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L'IMPERIALISMO ITALIANO NEL MONDO

(28 Dicembre 2019)

Dal n. 84 di "Alternativa di Classe"

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Sotto l’egida NATO, ONU o UE, ci sono truppe italiane su molti fronti caldi della contesa imperialista.
Per le missioni militari all’estero 2019, il costo complessivo è stato di oltre 1100 milioni di Euro. La consistenza annuale è di oltre 7000 soldati. Le missioni sono decine, di ogni tipo, cioè con Onu, Nato, Unione Europea e Bilaterale.
Il costo delle missioni è a carico, significativamente, del Ministero dell’Economia e Finanze, e non di quello della Difesa, oltre tutto con scarsa trasparenza. Il maggior numero di soldati è utilizzato nelle missioni in Asia (Afghanistan e lotta all'ISIS – Daesh). La spesa per il sostegno alle Forze armate dell’Afghanistan, di 120 milioni di Euro, rappresenta circa il 10% dell’intera spesa delle missioni.
L’Italia è lì ufficialmente per ripristinare i diritti umani, ma i militari italiani addestrano e sostengono anche la polizia nazionale afghana, che, secondo l’Onu, utilizza da molti anni anche bambini, in spregio al diritto internazionale. E l’Italia supporta altresì l’esercito di Kabul che, in violazione del diritto internazionale, distrugge scuole e centri sanitari, ed è responsabile di gravi violenze. Continuano gli attacchi alle scuole anche da parte delle forze di sicurezza di Kabul. L’Onu denuncia pure abusi sessuali compiuti dai poliziotti.
Il 15 Settembre 2018 prendeva il via l’operazione MISIN (Missione Bilaterale di supporto nella Repubblica del Niger). Le forze armate italiane in Niger addestrano le unità locali alla guerra globale e alla repressione delle proteste sociali. E, di tanto in tanto, distribuiscono aiuti umanitari, pagati con i soldi della cooperazione e dello sviluppo, sotto la supervisione delle autorità politiche e militari.
L’Africa totalizza il maggior numero di missioni italiane; le principali sono in Libia, Niger e Corno d’Africa. La missione europea in Somalia per l’addestramento dell’esercito di Mogadiscio (Eutm Somalia) è comandata da un generale italiano, con oltre 100 militari italiani. Permane anche se l’ONU denuncia da anni l’utilizzo in combattimento di minori e la distruzione di scuole e ospedali. Anche la polizia somala è destinataria di una missione italiana formatrice, che continua nonostante le pressanti denunce di “Human Right Watch” di gravi violazioni dei diritti umani.
Nel Mediterraneo centrale e in Libia, per il “contrasto all’immigrazione clandestina”, l’Italia fornisce assistenza e addestramento alla ben nota Guardia costiera libica. Per i 5800 migranti detenuti in Libia non esistono posti sicuri. Nel mese di Giugno “Medici senza frontiere” e UNHCR denunciarono la situazione disumana di 654 migranti detenuti a Zintan in condizioni terribili: aree comuni sovraffollate e senza aerazione, bagni intasati e rotti, rifiuti e liquami.
In Libia c’è una guerra, ma non è solo un conflitto civile: le potenze imperialiste stanno armando le due fazioni rivali anche con droni di ultima generazione. In Libia l’embargo delle armi, imposto dalle Nazioni Unite, è continuamente violato. Con quelle stesse armi le forze in conflitto, il Governo di Accordo Nazionale (G.N.A), guidato da Fayez Al Sarraj, e l’Esercito nazionale libico (E.N.L.) del generale Khalifa Haftar, stanno commettendo crimini di guerra: bombardamenti a tappeto in zone residenziali e droni utilizzati per colpire obiettivi civili.
Il più importante campo petrolifero costruito dall’ENI in Libia, il grande giacimento di El Feel, è stato bombardato recentemente dall’aviazione del generale Haftar. La guerra in Libia continua ad andare avanti dall’Aprile scorso, e l’Italia è presente con 400 soldati. Un contingente a Misurata di 300 uomini, ufficialmente a difesa di un ospedale, sostanzialmente a protezione degli italici interessi imperialisti.
Nessun esponente politico italiano ha voluto chiarire cosa ci facesse il drone Reaper (tipo PredatorB) della Aeronautica italiana in volo sulla prima linea della battaglia di Tripoli, nell’area di Tarhouna, dove l’Esercito nazionale libico, agli ordini del generale Haftar, cerca di far partire l’offensiva per espugnare la capitale libica, che gli resiste da più di otto mesi. Il drone italiano è stato abbattuto il 20 Novembre scorso dalla contraerea di Haftar, e un comunicato del Ministero della Difesa ha parlato di una missione di supporto all’Operazione Mare Sicuro, cioè a quella a sostegno dell’attività antimigranti della Guardia costiera del Governo Sarraj.
Gli interessi economici e commerciali italiani nel continente africano sono molteplici e si snodano lungo più linee. Una relazione privilegiata è stata ripristinata con la Libia, ma si è resa spinosa e complicata. L’Italia, comunque, è il primo Paese europeo per valore degli investimenti diretti esteri realizzati nel continente africano.
In Ghana, dove si è recato in missione nei giorni scorsi il premier G. Conte, all’insegna dello slogan “Aiutiamoli a casa loro“, l’Eni è presente dai primi anni sessanta. Il “cane a sei zampe” ha realizzato progetti per l’estrazione di petrolio e gas.
In Egitto, il business del gas per l’Eni ha assunto dimensioni colossali. Ma non ci sono soltanto interessi energetici in Africa. Sempre in Egitto, oltre che in Sudan, imprese italiane lavorano sulle dighe vecchie e nuove. Sono attivi nel settore delle costruzioni grandi gruppi, come Salini, Impregilo e Trevi. Due gruppi, questi ultimi, particolarmente attivi in Nigeria.
L’Africa, liberatasi dal dominio coloniale europeo più di mezzo secolo fa, è ancora nella sfera di influenza economica delle ex potenze coloniali, anche se Stati Uniti ed altre potenze imperialiste, come la Cina, l’India e i Paesi Arabi, sono entrati con merci, capitali e armi, e disputano tra loro per ottenere più rapporti, e di diversi tipi, con l'Unione Africana e la relativa Area di Libero Scambio (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno VII n. 74 a pagg. 4 e 11) .
L’imperialismo italiano nasconde con diversivi ideologici le sue manovre di rapina e di interesse. Noi sappiamo che è il capitalismo che genera la guerra; non si può essere coerentemente contro la guerra, senza essere contro il modo di produzione capitalistico. Noi siamo contro ogni guerra fra Stati, non in nome di un generico pacifismo, ma affinché sulle basi della indipendenza di classe e dell’internazionalismo proletario, si ribadisca la necessità di lottare prima di tutto contro la borghesia di casa nostra e contro la politica imperialista del nostro Paese.
Bisogna operare un taglio netto con il riformismo e con la tattica della collaborazione di classe o con quella di “amicizia tra i popoli”, nel principio che l’emancipazione del proletariato può essere ottenuta solo con la vittoria sul capitalismo. Una vittoria della rivoluzione comunista, che è possibile solo su scala internazionale, partendo dagli interessi materiali che uniscono i proletari di tutti i Paesi.

Alternativa di Classe

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