatto l’autonomia”, questa la sentenza di condanna del presidente degli industriali vicentini. Sul fronte della guerra agli emigranti/immigrati, per i padroni e le banche, invece, andava tutto o.k. I decreti-sicurezza 1 e 2, con il loro giro di vite sui picchetti, gli scioperi, le occupazioni di case, le manifestazioni? Proprio quello che ci voleva. È stato approfondito il solco tra lavoratori immigrati e autoctoni, sono state apprestate misure utili per stroncare sul nascere le lotte. Bravo Salvini!

Ma non di solo razzismo, super-sfruttamento del lavoro immigrato e repressione si nutre il grande capitale. In Italia un suo grosso problema è il rapporto, e il rapporto dello stato, con la moltitudine dei piccoli accumulatori. Su questo versante l’agitazione “populista” sempre più incontrollata di Lega e Cinquestelle rischiava di produrre danni. Bene il fisco amico (dei padroni). Bene i condoni più o meno tombali. Ma senza esagerare! Senza “gettare sabbia negli occhi dei cittadini”, per dirla con l’ex-direttore del Corriere della sera De Bortoli. Perché se attraverso la flat tax e un’infinità di agevolazioni, attuate o ventilate, alle piccole e piccolissime imprese, vecchie e nuove, si fa assaporare ai milioni di Brambilla/Esposito il dolce gusto di attività totalmente e perennemente esentasse al livello delle intoccabili transnazionali del web, allora il gioco diventa pericoloso. Perché il gioco del “populismo” impone di portare un qualche utile, sia pur minimissimo, a tutti gli strati “popolari”, e non solo ai piccoli-medi accumulatori. Dopotutto il governo Lega-Cinquestelle un’investitura (con la scheda) l’ha ricevuta anche da parte di consistenti settori di operai e di lavoratori. Che sono stati ripagati con misure di modesta entità (reddito di sudditanza, quota-100) spacciate e sentite, però, come l’antipasto di altre restituzioni che sarebbero arrivate in seguito. Ma se, come si era spinto a fare il Salvini balneare, si promettono mari e monti a destra e a manca con una finanziaria da 50 miliardi e il largo sforamento dei tetti europei alla spesa statale con tanto di vaffa all’UE, allora si piscia fuori dal vaso [1].

Con l’avvicinarsi della recessione e con il disordinato moltiplicarsi di tensioni tra l’Italia e l’UE, il rischio che il grande padronato ha annusato è stato quello di un possibile effetto boomerang delle schiassate legastellate. Dovendo mettere in agenda nuovi sacrifici e la prevedibile riduzione dei margini di concessione all’insieme degli “strati popolari”, non è infatti sensato, anzi è imprudente, eccitarne le aspettative. Fin che si sparacchia alla maniera dei 5S contro la casta dei parlamentari presentando la loro riduzione come l’alba di un mondo da favola, ai poteri forti può far comodo. Tutt’altra cosa è prospettare un esentasse illimitato per commercianti, padroncini, artigiani, professionisti, specialisti incalliti del sommerso, affaristi di ogni risma, etc., e ventilare al tempo stesso l’incremento dei salari minimi e il taglio dei prelievi fiscali sui salari. Dove trovare le risorse necessarie in un contesto di stagnazione? come sostenere l’inevitabile scontro con l’UE e i mercati globali?

Confindustria, Bankitalia, Generali, Unicredit, Enel, etc. non hanno deciso a tavolino di far cadere il governo Lega-Cinquestelle. L’hanno semplicemente lasciato cadere, senza peraltro saper e poter imporre in pieno il loro volere ai due soci sempre più litigiosi. Del resto la classe capitalistica italiana non ha oggi un suo volere unitario centralizzato – e anche questo rende la situazione così confusa sul piano politico. È essa stessa divisa tra proiezioni verso gli Usa, accorpamento all’UE e debolissimi conati di autonomia; tra blocco capitalistico padano, conflittuale al proprio interno, e potenti mafie capitalistiche di origini sudiste. Diviso al suo vertice, frastagliatissimo nella sua base micro-imprenditoriale dove dominano pulsioni corporative, territoriali, sfrenatamente anarco-individualiste fino alla rivendicata illegalità. Alla borghesia italiana manca, poi, dal 1992 un partito organico paragonabile alla Dc, e sono andati in crisi i due soli partiti (Forza Italia e Pd) che per qualche tempo ne avevano fatto le veci. L’improvvisa, “pazza” crisi di agosto è il risultato di questo disordine, che riflette e amplifica il caos montante a livello internazionale. Con un’accorta regìa, Mattarella ha imposto la rapida soluzione della crisi di governo con un cambio di alleanza. Facendo emergere così che il Quirinale, in stretto collegamento con gli alti burocrati inamovibili dei ministeri, la polizia, i carabinieri, l’esercito, la magistratura, è oggi il solo punto di equilibrio del sistema a fronte di un intrico di poteri minori in furiosa contesa tra loro. I governi passano, lo stato resta (fin che non lo butteremo giù). Lo “stato profondo”? Lo stato. Lo stato del capitale.

Salvini sbraita: il Conte-2 è nato a Parigi, Berlino, Bruxelles. Vergogna, vi siete venduti allo straniero! Senonché il Salvini che urla contro l’asservimento alle potenze straniere, è lo stesso che ha cercato da anni spasmodicamente, senza fortuna, di farsi un selfie, che diavolo: un selfie!, accanto a Trump. Lo stesso che ha provato a trovare una sponda, e raccattare qualche milionata di euro, a Mosca. Lo stesso che in questi giorni non ha battuto ciglio davanti al trasferimento della sede-base di Mediaset da Milano ad Amsterdam, come non battè ciglio davanti all’analogo trasferimento di FCA. Lo stesso che mentre la borsa di Milano cadeva nelle mani di tre fondi speculativi yankee e veniva assorbita dalla borsa di Londra, stava sgranando il rosario. Lo stesso che mentre le multinazionali francesi, britanniche, statunitensi, spagnole si accaparravano i 3/4 della pregiata e storica industria alimentare italiana con epicentro nella sua Padania, dormiva della grossa – non sono altrettante cessioni di “sovranità”? Un sovranista da barzelletta, insomma – anche sotto questo aspetto il paragone con Mussolini e il fascismo non regge. Allora il capitalismo nazionale era in ascesa, e per questo osava pretendere per sé un posto al sole anche a costo di scatenare una guerra mondiale; ora, dopo decenni di discesa, non va oltre la scaramuccia verbale e si accontenta di un posticino a tavola, al banchetto dei “grandi”.

Senza dire che l’UE è tanto esterna quanto, anche, interna all’Italia, al capitalismo di “casa nostra”. Con la sua industria, la sua finanza, la sua diplomazia, il suo sistema universitario e quant’altro, l’Italia è UE. Gran parte della sua presenza e forza sui mercati internazionali è dentro il perimetro dell’UE. Il 57,5% dell’export italiano è verso gli altri paesi UE. Lo sa molto bene l’industria del Nord che trema vedendo arrivare la recessione in Germania. L’Italia, il capitale made in Italy non ha la potenza, la centralizzazione di quello tedesco o francese. Subisce e soffre, storicamente, la loro maggiore forza secondo le leggi brute e immodificabili dei rapporti di forza tra capitali e capitalismi “nazionali”. Né più né meno di come il Sud Italia soffre da centocinquant’anni per le conseguenze dello sviluppo combinato e disuguale del capitalismo nazionale, che ha costretto il più dinamico capitale del Sud a specializzarsi nelle attività malavitose. La pagliaccesca, inconcludente agitazione anti-UE di Salvini – che ha ingoiato senza fiatare i diktat di Bruxelles sulla finanziaria e sugli aggiustamenti di luglio 2019 – non ha trovato alleati stabili disposti realmente a far fronte con lui né a Parigi né a Budapest né a Vienna. Tanto meno in Germania dove Alternative für Deutschland è aggressiva contro tutti quelli, che “vivono al di sopra delle loro possibilità”, gli italiani per primi, e pretendono poi di accollare i loro debiti ai tedeschi. A fronte di proclami “sovranisti” molto rumorosi, risultati contabili magri. E i padroni, si sa, non sono sentimentali.

Insomma, l’irresistibile ascesa della Lega-Salvini è stata minata da forze esterne e da contraddizioni interne alla situazione italiana, che si riflettono anche dentro la Lega, in cui convivono almeno tre diverse politiche economiche[2]. Sullo sfondo di queste contraddizioni c’è il tentativo di Salvini di fare della Lega Nord un partito nazionale: secondo il suo collega di partito Maroni un tentativo fallito perché “ci sono due Italie”, e non si può “servirle” entrambe. Le fibrillazioni interne alla Lega sono in effetti cresciute via via che è risultato chiaro che i potentati meridionali e alcuni ministeri erano in grado di impedire l’autonomia pretesa da Veneto e Lombardia. Salvini ha cercato di tenerle a bada con una fuga in avanti propagandistica, esponendosi così alle manovre esterne (von der Leyen, Pd, etc.). E alla fine il governo è saltato per aria. Interessa poco se sia stato astuto o ingenuo nel rivendicare per sé i pieni poteri, e aprire la crisi. Ciò che conta è il risultato, e le contraddizioni che l’hanno prodotto.

Che tipo di governo è il Conte-2?


Molti immigrati e i lavoratori e i giovani che non tifano per Lega&Cinquestelle coltivando ancora qualche fiducia nella sinistra, hanno tirato un respiro di sollievo per l’estromissione di Salvini dal governo. È comprensibile. Ma dal punto di vista dei bisogni dei precari, degli operai, dei proletari immigrati, delle donne in movimento, il Conte-2 non sarà in nulla migliore del governo precedente. È un classico governo dei padroni, nato per “tenere in ordine i conti” dello stato (dei padroni), raffreddare le tensioni con l’Europa (dei padroni), rassicurare i mercati (dei capitali).

Nonostante il sostegno dell’UE, della BCE e dei mercati finanziari che gli hanno fatto un grosso regalo con la discesa dello spread, nonostante il patrocinio del Quirinale, il nuovo governo Pd-Cinquestelle nasce fragile. È frutto di uno stato di necessità (la volontà di evitare le elezioni), tra due alleati riluttanti, percorsi da fratture interne, che sono in contraddizione su tante questioni di rilievo e si fidano poco o nulla l’uno dell’altro. Ed è destinato a camminare sul filo del rasoio anche per le tante incognite di una situazione internazionale quanto mai instabile.

La navigazione del Conte-2 inizia quindi nel segno dell’incertezza, per ragioni ben più corpose dei franchi tiratori in parlamento e degli agguati della nuova cosca-Renzi, che certo non mancheranno. I suoi margini di manovra sono molto limitati. Sia per le regole di bilancio rigoriste dell’UE, che al più verranno un po’ allentate, sia per i pesanti ritardi accumulati dal capitale made in Italy nei settori di punta dell’innovazione tecnologica, nelle infrastrutture, nella funzionalità degli apparati statali – che ne ostacolano la competitività sul mercato mondiale e spingono il sistema-Italia, in cronico deficit di investimenti, a puntare le proprie carte sull’intensificazione dello sfruttamento del lavoro e la precarietà strutturale più spinta. Quella che si prospetta è perciò una politica economica in larga continuità con il governo precedente, più sbilanciata ancora verso gli interessi del grande capitale. La “flessibilità” che sarà richiesta a Bruxelles riguarderà infatti gli investimenti, la spesa statale a sostegno del “capitalismo verde”, non la spesa sociale. Sulla spesa sociale dice tutto, in controluce, l’inquietante assicurazione di Conte: “non smantelleremo il welfare”…

Questo non significa che il governo Pd-5S sarà immediatamente un governo lacrime e sangue a senso unico contro i proletari. Dal momento che con il governo precedente i ceti medi accumulativi hanno fatto bingo; e dal momento che nasce con un consenso popolare assai ridotto; è possibile che il Conte-bis faccia qualche piccola concessione ai salariati per cercare di allargare questo consenso. I due ambiti di intervento per il 2020 sembrano essere il taglio del cuneo fiscale “a favore del lavoro” e gli asili nido. Dovrebbe slittare, invece, l’introduzione del salario minimo. La realtà è che giorno dopo giorno le promesse contenute nel libro dei sogni esposto dal trasformista Conte e dai sostenitori del neonato “governo di svolta” si stanno ridimensionando. Non a caso il ministro dell’economia Gualtieri prospetta una riduzione delle tasse spalmata nell’arco di un triennio e non si dà più per certo neppure il blocco degli aumenti dell’Iva. E però, se la crisi a livello internazionale non precipiterà nelle prossime settimane, nella finanziaria di fine anno una o due bandierine da sventolare davanti al “popolo” dei salariati per distrarlo da altri abbondanti prelievi di sangue, ci potrebbero essere.

Costituzionalmente fragile, dalla durata incerta, a maggior ragione dopo la scissione nel Pd e tanto più se dovesse esserci per davvero una scissione dei 5S, il governo Conte-bis è però insidioso per la classe lavoratrice e i movimenti di lotta. Perché gode del sostegno subalterno dei bonzi di Cgil-Cisl-Uil, impegnati a garantire la prosecuzione della mortifera “pace sociale” attuale in cambio della riapertura di qualche tavolo di concertazione, di un mini-taglio del cuneo fiscale e di nuove norme che colpiscano il sindacalismo militante. E la stessa cosa vale per tutta la sinistra istituzionale, da SI al “Manifesto”: ci ha salvati dal fascismo incombente, e tanto basta (vecchia brutta storia, questa dei fronti democratici antifascisti!). Il Conte-bis, inoltre, è in grado di gettare degli ami verso le proteste ecologiste con misure di facciata tipo eco-tasse contro specifiche forme di inquinamento e sgravi fiscali speciali per le aziende “verdi”. Può farlo anche verso la parte più istituzionale del movimento femminista chiudendo nel cassetto l’odiata proposta di legge Pillon e spendendo degli spiccioli per un po’ di asili-nido pubblici o per appaltarne altri ai privati. Anche sul terreno delle politiche migratorie, nella sostanziale continuità con i decreti-Minniti e i decreti-sicurezza vanto di Salvini, qualche ritocco potrebbe esserci: con una modesta ripresa del sistema Sprar e un accordo di massima (non facile da raggiungere, comunque) per la spartizione dei richiedenti asilo con gli altri paesi europei. Un cambiamento è già avvertibile nel linguaggio e nelle forme esteriori, con l’evidente intento di dividere il mondo degl’immigrati e ottenere il plauso di quanti nella gerarchia e nell’associazionismo cattolico hanno remato contro Salvini. Neppure l’ombra, però, di una svolta rispetto alla politica migratoria restrittiva, repressiva e criminalizzante verso gli immigrati del precedente governo. Tant’è che Di Maio già annuncia un piano-espulsioni.

Se riuscirà a rafforzare la “pace sociale” nelle fabbriche, obiettivo primo del famigerato “Patto della fabbrica” del marzo 2018 tra Confindustria e Cgil-Cisl-Uil; se riuscirà a scoraggiare dallo scendere nelle piazze almeno parte di quel che resta del sindacalismo di base, del movimento delle donne e dei giovani sensibili alle tematiche ambientaliste; il Conte-2 potrà durare un po’. E prepararsi ad attacchi frontali contro la classe lavoratrice e i movimenti sociali di lotta, che al momento non è in condizioni di fare. Per la borghesia, si tratta di una soluzione provvisoria. Si procede a vista, in una sorta di pantano. Anche se sono evidenti le manovre in corso per la piena normalizzazione del M5S, già avvenuta per quello che concerne il giuramento di fedeltà all’UE, e per semplificare l’attuale quadro politico iper-frammentato con la formazione di due blocchi di centro-destra (intorno a una Lega divenuta “più responsabile”) e di centro-sinistra (dove però manca il perno). Per il momento, l’assenza di iniziativa della classe lavoratrice non mette fretta alla folla di figuranti senza qualità che sgomitano per contendersi l’investitura dei grandi poteri da un lato, del “popolo” degli elettori dall’altro.

Nonostante la scoppola subìta, il più accreditato tra loro resta Salvini. Ha dalla sua il vantaggio di avere sfondato con la campagna di guerra contro gli immigrati in una fetta non piccola della società. E la sicurezza che la politica economica del nuovo governo non potrà accontentare le brame dello storico zoccolo duro della forza d’urto leghista, i padroncini e commercianti padani che già stavano leccandosi i baffi per la flat tax al 15%, l’uso illimitato dei contanti e la promessa di un condono fiscale permanente a prescindere. A Salvini è ben presente la congenita debolezza del Conte-bis, e punta ad accrescerla nelle prossime elezioni regionali e con iniziative di piazza. Qui cominciano i problemi. Perché nell’affollato raduno di Pontida più che un movimento nazionale e nazionalista, si è visto il vecchio “popolo” padanista e regionalista, con tanto di gara tra Lombardia e Veneto a chi c’ha lo striscione più lungo, e striscioni personalizzati a lode di Zaia. Il “Siamo pronti a fare la rivoluzione” (se non ci danno l’autonomia totale) del governatore veneto, sempre cauto, dà la misura di un’insofferenza che coinvolge il capo, che di tutto ha parlato salvo che dell’autonomia del Nord. E comincia a temere perdite di consenso al Sud nelle cerchie dei governativi per vocazione e dei circuiti para-mafiosi che si erano radunati sotto il suo mantello di ministro degli interni per avere protezione. L’opposizione della Lega, o delle Leghe, al Conte-bis batte su più tasti che non sono coincidenti né convergenti. Ma siccome il malessere sociale diffuso che ha gonfiato un anno fa le vele dei “sovran-populisti” è destinato ad acuirsi a fronte della sostanziale continuità della politica di “austerità”, il seguito della Lega e di Salvini continuerà nei prossimi tempi ad essere ampio, e incazzato. Si tratta di non lasciargli in mano il monopolio dell’opposizione al nuovo governo dei padroni!

Che fare?

Accanto all’opposizione dichiaratamente di destra, sta prendendo corpo una opposizione “sovranista di sinistra” al neonato governo, che raccoglie dalla melma le bandiere lasciate cadere dai “traditori” Legastellati, su cui tanti “rosso”-bruni avevano riposto più di qualche speranza. Sebbene sia ancora frammentata in differenti ambiti organizzati, con un piedino dentro le istituzioni (Patria e costituzione di Fassina) e molte schegge fuori, si sta agitando parecchio. Il 12 ottobre scenderà in piazza a Roma il Comitato Liberiamo l’Italia, rigorosamente solo bandiere tricolori, per “liberare il paese dalle catene che lo soggiogano”. Nei giorni scorsi ha debuttato Vox Italia, dal programma a dir poco cristallino: “Il nostro motto è valori di destra e idee di sinistra (…) rivendichiamo appieno le idee della sinistra classico-marxista, non quella fucsia e arcobaleno, ma quelle di sinistra ‘rosse’ che hanno a cuore lavoro, diritti sociali, lotta per l’emancipazione, solidarietà. Rivendichiamo anche i valori della destra della borghesia come: la religione, la trascendenza, il senso della patria, il senso dell’appartenenza a una identità” (Fusaro). Una “sinistra” di destra, meglio: una destra “di sinistra”. Un lepenismo italiano che intorbida intenzionalmente le acque dichiarandosi “socialista”. Farà ben poco contro il governo in carica perché lo spazio che intende occupare – a meno di imprevedibili defaillance – è già presidiato dalla Lega di Salvini, e in seconda battuta da FdI della Meloni.

Un po’ più in là, restìa a mescolarsi con questa marmaglia che accusa giustamente di nazionalismo, c’è una parte della Rete dei comunisti che resta, però, anch’essa su un terreno “sovranista”. In quanto vede nello sganciamento dalla UE e dall’euro il passo preliminare o fondamentale da compiere sulla via della riscossa “popolare” e punta alla nascita di un’Unione euro-mediterranea (di stati borghesi) con l’Italia alla testa – un’altra parte è invece impegnata a dialogare con propaggini del nuovo governo, fregandosene del suo aperto europeismo. A sé sta il PC di Rizzo che il 5 ottobre chiama in campo l’opposizione sociale al governo su una prospettiva che, come provano il test-immigrazione e l’alleanza internazionale in cui questa formazione si colloca, è quella del socialismo nazionale e nazionalista di radice staliniana. In cui, in un modo o nell’altro, l’emancipazione degli sfruttati è subordinata agli difesa degli interessi nazionali (mai dimenticare che proprio in nome del primato degli interessi nazionali Rizzo, e non era più un bambino, approvò nel 1999 la guerra NATO alla Jugoslavia). Entrambe queste forme di “sovranismo”, quella bruna e quella verniciata esternamente di rosso con una (la Rete) o due (il PC) mani di vernice, per quante differenze ci siano tra loro, si contrappongono insieme alla rinascita del movimento proletario su basi autonome dal capitale e internazionaliste. E per questo vanno criticate e lottate come false alternative alla crisi finale del vecchio movimento operaio riformista – di cui sono epigoni.

A differenza di tutti costoro, noi comunisti internazionalisti siamo stati dal primo momento per la lotta senza se e senza ma al governo Lega-Cinquestelle, denunciando il doppio inganno del suo “patriottismo laburista”. “Né europeismo, né accodamento ai malumori anti-europei e anti-tedeschi di una parte dei piccoli e medi padroni”: questa la nostra posizione. Rifiutato il dilemma tutto capitalistico, comunque argomentato, tra pro-UE e anti-UE, pro-euro e anti-euro, ci siamo rivolti alle “poche lotte di resistenza che sono in piedi [per prime quelle dei facchini della logistica organizzati nel SI Cobas] con l’impegno di allargarne lo sguardo e il cammino in direzione della ricomposizione del campo degli sfruttati, oggi disorganizzato e disperso, in un fronte unico proletario anticapitalista”. A distanza di un anno rivendichiamo di essere stati in prima fila nella resistenza e nelle iniziative di lotta contro la guerra agli emigranti e agli immigrati che più di ogni altra cosa ha caratterizzato l’azione del governo Lega-Cinquestelle. Non siamo riusciti ad essere altrettanto efficaci su altri piani, è vero; proveremo a fare di meglio contro questo governo.

Su quale terreno?

Non sono in corso lotte proletarie significative capaci di imporre a tutti la propria agenda, eccettuata ancora una volta la logistica, dove però le lotte hanno assunto negli ultimi tempi un carattere prevalentemente difensivo; ne deriva che i terreni su cui intervenire sono di necessità quelli che hanno messo all’ordine del giorno il governo e l’opposizione leghista per conquistare simpatie popolari. E quindi anzitutto la questione fiscale e la questione salariale. Sono questi, oggi, i due anelli da afferrare per provare a scuotere la catena. Se poi “il movimento reale che abbatte lo stato di cose presenti”, bizzarro com’è, dovesse comparire all’improvviso dove meno te lo aspetti, ne terremo immediatamente conto.

Il Cuneo Rosso – Gcr (Gruppo comunista rivoluzionario) – Pagine Marxiste
Tendenza internazionalista rivoluzionaria

Fonte

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