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(4 Ottobre 2011) Enzo Apicella
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(Il nuovo ordine mondiale è guerra)

INVASIONE TURCA DEL KURDISTAN SIRIANO

Ancora regolamenti di conti fra imperialismi regionali e mondiali

(17 Ottobre 2019)

La guerra in Medio Oriente entra in una nuova fase. Truppe dell’esercito turco, con la copertura dell’aviazione, hanno fatto irruzione nel Nord della Siria per “chiudere la partita” con la “entità politica” del Rojava, accusata di sostenere la guerriglia curda del PKK nel Sud della Turchia. In realtà l’invasione rientra in una politica espansionistica, finora portata avanti col sostegno alle milizie jihadiste, allo scopo di rovesciare il regime di Damasco.

La Turchia inoltre, come ogni potenza borghese, trova nel nazionalismo e nel militarismo un pretesto per distogliere il suo proletariato, il quale anche negli ultimi tempi ha dato vita a combattivi episodi di lotta per affermare i propri interessi di classe.

L’invasione turca appare una risposta alla riconquista da parte delle forze leali al presidente siriano Bashar al-Assad di gran parte del paese, il che ha frustrato i sogni egemonici di Ankara sulla regione.

Sull’altra parte del fronte, lo Stato di fatto del Rojava – che tanto commuove la fumata pseudo-sinistra occidentale, disinteressata a ogni distinzione di classe – potrebbe essere completamente cancellato. A decretare la sua fine, prima ancora che l’invasione turca, è stato il ritiro delle truppe statunitensi, che finora l’avevano sostenuto nella guerra contro gli jihadisti e ne garantivano l’esistenza. Ora, per sopravvivere, il governo del Rojava, con repentino rovesciamento di fronte, cerca protezione a Damasco e a Mosca, dimostrandosi ancora una volta una pedina nello scacchiere delle potenze imperialistiche, sempre pronto a vendersi al miglior offerente.

Questi i passaggi che hanno portato alla situazione attuale.

Come molti si aspettavano, l’occupazione della città di Afrin in Siria, nel Kurdistan Occidentale, da parte delle forze armate turche e dei loro mandatari dell’Esercito Siriano Libero, in seguito ad una breve battaglia che ebbe luogo tra il 20 gennaio e il 24 marzo 2018, è stata solo l’inizio di un’offensiva turca contro le Forze Democratiche Siriane (SDF), l’alleanza militare controllata dal Partito dell’Unione Democratica, la consociata del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) nella regione.

Dopo l’occupazione di Afrin, la Turchia ha puntato al resto del territorio siriano controllato dai nazionalisti curdi e dai loro alleati. L’amministrazione Trump, che aveva sostenuto l’SDF contro lo Stato islamico, si oppose, almeno a parole, alla conquista turca di Afrin e, in contropartita propose una zona cuscinetto profonda 30 chilometri nel territorio curdo siriano; era lasciato indeterminato chi vi avrebbe vigilato. La SDF si è sempre opposta a tale soluzione poiché vi rientra la maggior parte delle principali aree urbane sotto il suo controllo.

Il 9 ottobre scorso, ad un anno e mezzo dalla presa di Afrin, il governo Erdogan è intervenuto con le truppe sue e dell’Esercito Siriano Libero per imporre, afferma, quella zona cuscinetto. Benché la descriva come una limitata operazione militare, conta di trasferire e insediare nei territori occupati i quasi 4 milioni di rifugiati della guerra civile siriana che attualmente vivono in Turchia. Inoltre, sia lo Stato turco sia molte società private turche hanno stipulato contratti nella regione occupata per la fornitura di beni e servizi: sembra che la Turchia stia progettando di annettere i territori che conquista, almeno fino alla conclusione della guerra civile siriana.

L’apparato dell’Islam politico turco, controllato dallo Stato, si è mobilitato nella propaganda della gloriosa conquista militare. La tenacemente filo-occidentale Confederazione dell’Industria e degli Affari (TÜSIAD), le Confederazioni sindacali di regime e i principali partiti di opposizione, come il kemalista Partito Popolare Repubblicano, di orientamento socialdemocratico, il Buon Partito (Iyi Parti) e i loro alleati di estrema destra si sono schierati tutti con il governo a favore dello sforzo bellico.

Il Partito Repubblicano del Popolo ha invitato Erdogan a mettersi immediatamente in contatto con Assad, ricordando che nessuno, a eccezione degli Stati turco e siriano, ha mai definito i nazionalisti curdi siriani e i loro alleati come terroristi.

Tuttavia questo non ha impedito a molte forze politiche e sindacali di opporsi all’invasione della Siria del Nord. Fra queste l’ala sinistra del Partito Popolare Repubblicano; i socialdemocratici curdi del Partito Democratico dei Popoli (HDP), che ha legami con il PKK; varie formazioni di orientamento stalinista e trotzkista; alcune confederazioni sindacali di sinistra come la Confederazione dei lavoratori pubblici; i Sindacati e la Confederazione dei lavoratori progressisti; i sindacati e le associazioni professionali degli ingegneri e dei medici. Le ragioni di tale opposizione alla guerra variano a seconda dei diversi orientamenti: alcuni sono interessati all’integrità territoriale dello Stato siriano, altri a sostegno dei nazionalisti curdi, e quasi tutti si oppongono alla guerra su una base interclassista.

In ogni caso il governo Erdogan ha preso sul serio questa opposizione e ha continuato ad arrestare e incriminare centinaia di attivisti e utenti dei social media ostili alla sua impresa militare.

Nessuno fra gli Stati borghesi del mondo, con l’eccezione del Pakistan, del Qatar e dell’Azerbaijan, sostiene apertamente l’intervento turco. L’Unione Europea vi si è opposta. Ma la Turchia è una potenza regionale abbastanza forte da minacciare l’UE, se questa definisse l’operazione una “invasione”, di offrire ai quasi 4 milioni di rifugiati siriani la possibilità di recarsi liberamente in Europa.

Potenze locali come l’Arabia Saudita, l’Iran, l’Egitto, l’Iraq e lo stesso governo siriano hanno condannato l’impresa e su questa posizione si è posta anche la Lega Araba.

Gli Stati Uniti da un lato minacciano dure sanzioni economiche, nella più grande convergenza parlamentare bipartisan nell’era di Trump, ma intanto ritirano le truppe dai territori tenuti dalla Forze Democratiche Siriane ed enfatizzano l’amicizia tra i due paesi, dando di fatto via libera all’avanzata turca.

In effetti le Forze Democratiche Siriane sono semplicemente un alleato tattico dell’imperialismo USA contro lo Stato Islamico, mentre la Turchia, membro della NATO, è un partner strategico a lungo termine. Anche se la Turchia e l’Esercito Libero Siriano dovessero distruggere completamente le Forze Democratiche Siriane, gli Stati Uniti resterebbero comunque al tavolo da gioco, questa volta per il tramite della Turchia.

Anche lo Stato russo, l’altra grande potenza imperialista attiva in Siria, non disdegna la situazione attuale, contando non solo in un rafforzamento del regime di Assad, ma anche sulla presenza dei suoi militari sul terreno. Il governo di Mosca ha espresso la volontà di lavorare per un accordo tra le Forze Democratiche Siriane e il regime di Assad, infatti già nei primi giorni dell’offensiva è stato raggiunto un accordo e l’esercito siriano ha incominciato a spostarsi verso Nord prendendo subito posizione nelle città di Manbij e Tell Tamer, fino ad allora controllate dalle forze curde.

Il costo di questa alleanza resta tutto da valutare per l’SDF poiché il governo siriano nei negoziati svoltesi in precedenza non aveva avanzato alla direzione politica del Rojava proposte facilmente accettabili. Detto questo, il regime di Assad ha fornito sostegno militare all’SDF ad Afrin inviando la milizia delle Forze di Difesa Nazionali e, secondo fonti del PYD (la principale forza politica all’interno delle SDF), ha offerto di chiudere ai voli da e per la Turchia, di posizionare uomini in aree chiave lungo il confine e, dopo aver respinto l’attacco turco, di tentare di riprendersi Afrin, e non le città sotto il controllo delle “assemblee democratiche” affiliate al PYD.

Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) è la tendenza politica dominante della borghesia nazionale curda nel Kurdistan settentrionale, turco. In quello occidentale e siriano è il Partito dell’Unità Democratica (PYD). Anche la più potente organizzazione militare nazionalista curda del Kurdistan orientale, iraniano, appartiene a questa corrente. Nel Kurdistan iracheno è un partito minore sotto il controllo del conservatore Partito Democratico del Kurdistan e dell’Unione Patriottica del Kurdistan, di orientamento socialdemocratico.

L’ideologia ufficiale del PKK è cambiata negli ultimi anni dalla rivendicazione della liberazione nazionale, intesa in senso stalinista, alla richiesta di un confederalismo, rinunciando all’indipendenza nazionale curda, avanzata già dagli ultimi decenni dell’Ottocento, per accontentarsi dell’autonomia all’interno dei vari Stati.

Nel Rojava il PYD non si è guadagnato il potere con una rivoluzione, gli fu consegnato dal regime di Assad le cui forze armate erano state ritirate dalle aree curde per concentrarle dove si combatteva la guerra civile. Questo mentre le forze curde del PYD e i loro multietnici alleati avanzavano contro lo Stato islamico. Decisero di denominare il territorio sotto il loro controllo come “Siria settentrionale e orientale” piuttosto che come “Kurdistan occidentale”.

Il regime del PYD, sempre rispettoso della proprietà privata e del capitalismo, come dichiara la sua costituzione, ha torturato e ucciso i dissidenti, ha aperto il fuoco a più riprese contro i manifestanti e si è impegnato in politiche repressive contro arabi, assiri e altre minoranze. Il fatto che la SDF sia attualmente sotto attacco da parte delle forze soverchianti messe in campo da uno Stato imperialista e potenza regionale non è motivo sufficiente per sostenere quello che è un regime di natura ed essenza antiproletaria.

Come non ci lasciamo ingannare dalle pose democratiche sbandierate del regime del Rojava, né ci persuade la sua pretesa di procedere verso il superamento della condizione di oppressione delle donne. Nessun regime politico e sociale borghese, che si fonda sulla proprietà privata e sullo sfruttamento capitalistico, porrà mai fine ai postumi del patriarcato.

La posizione comunista contro l’invasione turca del settentrione siriano non può risolversi in appelli astratti al ritiro delle truppe e alla pace. Sappiamo che solo il disfattismo rivoluzionario potrà fermare le guerre borghesi.

Intanto chiamiamo alla fraternizzazione tra tutti i proletari di quell’area così travagliata, per la ricostituzione delle loro organizzazioni di classe, indipendenti da quelle della classe borghese.

Quando il Partito Comunista mondiale, forte e veramente rivoluzionario, si sarà radicato in Turchia, in Siria, nel Kurdistan allora chiamerà i proletari e tutti i ceti diseredati al rifiuto dell’adesione alla guerra, imperialista su ambe i fronti, e a prepararsi alla sua trasformazione in internazionale guerra civile rivoluzionaria.

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Partito Comunista Internazionale

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