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(4 Novembre 2019)
Che fine hanno fatto le presidenziali afghane? Si sono arenate nei conteggi. La Commissione Elettorale Indipendente ha diffuso i numeri dei voti validi che ammontano a 1.843.107 sull’iniziale quota di 1.929.333. La tendenza evidente già in prima battuta era il crollo della partecipazione scesa a poco più del 20%, visti i circa 10 milioni di potenziali elettori. Ora sono state cancellate 86.000 preferenze giudicate errate o false, in che modo ci sarebbe da scoprirlo, visto che gran parte dei presunti cinquemila seggi adottavano il sistema di controllo biometrico per chi si recava alle urne. Uno dei candidati in corsa per la presidenza, il premier uscente Abdullah, ha innescato l’ennesima polemica con la commissione per la presenza di 137.000 voti, inizialmente posti in quarantena per sospetti vari d’irregolarità, e successivamente conteggiati. Questi voti potrebbero rientrare fra quelli giudicati nulli, però resta sempre una sperequazione di 50.000 voti che dopo uno stop iniziale sarebbero risultati buoni. Secondo i collaboratori di Abdullah il blocco dei 137.000 voti sospetti sarebbe giunto alla Commissione fuori tempo massimo, il giorno seguente la chiusura dei seggi. Il gruppo di sostegno al premier - che già nel 2014 contese a Ghani il massimo incarico nazionale, con tanto di contestazioni, minacce di spaccature del Paese e anche peggio - ritiene che i voti da invalidare raggiungano la quota di 100.000. Un buon 5% che non depone a favore di tutta la tecnologia adottata proprio per evitare contestazioni sull’arretratezza dell’efficacia delle operazioni. Da parte di Ghani si sostiene che se una falla iniziale c’è stata, essa è stata sanata dal successivo intervento della Commissione. Con l’aria che tira, il pronunciamento del voto può di certo produrre contrasti polemici, sebbene non saranno quest’ultimi a minare una sicurezza ampiamente claudicante.
Nonostante il clima di paura d’essere coinvolti in attentati che ha tenuto lontani dalla delega tanti cittadini, è l’intero sistema ad essere stato contestato con la pratica dell’astensionismo. Come accade in altre pseudo situazioni di “normalità” sostenute da governi fantoccio e dai burattinai dell’appoggio internazionale, non recarsi alle urne ha sancito il radicale distacco nel Paese fra la sua gente che muore fra attentati, bombardamenti repressivi, carenze di aiuti e i potentati al governo, gli accaparratori di fondi e loro alleati che sottraggono quelle risorse agli strati più bisognosi. Stanco d’essere massa di manovra e di accrescere il flusso di migrazione forzata oppure di arruolamento, egualmente indotto dalla miseria, fra le fila dell’esercito o dei gruppi jihadisti, il popolo afghano che non accetta la farsa s’è tenuto lontano dai seggi. Abbiamo ascoltato sul tema il parere di Selay Ghaffar, portavoce del partito Hambastagi. “E’ stata enfatizzata la partecipazione femminile che, invece, rientra nella media, una media piuttosto bassa. I seggi dovevano essere fra i 4000 e i 5000, in realtà sembra siano stati 2000, sebbene ciò non risulti dai dati statistici che mantengono il profilo ottimistico della propaganda. Noi di Hambastagi abbiamo sostenuto il boicottaggio, non solo per ragioni di sicurezza, ma per ribadire la crescente coscienza fra la cittadinanza che ormai comprende d’essere solo sfruttata da personaggi improponibili, criminali come Hekmatyar che dovrebbero stare in galera non concorrere alla guida del Paese. Abbiamo assistito al filone ritrito dell’uso dell’etnìa per sostenere questo o quel candidato, abbiamo visto quest’ultimi sbugiardarsi pubblicamente, accusandosi d’essere signori della droga o asserviti alle Intelligence pakistana oppure iraniana. Purtroppo è tutto vero, com’è vero che gli Stati Uniti influenzeranno la sedicente Commissione Indipendente a dichiarare eletto il candidato che si mostra più accondiscendente al progetto americano”. Così, ancora una volta.
4 novembre 2019
articolo pubblicato su enricocampofreda.blogspot.com
Enrico Campofreda
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