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(1 Settembre 2011) Enzo Apicella

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La guerra non detta dell’Europa contro gli immigrati, e cosa fare per vincerla

(24 Dicembre 2019)

Trovate qui sotto la trascrizione dell’intervento di P. Basso (Cuneo rosso) fatto all’assemblea generale della International Migrants Alliance Europe (6-7 dic. 2019, Como) su “Migrants, Refugees and displaced People Building Unitiy, Organizing to Reclaim Rights”.

international migrants alliance

Como, 7 dicembre 2019 – IMA Europe

Buongiorno, e molte grazie per il vostro invito.

L’ho accettato con piacere perché condivido totalmente il vostro impegno per i diritti degli immigrati e per l’unità alla scala internazionale degli emigranti, dei rifugiati e degli sfollati al di là delle differenze di nazionalità, di genere, di cultura, di religione. Questo impegno è oggi più importante che mai perché qui in Europa, qui in Italia, siamo nel mezzo di una vera e propria guerra agli emigranti e agli immigrati. Una guerra che negli ultimi 20 anni ha già fatto decine di migliaia di morti nel mar Mediterraneo e lungo le frontiere di terra europee, altre decine di migliaia di morti nel deserto del Sahara, e un numero ancora maggiore di torturati, di feriti, di prigionieri, di donne stuprate, di persone comprate e vendute come oggetti dai grandi e piccoli trafficanti di esseri umani.

Questa guerra, come ogni guerra, è combattuta anche sul terreno della propaganda – una propaganda sempre più sfacciatamente razzista che presenta gli emigranti e gli immigrati come un pericolo, un danno, una minaccia, i primi responsabili di tutto il malessere sociale che cresce ogni giorno di più nella ricca Europa occidentale, non certo per colpa degli emigranti e degli immigrati, sotto forma di disoccupazione, precarietà, perdita di diritti acquisiti, umiliazioni sui posti di lavoro, super-sfruttamento, diffusione delle droghe e della criminalità, perdita di futuro, etc.

Le premesse, le radici di questa guerra affondano nello stesso accordo di Schengen del 1985, che è alle origini dell’Unione europea. L’accordo di Schengen ha avviato la libera circolazione delle merci e dei capitali prima in centro Europa, poi in tutta l’Europa occidentale, e ha sancito la libera circolazione dei cittadini degli stati firmatari. Nello stesso tempo, però, ha introdotto un principio di sospetto europeo, statale, istituzionale nei confronti degli immigrati. La circolazione degli emigranti-immigrati non può essere libera, deve essere attentamente controllata dalle polizie. Manco a dirlo: la figura prescelta per giustificare un simile principio di sospetto è stata quella dell’immigrato cd. “clandestino”, presentato come una minaccia da tenere sotto controllo perché fonte di insicurezza e di criminalità – vedi gli articoli 7 e 9 dell’accordo di Schengen.

Questo schema originario di inquadramento della “questione migratoria” è rimasto immutato nei 35 anni successivi sia per l’Unione europea che per i singoli stati. E ha colpito prima gli emigranti provenienti dall’Est-Europa, poi quelli provenienti dai paesi di tradizione islamica, e da alcuni anni gli emigranti dall’Africa sub-sahariana. Ma in tutto il periodo che va dal 1985 ad oggi, ad essere coperto di sospetto, inferiorizzato, discriminato, criminalizzato, in qualche caso demonizzato, è stato l’intero mondo delle popolazioni immigrate. E in questo processo l’Italia ha conquistato un primato che non le fa onore, con la creazione dei centri di detenzione amministrativi, con la legge Bossi-Fini che subordina il permesso di soggiorno al contratto di lavoro, con la serie dei “decreti sicurezza” (Maroni, Minniti e Salvini) pieni di misure di carattere discriminatorio contro i nuovi e i vecchi immigrati, con gli accordi con le bande della malavita libica.

Come mai questa guerra? Forse l’Unione europea e l’Italia non hanno bisogno di lavoratrici immigrate e di lavoratori immigrati? Al contrario!

Lasciamo parlare i fatti. Nell’Europa occidentale gli immigrati di origine non europea erano 4 milioni nel 1950, sono diventati 11 milioni nel 1971, poi 20 milioni nel 1995, e sono oggi circa 40 milioni (mi riferisco solo agli immigrati dai paesi che non fanno parte dell’Unione europea). A questi 40 milioni vanno aggiunti i milioni di immigrati che sono diventati nel frattempo cittadini di un paese europeo (cittadini almeno sui documenti). Basta dire che in Germania – il paese chiave dell’UE – il 25% degli abitanti, dei cittadini ha oggi uno “sfondo migratorio”, è immigrato, figlio di immigrati o discendente da immigrati, ed entro il 2040 sarà il 33%. Basta dire che in Italia, nell’arco di soli 20 anni (1994-2014), gli immigrati sono passati da 500.000 a oltre 5 milioni.

Questo è accaduto perché le imprese, gli stati e un 10-15% delle famiglie dell’Europa occidentale hanno un inesauribile bisogno di lavoratrici immigrate e di lavoratori immigrati per ragioni demografiche, di privatizzazione del welfare, di competitività. Da molti anni la popolazione dei paesi europei, a cominciare proprio da Germania e Italia, diminuirebbe, e di molto, se non arrivassero ogni anno nuovi immigrati dall’estero. Questi paesi anche bisogno di persone, per lo più donne, che facciano assistenza agli anziani, agli handicappati, a chi non è autosufficiente, ai malati cronici, ai minori, dal momento che ovunque i governi, in nome dei diktat dei mercati finanziari, stanno tagliando il welfare pubblico. Il bisogno di lavoratori immigrati riguarda tutti i settori di attività: agricoltura, edilizia, industria, i servizi, in particolare nelle funzioni operaie più comuni. Le imprese, e anche le amministrazioni dello stato, li cercano in quanto forza-lavoro a basso costo e bassissimi diritti – non certo perché i lavoratrici e le lavoratrici immigrate vogliano questa condizione, che gli fa male, ma perché sono spesso costretti a subire, almeno per un primo periodo, ogni tipo di discriminazioni e di soprusi a causa delle leggi che li mettono in una condizione di ricattabilità, con il rischio di cadere nell’irregolarità. In Italia i lavoratori immigrati producono il 10% del pil – e se per assurdo, decidessero di andarsene dall’Italia, o anche solo decidessero di scioperare tutti insieme un solo giorno, sarebbe – nel primo caso – una vera e propria catastrofe, nel secondo un colpo durissimo, all’economia nazionale.

Ecco la grande menzogna, il grande inganno della propaganda di stato diffusa dai mass media e dalle organizzazioni razziste che usano in modo organizzato i social media : è falso, falsissimo che l’UE e l’Italia non vogliano più immigrati/e. Li vogliono, e come!, ma – se possibile – in ginocchio, nudi, senza aspettative, o irregolari – cioè irregolarizzati, clandestinizzati. A questo servono le politiche repressive, restrittive, selettive dell’UE e dell’Italia, le polizie di frontiera, i campi di detenzione, i pacchetti sicurezza, le stragi in mare, il coinvolgimento della criminalità organizzata nel controllo delle rotte, etc. – a ridurre le aspettative degli emigranti e dei richiedenti asilo, e ad azzerare – se possibile – i loro diritti.

C’è poi un altro aspetto di grande importanza: indicare nelle popolazioni immigrate la fonte di tutti i mali sociali di cui soffrono le classi lavoratrici in Europa, serve a dividere il nostro campo, il campo di coloro che vivono del proprio lavoro, a creare diffidenza, ostilità, odio, contrapposizione tra lavoratori immigrati e autoctoni, per rendere gli uni e gli altri più deboli, e poterli controllare, dominare, sfruttare al meglio.

Ci sono, però, due contraddizioni – legate tra di loro – con cui debbono fare i conti i grandi poteri economici e finanziari, gli stati, i governi e le formazioni politiche che hanno messo al centro del loro programma d’azione la lotta agli immigrati.

La prima contraddizione è che il “capro espiatorio” designato non è un branco di pecore disposte a farsi macellare senza resistere. Le donne e gli uomini che sono emigrati e continuano ad emigrare verso l’Italia e l’Europa occidentale si sono sobbarcati ogni tipo di costi, pericoli, sofferenze. Emigrare, specie nelle condizioni attuali, è una esperienza dura, talvolta terribile, che può costare la vita, la violenza fisica e psichica, la riduzione in schiavitù e quasi sempre un pesante indebitamento. La si affronta perché si è costretti a farlo per conquistare per sé e i propri cari condizioni di esistenza negate nei propri paesi di nascita. Negate dal retaggio del colonialismo, dalle rapine neo-coloniali, dal cappio del debito estero, dalle guerre, dai disastri climatici, dalla trasformazione capitalistica dell’agricoltura che è in corso in America meridionale e centrale, in Africa, in Asia.

Gli emigranti e i richiedenti asilo sono nel loro insieme, portatori/portatrici di istanze di emancipazione personale, sociale, di genere, nazionale che si scontrano con le pretese schiavistiche dei capitalisti. E in tante circostanze dimostrano una forza speciale – la forza che viene dal moto di rivolta anti-coloniale degli sfruttati lungo più di due secoli, e che può riversarsi, e spesso si riversa, nella lotta contro gli agenti dello schiavismo di oggi.

In Italia dal 1989 ad oggi i proletari e le popolazioni immigrate hanno dato mille prove, nelle fabbriche, nelle campagne dominate dalle multinazionali dell’agribusiness e dalla mafia, nei centri di detenzione, nelle piazze, con il loro associazionismo (penso anzitutto all’esperienza del Comitato immigrati in Italia), nella produzione di cultura, di non voler accettare supinamente il ruolo di carne da macello che i padroni vorrebbero riservargli e che hanno rifiutato nelle loro terre di nascita. Sulla scia di questa esperienza, nell’ultimo decennio i facchini e i driver immigrati della logistica si sono posti come avanguardia delle lotte rivendicative in un periodo di profondo riflusso dei lavoratori autoctoni. E se dall’Italia allarghiamo la sguardo al mondo, vediamo i lavoratori immigrati latinos protagonisti della grandissima iniziativa di lotta del 1° maggio 2006 negli Stati Uniti contro la legge Sensenbrenner, e di nuovo protagonisti un anno fa con la carovana partita dall’Honduras verso gli Stati Uniti; vediamo gli immigrati indiani, pakistani, filippini, medio-orientali protagonisti delle rivolte nelle monarchie petrolifere del Golfo (Arabia saudita, Kuweit, Emirati, etc.); vediamo che il grande movimento degli scioperi in Cina dell’ultimo decennio è stato animato proprio da immigrati (in questo caso, immigrati interni, i mingong, soprattutto giovani donne operaie)…

La seconda contraddizione è questa: con la produzione di migrazioni internazionali su larga scala è nata una classe lavoratrice sempre più immediatamente multinazionale, tale per esperienza diretta, materiale, quotidiana. Un’esperienza che può essere, che è un antidoto, alla diffusione di sentimenti, pregiudizi, comportamenti razzisti tra i lavoratori e le popolazioni autoctone. Non è un caso che da tutte le inchieste emerge che il massimo dell’ostilità verso gli immigrati c’è nelle situazioni in cui di immigrati ce ne sono così pochi che nella mente delle persone domina l’immagine dell’immigrato trasmessa da istituzioni e mass media; mentre il minimo dell’ostilità verso le popolazioni immigrate si ha nelle grandi città dove maggiore è l’intreccio quotidiano tra autoctoni e immigrati.

Ed è proprio su queste due contraddizioni che bisogna fare leva, con l’obiettivo che vi proponete di unire internazionalmente gli emigranti, i richiedenti asilo e gli sfollati, e con un obiettivo ancora più ambizioso: unire internazionalmente l’intera classe lavoratrice perché solo in questo modo potremo opporci efficacemente al capitale globale.

Per quanto mi riguarda, non mi stancherò di rispondere alla demagogia dello slogan “aiutiamoli a casa loro” in questo modo: sì, certo, ma come? Annullando il debito estero dei paesi del Sud del mondo, per esempio. Ritirando tutte le truppe europee e italiane sparse per il mondo, i consiglieri militari, le milizie private al servizio delle multinazionali. Restituendo le terre rubate con il land grabbing. Cessando di imporre le monoculture e di inondare i paesi del Sud del mondo di prodotti agricoli sovvenzionati che fanno morire l’agricoltura locale. Finendola di appropriarci del loro petrolio, gas, dei loro metalli rari, del loro litio, del loro coltan, del loro pesce… e avviando un processo di restituzione di tutto ciò che, come Europa-Italia, abbiamo depredato per secoli come fosse nostro per decisione divina o della natura.

A chi sostiene che tutto ciò è difficile a farsi, obietto a mia volta: se si vuole davvero fare, muoversi, lottare, nulla è impossibile. Ma anche obiettivi più modesti non mancano: ad esempio, rivendicare la regolarizzazione immediata e incondizionata di tutti gli immigrati e i richiedenti asilo con un permesso di soggiorno europeo a tempo indeterminato; battersi per la completa ed effettiva parità di tutti sui luoghi di lavoro e nella società tra autoctoni e immigrati; chiudere tutti i centri di detenzione amministrativa; abrogare la legislazione speciale sull’immigrazione e i decreti sicurezza, introdurre lo jus soli … e potrei continuare per parecchio.

P. Basso (Cuneo Rosso)

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