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Non ci possono essere dubbi che il capitalismo è entrato in una fase storica di agonia. Ciò è confermato sia da una concorrenza imperialista sempre più intensa sia dall'ascesa dei movimenti popolari contro i fallimenti del sistema. La lunga ombra del crack del 2008 continua ad estendere i suoi effetti sul sistema capitalistico globale. Dopo più di dieci anni, la presunta “ripresa” è diventata, nelle parole di alcuni economisti capitalisti , una “ stagnazione sincronizzata” gestita.

I saggi di profitto e di crescita, secondo i Mosé e i profeti dell'esistenza capitalistica, sono bassi in tutto il pianeta e sono ripetutamente rivisti verso il basso dai guardiani dell'economia internazionale come il FMI e l'OCSE. La situazione è così disperata che migliaia di miliardi vengono riversati in obbligazioni con tassi di interesse negativi (in altre parole, gli investitori hanno così tanta paura del futuro, che pagano chi emette questi bond perché “si prenda cura dei loro soldi”). Decenni di QUANTITATIVE EASING potrebbero aver temporaneamente salvato un sistema finanziario “troppo grande per fallire”, ma a quali costi? L'indebitamento globale cresce talmente in fretta che qualsiasi indicazione che potremmo dare ora sarebbe già datata prima di poter essere stampata, ma è giusto dire che l'indebitamento globale di qualsiasi genere marcia senza sosta verso i 300 trilioni di dollari [300.000 miliardi, ndt]. “Il debito” non è lo stesso per tutti. Per pochi, iquelli che stanno ai vertici del sistema finanziario, il debito è una “risorsa”, dato che controllano il flusso delle entrate che ne derivano. Per i milioni di persone che vivono con redditi reali in declino, costrette a destreggiarsi tra lo strozzino, il prestatore del giorno di pagamento e il pagamento con carta di credito, è un costante promemoria della crescente disuguaglianza prodotta da un sistema che viene eretto contro di loro.

Così, la scintilla iniziale di molti movimenti popolari che abbiamo visto nelle strade di tutto il mondo sembra, ad un'occhiata superficiale, relativamente banale. Una tassa sulle chiamate Whatsapp in Libano, un aumento del biglietto della metropolitana di Santiago in Cile o la fine dei sussidi per la benzina in Ecuador, sono stati “l'ultima goccia” per gente che ha sofferto il declino degli condizioni di vita per decenni, se non anni. Dietro tutti i movimenti dell'America Latina (Cile, Argentina, Brasile, Ecuador, Honduras e Colombia), del mondo arabo (Algeria, Sudan, Libano, Iraq) c'è la stessa combinazione di difficoltà economica: opportunità in calo per le giovani generazioni (che costituiscono oltre il 40% della popolazione mondiale) e il senso di “ingiustizia” verso un sistema portato avanti da cricche di cleptocrati corrotti che beneficiano dell'ultima ondata speculativa.

Guerra Imperialista

Questa speculazione è il risultato della crisi da saggio del profitto, che dà minori rendimenti sugli investimenti produttivi. Per ogni stato, il gioco principale è quindi quello di deviare le entrate, da qualsiasi fonte e con qualsiasi mezzo, verso le proprie casse. Il risultato è una concorrenza che aumenta su tutti i fronti – manifatturiera e industriale, commerciale, monetaria e strategica. In questo contesto, la tendenza alla guerra non è una minaccia aleatoria, ma la concreta realtà insita in tutte le relazioni internazionali e uno stato di cose che interessa tutti i maggiori centri imperialisti del pianeta in vari posti del mondo, come la Libia, lo Yemen o l'Ucraina, causando migliaia e migliaia di morti, prevalentemente civili.

In Siria, la presenza massiccia di tutti i maggiori colpevoli di questa carneficina si muove in continuazione come un caleidoscopio. Con i loro interessi diversi, spesso in conflitto tra di loro, nuove alleanze si sono formate e vecchie dissolte, in una serie di episodi che hanno portato alla rovina di un interno paese con due milioni di morti, dodici milioni di sfollati di cui oltre quattro milioni di rifugiati. La Turchia, la Russia, l'Iran e l'asse sciita si allineano su un fronte. Gli USA, Israele e l'asse sunnita sull'altro. Ciascuno ha il suo proprio interesse da difendere, mentre nel mezzo i vari nazionalismi sono diventati gli strumenti di questo o quell'imperialismo e perciò obiettivi per gli attacchi degli altri imperialismi, anche se fanno parte della stessa coalizione. Non importa se i proletari sono curdi o arabi, sciiti o sunniti. L'importante è che vengano trascinati dal meccanismo ideologico di questo o quell'imperialismo e che agiscano come carne da macello a beneficio esclusivo degli interessi dell'imperialismo che li ha ideologicamente soggiogati. E, come gli Stati Uniti hanno appena dimostrato con l'YPG nella Siria settentrionale, possono essere messi da parte non appena lo scopo è stato raggiunto.

Abbiamo avuto finora un secolo di imperialismo capitalista. Questo ha portato a guerre talmente distruttive che hanno potuto permettere un nuovo ciclo di accumulazione da costruirsi sulle rovine che hanno creato. Sono passati quasi cinquant'anni da quando l'ultimo ciclo di accumulazione è entrato nella su fase finale. Grazie alla globalizzazione, alla gestione statale del settore finanziario e alla speculazione, il sistema ha arrancato fino al crac del 2008. Ma la scarsa propensione all'investimento, perché i tassi di profitto non sono sufficienti a incoraggiare tali esborsi, spiega non solo il motivo per cui la borghesia internazionale non riesce ad affrontare la sfida del cambiamento climatico, ma anche perché siamo arrivati all'impasse attuale.

L'incapacità della classe capitalista di trovare una soluzione economica ha, a sua volta, intensificato la sua crisi politica. Mentre una fazione cerca di riesumare le vecchie formule keynesiane, un'altra sta sempre più puntando sul nazionalismo, sulle guerre commerciali, sulle sanzioni reciproche. Queste politiche, però, aumentano il caos nell'economia (il commercio mondiale si sta riducendo). Non è frutto dell'immaginazione pensare che il prossimo crac finanziario, che molti capitalisti si aspettano in tutto il mondo, produrrà un ulteriore peggioramento della situazione economica mondiale e porterà con sé il pericolo di una guerra ancora più generalizzata, con una intensificazione del guerre in corso e lo scoppio di nuovi conflitti.

L'alternativa
Allora, qual è la soluzione alla barbarie incombente? Purtroppo, non sta nelle proteste di oggi. Esse sono un sintomo del malessere del sistema, ma non possono dare la soluzione. I loro diversi interessi sociali di classe fanno sì che alla fine il movimento si romperà, abbandonando la classe operaia e i diseredati al tradimento, mentre gli strati sociali di professionisti e di piccolo borghesi finiranno col diventare sostenitori della nuova élite al potere o di una nuova costituzione.

Ma se un nuovo mondo non può nascere semplicemente con le dimostrazioni, la disobbedienza civile o altre azioni che tentino di mettere sotto pressione i rappresentati della classe capitalista perché agisca contro i propri interessi, è nostro compito – di coloro tra noi che sono già organizzati politicamente a livello internazionale – trovare i mezzi per intervenire nel fermento sociale e portare avanti una prospettiva di classe internazionalista. Questo senza illudersi di poter cambiare la direzione delle proteste attuali, ma con la prospettiva di avere una presenza organizzata nelle lotte più ampie che verranno. Non è una pia speranza. In Cile ci sono stati alcuni tentativi di costituire comitati per coordinare la lotta nei distretti della classe lavoratrice, mentre in Iran l'anno scorso i lavoratori di Haft Tapeh chiedevano di costituire di nuovo i consigli dei lavoratori. E' ancora “poca cosa”, rispetto a quello che potrebbe essere un vero e proprio movimento di classe auto-organizzato in grado di rovesciare il capitalismo. Una volta che tali movimenti si organizzano attraverso assemblee di massa ed eleggono i propri organismi per condurre la lotta, salgono il primo gradino della scala verso quel tipo di movimento di classe capace di rovesciare l'attuale sistema di miseria e disperazione. E' soltanto agendo all'interno di questo genere di rivolte che il Partito Rivoluzionario Internazionale del futuro, la nuova Internazionale, si formerà sulla base dell'unico programma anticapitalistico praticabile: il programma del comunismo internazionale, distillato dalle lezioni della lotta di classe proletaria, in qualunque luogo si sia svolta e in tutta la sua storia.

leftcom.org

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